06 marzo 2022

CARLO LEVI E DANILO DOLCI

 




       da LE PAROLE  SONO  PIETRE

CON DOLCI A PARTINICO TRA FAME E FOLLIA
A MONDELLO COI PESCATORI DI POLPI E RICCI
di CARLO LEVI

Lo stesso accenno di speranza nascente in un'ombra serrata trovammo sui visi dei poveri di Partinico, dove Danilo volle accompagnarci. Era ancora il solito, tragicamente monotono spettacolo della miseria, forse più triste perché questa era la miseria di città e perciò con un senso maggiore di solitudine e di abbandono; singolarmente differente nei vari quartieri a pochi passi di distanza l'uno dall'altro. C'è una zona che si chiama Madonna, dietro il vecchio municipio, dove gran parte degli uomini sono nelle carceri, e la diffidenza e l'orgoglio e la feroce protesta si chiuse, nelle strade vuote. È un quartiere di vaccari, uomini pieni di energia, spinti dalla loro stessa virtù a rispondere con la violenza all'offesa delle cose, a resistere nella maniera più elementare, a andare con Giuliano per vivere, Spine Sante è più squallido; sono poche strade più in là, a pochi passi dalla chiesa e dal caffè dove ci eravamo fermati al mattino. Nuvole di bambini, scarni e bellissimi, accoglievano Dolci al passaggio chiamandolo per nome - Danine, Danine - felici di dire quel nome come se pronunciassero una formula magica. Entravamo con lui in tutte le case, dappertutto inciampavamo nei problemi più elementari di un mondo schiavo dei limiti della fame e della malattia; e, ancora una volta, come tanti nani prima, fui costretto, senza volerlo, a richiamare alla mente vecchie, quasi dimenticate, nozioni di medicina. A Spine Sante la risposta all'offesa del mondo non è il banditismo ma, più debole e più straziante, la malattia e la follia. Le strade sono, anche qui, polverose e sporche, ma nella sporcizia ci sono i residui di cibo, né bucce d'arance, né foglie, né torsi di cavolo, né scatole, né ossa: i cani magri annusano con aria delusa. In poche case vivono diciassette malati di mente dichiarati, e chissà quanti altri meno evidenti e clamorosi. Un giovane stava seduto immobile sulla sua sedia, la vecchia madre ce lo mostrò e provò invano a stimolarlo a parlare: quell'apatico silenzio schizofrenico durava da anni.
Davanti a una porta, con le braccia penzoloni, stava una giovane col viso asciutto e gli occhi spenti, tranquilla ora, ma, ci dissero i vicini, quand'è assalita dalla fame è invasa dalla furia. Entrammo in un'altra casa dove vedemmo un uomo chiuso in una gabbia. La piccola stanza dove viveva tutta la famiglia era stata divisa con delle sbarre di ferro come quelle degli animali feroci, nella gabbia camminava avanti e indietro un giovane dal viso bestiale, dai neri occhi terribili. Nella casa vicina il capo della famiglia stava in letto, senza muoversi da mesi, chiuso al mondo, pieno di una sua angoscia nera, negativo. Lasciò che ci avvicinassimo al letto e si coprì come un morto il viso col lenzuolo.
Scendeva la notte e partimmo verso Palermo. La piazza di Mondello sfavillava di luci, coi banchi del pesce lungo la riva. Per l'aria tiepida e mite si spargeva l'odore dell'alga e delle "quaglie", le melanzane fritte incise come un fiore di cento petali, e quello dei polipi buttati nei grandi calderoni a bollire, per essere estratti poi, caldi, violacei e riccioluti, e tagliati sui banchi, mostrando l'interna bianchezza e le volute barocche dei tentacoli. Dalle grandi ceste di vimini immerse nel mare venivano portate montagne di ricci e aperti dai pescatori con un colpo abilissimo di coltello a trivellare il giallo di zolfo e di olio delle loro viscere.
È un lavoro pesante, ci disse il giovane pescatore che li apriva con così straordinaria grazia.
Non si guadagna da campare, non si trovano qui, bisogna andare a Capo Gallo, o addirittura a Capo San Vito, un giorno in barca andare, un giorno a tornare, se il mare è cattivo non si pesca nulla; talvolta va bene, talvolta sono poche dozzine, non ci togliamo la fame.

Nelle foto: Carlo Levi e Danilo Dolci (fonte Istituto Luce) e i polipari a Mondello paese un po' di anni fa

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