29 luglio 2023

MEDITERRANEO IN FIAMME

 


Mediterraneo, quello che succede fa molta paura


Lan Wei e Rachida El Azzouzi
29 Luglio 2023

L’umanità entra ormai nell’”Era dell’ebollizione mondiale”, avverte il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres il 27 luglio. L’Organizzazione meteorologica mondiale e il servizio europeo sul cambiamento climatico Copernicus avevano appena annunciato che il luglio 2023 stava per diventare il mese più caldo della storia dell’umanità. Questa ebollizione ha già sprofondato nell’incubo 510 milioni di abitanti e tutti gli organismi viventi nel bacino mediterraneo. Nelle ultime due settimane, gli incendi boschivi sono infuriati in diversi paesi del Mediterraneo: Algeria, Grecia, Italia, Tunisia, Spagna, Portogallo, Croazia… Le temperature hanno battuto record in molte città: 49°C a Tunisi, 48,7°C C ad Algeri, 48,2°C a Jerzu (Sardegna), 47,8°C a Siracusa e 47°C e poi 52° a Palermo (Sicilia)… 

Nel nord dell’Algeria, che ha preso fuoco più del solito, i 140 incendi non sono stati completamente spenti e le perdite sono già pesanti. Almeno trentaquattro persone, tra cui dieci soldati, hanno perso la vita. Centinaia di case sono crollate, migliaia di ettari di foreste e raccolti, compresi alberi da frutto, sono stati distrutti.


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Nelle isole greche e nel centro del paese gli incendi si sono propagati ai piedi delle abitazioni. Quattro persone sono morte, tra cui due vigili del fuoco. 50.000 ettari di vegetazione sono stati bruciati, secondo l’Osservatorio Nazionale di Atene. Dall’isola di Rodi, un “inferno in terra” secondo gli abitanti, sono state evacuate 20mila persone. Stavros Ntafis, fisico dell’Osservatorio nazionale di Atene, dice che l’area bruciata ha superato i 45.000 ettari, il doppio rispetto allo scorso anno e il triplo rispetto al 2020.

In Sicilia, questa settimana, cinque persone sono morte a causa di gravi incendi. Le ondate di calore hanno sciolto le linee elettriche e paralizzato temporaneamente il traffico stradale e le reti di telefonia mobile, rendendo più difficile per i civili chiamare i soccorsi, dice Davide Faranda, ricercatore del Laboratorio di Scienze del Clima e dell’Ambiente, che segue da vicino le situazioni “catastrofiche” nella sua regione natale. “Gli incendi e il caldo hanno causato mega-impatti, stiamo raggiungendo il limite dell’adattamento agli estremi”, insiste.

Anche il mare bolle. Lunedì 24 luglio, l’Istituto di scienze marine di Barcellona ha annunciato un valore medio di 28,71°C nel Mediterraneo, la temperatura giornaliera più alta mai registrata. Nel Mar Ionio, al largo dell’isola di Corfù (Grecia), i valori hanno raggiunto i 31°C, “inaudito”, secondo Stavros Ntafis. “Non è solo un riscaldamento causato dalla variazione stagionale, la temperatura di questo mare sta aumentando di anno in anno. Quello che sta accadendo ci spaventa moltissimo”, avverte Sabrina Speich, oceanografa dell’Istituto Pierre-Simon-Laplace e professoressa di geoscienze all’École Normale Supérieure.

Gli estremi meteorologici sono il risultato diretto di due anticicloni straordinari successivi, che hanno interessato quasi tutta la regione mediterranea per più di due settimane. “È un fenomeno unico”, ha detto Emmanouil Flaounas, climatologo presso il Centro ellenico per la ricerca marina, che vive a Papagos, a nord-est di Atene. Di notte, la temperatura della città rimane spesso sopra i 26°C, la soglia per le ondate di caldo fissata dal servizio meteorologico greco.

Hotspot del deregolamento climatico 

Il cambiamento climatico aumenta la frequenza di questi fenomeni estremi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), su scala globale, le ondate di calore che si verificavano una volta ogni dieci anni e ogni cinquant’anni ora hanno la possibilità di riprodursi rispettivamente tre volte e cinque volte. In uno studio pubblicato martedì 25 luglio, World Weather Attribution, rete di ricerca internazionale specializzata nell’analisi di eventi estremi, ha attribuito al cambiamento climatico le ondate di calore vissute dall’Europa meridionale tra la seconda e la terza settimana di luglio.

La situazione nel Mediterraneo mostra ciò che il mondo potrebbe aspettarsi con un riscaldamento globale di +1,5°C. Se le emissioni derivanti dalla combustione di combustibili fossili hanno già aumentato la temperatura media globale di quasi 1,2°C rispetto ai livelli preindustriali, il bacino del Mediterraneo, dove i segnali del riscaldamento globale sono amplificati – è un punto caldo del cambiamento climatico, come le regioni polari – si è già riscaldato di 1,5°C.

E il futuro del bacino dipenderà dalla quantità di gas serra che l’umanità si permetterà di emettere nell’atmosfera. Uno studio della Rete mediterranea di esperti sui cambiamenti climatici e ambientali (MedCCC) indica che entro il 2100 la temperatura della regione potrebbe aumentare di ulteriori 0,5-6,5°C, a seconda delle traiettorie.

Rischio di mancanza d’acqua

In Tunisia “le piante sono state bruciate e gli animali hanno sofferto il caldo”, racconta Emna Gargouri, docente-ricercatore di idrologia all’Università di Tunisi El-Manar, che vive nella capitale. Le foglie degli ulivi chiudono le loro cellule per ridurre l’evapo-traspirazione a discapito della produzione di fiori e frutti, mostrando così un aspetto biancastro. Il caldo eccessivo ha portato le popolazioni locali in un circolo vizioso: le interruzioni di corrente erano frequenti, spiega la ricercatrice, “causate probabilmente da picchi di consumo di energia elettrica dovuti all’uso dei condizionatori”.

È evidente anche la grave siccità che colpisce l’intero paese, un problema a lungo termine aggravato dal caldo. A causa dei successivi episodi di grave siccità dal 2016 e dell’allarmante deficit di approvvigionamento idrico delle dighe – che potrebbe raggiungere il 66,1% in alcuni punti – la fornitura di acqua potabile è stata interrotta dall’oggi al domani dal 29 marzo 2023, riferisce.


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A Marrakech, dove le temperature hanno raggiunto i 47°C, l’effetto più eclatante delle altissime temperature è anche “la pressione sulle risorse”, aggiunge Mohamed Elmehdi Saidi, professore all’Università Cadi-Ayyad (Marocco). Questo “spinge lo stress idrico a livelli allarmanti, con il rischio di tagli all’acqua corrente”, dice preoccupato l’idrogeologo.

Secondo Yves Tramblay, idrologo presso l’Istituto di ricerca per lo sviluppo (IRD), gli scenari idrologici del Maghreb sono molto pessimisti. “I paesi del Maghreb dipendono molto dalle dighe, soprattutto per le colture agricole”. E aggiunge: “È catastrofico per le dighe”.

Il geografo tunisino Habib Ayeb, fondatore dell’Osservatorio della Sovranità Alimentare e dell’Ambiente in Tunisia, è preoccupato per la perdurante ingiustizia fatta al Sud: “Il Nord Africa non è solo un punto caldo del caos climatico, è un punto caldo della colonizzazione. Ed è questa colonizzazione che è in gran parte responsabile dei disastri che stiamo vivendo. Le ondate di caldo estremo che travolgono la regione, gli incendi micidiali che devastano il nord-est dell’Algeria, la siccità che batte record anno dopo anno rivelano – secondo il ricercatore – ancora una volta le disuguaglianze Nord-Sud che hanno le loro radici nella colonizzazione… Questo ci ha fatto precipitare nel sottosviluppo e il capitalismo frenetico ci ha imprigionati”.

Per Habib Ayeb, “è ora di farla pagare ai Paesi del Nord, quelli che inquinano il mondo, e che litigano se limitare il riscaldamento globale a uno o due gradi, come se stessimo trattando la vendita di una buona volontà mentre bruciamo”. Mentre in Nord Africa si aggravano le carenze idriche, risorsa essenziale per la vita, egli indica “sprechi devastanti”: “Nei nostri tre Paesi, Marocco, Algeria, Tunisia, ce n’è abbastanza per sfamare l’attuale popolazione se smettiamo di sprecare acqua, pompandolo come se fosse olio per irrigare colture esclusivamente destinate all’esportazione…”.

NB: come avevamo già scritto in Resistenze ai disastri sanitari ambientali ed economici nel Mediterraneo (scaricabile gratis) la situazione di quest’area è la più allarmante a livello mondiale… ma i governanti e i dominanti a tutti i livelli non solo non fanno nulla per frenare il disastro totale ma aumentano le fonti e cause di tale disastro che è pagato con la vita dalla popolazione meno fortunata. 


Pubblicato su Mediapart.fr (con il titolo originale En Méditerranée, «ce qui se passe nous fait très peur»), tradotto per Comune da Salvatore Turi Palidda (collaboratore del giornale indipendente francese)


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