Per tutti gli anni '50
e '60 i film di Totò furono attentamente vigilati dalla censura.
Prima Andreotti e poi Scalfaro si diedero da fare a tagliare scene e
battute giudicate scandalose e irridenti la politica.
Polese Ranieri
Totò, il governo e le
forbici della censura
Ercole Pappalardo,
impiegato statale con famiglia numerosa, rischia il licenziamento: l'
odioso superiore ha scoperto che non ha la licenza elementare. Se non
passa l' esame perderà il posto. Così, eccolo presentarsi alla
commissione. Gli domandano di nominare un pachiderma, lui resta muto.
Il presidente compassionevole gli mima una proboscide, Pappalardo s'
illumina e risponde: «De Gasperi!» pensando al gran naso del
presidente del Consiglio.
Italia 1952: la gag
contenuta nella sceneggiatura del film Totò e i re di Roma, scritta
da Mario Monicelli e Steno che firmano anche la regia, non arriverà
mai sullo schermo. Gli spettatori udranno invece, come risposta,
«Bartali!».
Non fu quello il solo
intervento riservato dalla censura al film, che a più di un anno
dall' inizio delle riprese uscirà fortemente mutilato e cambiato. Il
punto più scabroso per i censori era il suicidio dell' impiegato che
spera, dall' Aldilà, di mandare i numeri del lotto alla moglie.
Produttori e registi dovranno accettare di far passare la storia per
un sogno; il Paradiso, poi, diviene l' Olimpo e il dialogo fra il
defunto Pappalardo e l' Onnipotente («chi più truffa più è
rispettato, chi più mena più ha ragione, e gli imbroglioni i
mascalzoni i delinquenti i farabutti sono quelli che comandano»)
viene cassato per intervento dello stesso sottosegretario alla
presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti.
Un anno dopo il già
tartassato Guardie e ladri (Steno e Monicelli: l' immagine di
Fabrizi, agente di Ps che fraternizza con un ladruncolo sembra
inaccettabile) comincia nei confronti di Totò una campagna di
sospetti e di persecuzioni. Che si appunteranno su due temi: il sesso
e la politica (che comprende non solo le battute su onorevoli e
ministri, ma anche la rappresentazione comica o troppo umana delle
forze dell' ordine, dei magistrati ecc.).
«In realtà - dice
Alberto Anile, autore di Totò proibito che esce in questi giorni da
Lindau - l' offesa al comune senso del pudore serve spesso da
paravento per più decisi interventi su temi propriamente politici.
Un esempio: di Sua eccellenza si fermò a mangiare, un tardo film di
Mattoli, 1961, che già si doveva chiamare E il ministro si fermò a
mangiare, viene molto tagliata la visita che Totò, finto medico del
Duce, fa alla contadinotta opulenta. Ma intanto scompaiono tutte le
battute sui ministri ladri («Se è ministro, per forza!»)».
Così, ne I tre ladri
(1954) si taglia Simone Simon discinta sul letto, ma parte anche la
scena finale di giudici e poliziotti che si tuffano a raccogliere i
soldi lanciati dal ladro impunito. Di Totò all' inferno, 1955, si
alleggerisce la scena della seduzione di Fulvia Franco ma cade anche
la battuta del diavolo: «E' un onorevole, dallo in pasto agli
elettori».
E nello stesso anno Siamo
uomini o caporali viene sforbiciato sia nelle immagini di «signore
nude, indossatrici semisvestite» ma anche di frasi come: «questi
ministri (...) sono brutti, brutte espressioni, brutti visi»; o
anche: «si stava meglio quando si stava peggio».
Contenuta già nella
legge del 1923, la censura è assunta dall' Italia repubblicana senza
grosse modifiche rispetto a quel testo. Ma in più entra in uso la
prassi, per i produttori, di consegnare le sceneggiature già prima
dell' inizio delle riprese. Questo dovrebbe consentire ai funzionari
di indicare subito eventuali cambiamenti, ed evitare la bocciatura a
film ultimato.
Il cinema e lo
spettacolo, in assenza di un ministero, fanno capo alla presidenza
del Consiglio e, per delega, al sottosegretario. Giulio Andreotti
riveste questo ruolo nei governi De Gasperi dal 1947 al ' 53. Lavora
alla rinascita della cinematografia nazionale («dobbiamo
incoraggiare una produzione sana, moralissima e nello stesso tempo
attraente»), anche se il suo nome resterà legato ai «panni
sporchi» che il neorealismo, e De Sica in particolare, avevano
secondo lui il torto di esporre in pubblico.
I primi guai, Totò e i
suoi film li passano sotto Andreotti; di certo, per i censori il
comico surreale e burattino che si cala nei problemi sociali della
ricostruzione non va bene. Totò non è, non è mai stato di
sinistra; però - si ragiona così nelle commissioni censura - certi
registi (Monicelli) e certe tematiche populiste possono trasformarlo
in una pericolosa arma di critica al governo. Così, quando dopo
varie traversie i film ottengono il nulla osta, sono spesso bollati
con il divieto ai minori di 16 anni (e contemporaneamente dal
giudizio «Escluso» del Centro Cattolico Cinematografico).
Il culmine dell'
accanimento si registra nel ' 54, per Totò e Carolina di Mario
Monicelli. La strana coppia formata dal poliziotto buono e dalla
ragazza incinta scappata di casa eccita i più efferati interventi
che, dopo un anno e mezzo di battaglie, audizioni, polemiche,
arriverà nelle sale con oltre venti minuti in meno e un' infinità
di cambiamenti nelle parti parlate.
Di questo film, il caso
monstre dei nostri anni ' 50, si era occupato Tatti Sanguineti che
nel 1999 presentò a Venezia i risultati delle sue ricerche. «Faceva
parte del progetto "Italia Taglia" nato due anni prima»
spiega Sanguineti. «Una esplorazione sulla censura in Italia, una
ricostruzione della storia proibita del cinema italiano. Che oggi,
dopo una interruzione, può riprendere grazie a un nuovo
finanziamento ministeriale».
Il ' 54 però vede un
cambiamento di ruoli. Quell' anno al posto di Andreotti subentra
Oscar Luigi Scalfaro, certo meno addentro alle cose del cinema. E che
forse, insinua Alberto Anile, aveva ancora il dente avvelenato con
Totò. Tutto per via della lettera all' Avanti che il comico mandò
dopo l' episodio (1950) della signora Toussan, apostrofata dall'
onorevole Dc come "donna disonesta" perché in un locale
pubblico esponeva spalle e braccia scoperte. Sfidato a duello dal
padre e dal marito della donna, Scalfaro si rifiutò in nome del
«sentimento cristiano». E il principe Antonio Focas Comneno De
Curtis, in quella lettera, gli impartì una lezione di cavalleria.
Dal ' 54 al ' 62, anno
della nuova legge sul cinema (che introduce due divieti, ai minori di
14 e di 18 anni, e apre le commissioni di censura ai rappresentanti
delle categorie dello spettacolo), i guai di Totò si moltiplicano.
Si creano problemi per I soliti ignoti (titolo originario, bocciato,
Le madame), per I due marescialli, per Chi si ferma è perduto.
Prevedibili difficoltà incontra Arrangiatevi! girato in una ex casa
chiusa.
Ma l' episodio più
bizzarro tocca a Totò Peppino e la dolce vita (1961) che sconta,
insieme, gli ultimi rigori della vecchia legge e le vendette dei
censori che nulla avevano potuto fare contro il film di Fellini.
Cadono fotogrammi di feste, si cancellano battute sui ministri che
deviano l' autostrada per contentare i propri elettori, si cassano
allusioni alle «polverine», i giochi di parole con i Proci.
Insomma, un' ecatombe.
Totò, ormai quasi cieco
del tutto, assillato dalle tasse, si appresta a girare le cose più
alte della sua carriera: con Pasolini fa Uccellacci uccellini e i due
episodi, Il mondo visto dalla luna e Cosa sono le nuvole. Potrebbe
accomiatarsi sereno, se non fosse per l' ultimo spregio che viene
dalla Rai-Tv che, nel fargli confezionare gli episodi di un TuttoTotò
(1967), torna a vessarlo con assurdi tagli e rigidissime censure. E
pensare che lui sulla televisione aveva sempre avuto dei sospetti,
almeno da quando, 1958, durante una puntata del Musichiere, gli era
scappato un «Viva Lauro!» che gli costò un lungo ostracismo.
Conservatore,
aristocratico, monarchico e qualunquista si era trovato a far la
parte del sovversivo per troppi anni. Oramai, era veramente tempo di
chiudere. da «Totò, Peppino e... la dolce vita» Totò: «Qui
guardati intorno, sono tutti Proci!» Peppino: «Eh, me ne so'
accorto» Totò: «Oggi essere Procio è un titolo d' onore. Io, per
esempio, se fossi in te, dato che ci hai anche il fisico,
modestamente, fatti Procio!» da «La legge è legge» Totò: «Io
conosco un sacco di persone, personaggi importantissimi, pezzi
grossi, pezzi piccoli, pezzi medi, pezzettini così, figurati che
conosco il cognato del cugino di un portiere di un cardinale, eh!»
(Il cardinale diventerà sacrestano) da «Sua Eccellenza si fermò a
mangiare» Totò (mentre sta visitando una bella contadina): «Sì,
io più ti guardo e più mi convinco che tu sei opulenta. In questi
casi io consiglio sempre di mettersi a letto» (Taglio dalla
sceneggiatura)
Il Corriere della Sera - 28 gennaio 2005
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