10 settembre 2012

CHOMSKY: COME NASCE LA PAROLA.





Noam Chomsky, nato a Filadelfia nel 1928 da una famiglia di ebrei russi, è uno dei maggiori studiosi di linguistica. Docente al Massachusetts Institute of Technology, è noto per la sua teoria della grammatica generativa, che si concentra sulle strutture innate del linguaggio naturale. Inoltre Chomsky, sin dai tempi della guerra in Vietnam, critica da sinistra la classe dirigente degli Usa e gli intellettuali ad essa vicini. Tra le sue opere scientifiche tradotte in italiano: «Problemi di teoria linguistica» (Boringhieri, 1975), «La conoscenza del linguaggio» (Il Saggiatore, 1989), «Linguaggio e problemi della conoscenza» (Il Mulino, 1991). Il suo testo politico più noto è «I nuovi mandarini» (1969), ristampato quest’anno dal Saggiatore, il più recente uscito in Italia è «Siamo il 99%» (Nottetempo).
Proponiamo di seguito l’intervista, a cura di Massimo Piattelli-Palmarini, pubblicata ieri dal Corsera.





Noam Chomsky, linguista, filosofo, cognitivista e politologo considerato da molti iconoclasta, professore al Mit per oltre cinquantanni, il più citato autore vivente tra gli anni 1980 e 1992, e il piu famoso intellettuale pubblico secondo un sondaggio del quotidiano inglese «The Guardian» del 2005, torna in Italia in questo mese di settembre, a Pavia e poi a Trieste. In vista della sua imminente visita, lo vado a trovare a Well-fleet, tranquillissima cittadina di Cape Cod, degna di una cartolina, sua residenza estiva. Decidiamo di centrare l’intervista sulle sue frasi più famose, note a molti anche al di fuori degli ambienti accademici. Note, ma anche detestate da molti, linguisti compresi, in vari Paesi.
Inizio con la seguente, una delle sue più classiche: «Acquisire la propria lingua materna non è qualcosa che il bimbo fa, è qualcosa che gli succede». Il suo commento odierno è: «Proprio così. Il neonato immediatamente seleziona, nel mondo che lo circonda, ciò che appartiene al linguaggio. Nessun’altra specie biologica fa questo, nemmeno gli animali che hanno un sistema uditivo assai simile al nostro. Pochi mesi dopo, il bimbo già padroneggia il complesso degli accenti tonici, della prosodia elementare e della tonalità della lingua materna. Pochi mesi dopo ancora, padroneggia la struttura di base dei suoni della lingua materna, e ve ne sono molte e diverse tra di loro, nel mondo. Nel frattempo, acquisisce anche padronanza delle strutture sintattiche e del significato delle parole. Questo va ben oltre quello che il bimbo può manifestare all’esterno. Lo si è visto con ingegnosi esperimenti. Tutto ciò supera largamente la quantità e la qualità dei dati linguistici che il bimbo riceve dall’ambiente che lo circonda. Questo processo poi si estende molto al di là di queste basi, fino a raggiungere presto strutture di straordinaria complessità, strutture che ogni parlante usa e interpreta senza alcuna difficoltà. Tutto ciò avviene senza consapevolezza e senza sforzo. Né il bimbo né noi adulti ne abbiamo consapevolezza. È come lo sviluppo delle gambe e delle braccia o il raggiungimento della pubertà».
Un’altra espressione spesso usata da Chomsky è che il linguaggio cresce nel bimbo, non è qualcosa che si impara. Infatti, un’altra sua frase famosa è: «Il valore scientifico (si noti bene scientifico) dell’espressione il bimbo impara la lingua materna è lo stesso di quello dell’espressione il sole sorge e tramonta, cioè zero». Lo incalzo su questo punto. Risponde: «Le ragioni sono quelle appena riportate qui sopra. Se questo è un apprendimento allora ogni crescita di organi biologici sarebbe un apprendimento. Certo, vi sono alcuni aspetti del tutto marginali del linguaggio che vengono letteralmente insegnati e imparati, talvolta a fatica, ma lo stesso vale per insegnare e imparare a mangiare usando forchetta e coltello».
Un’espressione famosissima, introdotta da Chomsky molti anni fa, è la seguente: «Verdi idee incolori dormono furiosamente (Colorless green ideas sleep furiously)». Ovviamente è sintatticamente perfetta e altrettanto ovviamente priva di senso. Da contrapporre all’espressione ovviamente sgrammaticata «verdi incolori furiosamente idee dormono». Ecco il suo commento su questo esempio: «Era uno tra molti altri esempi che illustrano come il concetto di frase grammaticale non possa essere spiegato da alcuna delle ipotesi allora correnti. Non in termini di buon significato, né di approssimazione statistica della probabilità che una parola ne segua un’altra, né di schemi canonici di frasi».

Infatti, aggiungo per chiarezza, prendendo milioni di frasi dell’italiano, per esempio il corpus di cinquant’anni di frasi pubblicate sul «Corriere della Sera», la probabilità che la parola «verdi» segua la parola «incolori» o che la parola «furiosamente» segua la parola «dorma» è esattamente zero.
Chomsky prosegue: «Questa frase in particolare ha il vantaggio di essere molto semplice e di confutare le ipotesi allora correnti. Subito, duole dirlo, l’esempio venne frainteso in ogni modo possibile (e questo succede in ogni scienza, pensiamo al caso di termini come relatività o selezione naturale). Venne detto che la frase può essere usata in una poesia, ma allora in una poesia si potrebbe usare la frase con un ordine differente delle parole. Altri esempi, più complessi, e altrettanto validi, non sono mai diventati noti come questo».
Spesso Chomsky ha detto: «Se uno scienziato marziano esaminasse senza preconcetti tutte le lingue parlate sulla Terra, concluderebbe che parliamo tutti la stessa lingua». Gli chiedo un commento: «Cinquant’anni addietro era comunemente dato per scontato, dai linguisti di professione e dalla gente comune, che le lingue possono differire illimitatamente una dall’altra e che bisogna studiarle separatamente una per una. Avrebbe dovuto apparire ovvia, sulla base di questo assunto, l’impossibilità di ogni bimbo di acquisire la propria lingua materna. Negli ultimi cinquant’anni molto abbiamo capito su ogni componente del linguaggio ed è apparso sempre più chiaramente che tutte le lingue sono, alla base, modellate sullo stesso calco. Molto probabilmente le radici comuni delle lingue non possono essere alterate, perché sono parte della nostra natura cognitiva intrinseca».

Incalzo, ricordandogli che ha anche applicato questa riflessione al mondo della biologia. Meglio, ad altri rami della biologia, oltre a quello del linguaggio. Alla luce delle ultime scoperte genetico-evoluzionistiche e della fusione tra studio dello sviluppo e studio dell’evoluzione («evo-devo» in gergo), a detta di Chomsky, «fondamentalmente, esiste solo un tipo di animale».
Il suo commento: «Anche in biologia, non molti anni addietro, alcuni insigni biologi sostenevano che le specie possono differire tra di loro senza alcun limite (cita ad esempio, uno tra tanti, il genetista Gunther Stent, recentemente deceduto). Oggi sappiamo che non è vero. Le molte scoperte recenti hanno perfino suggerito ad alcuni biologi che esista un genoma universale per tutti gli organismi complessi, sviluppatosi fino dall’esplosione evoluzionistica del Cambriano, circa 500 milioni di anni or sono. Le differenze tra le specie risultano oggi essere il prodotto di diversità nei tempi di attivazione e regolazione dei geni, e nella distribuzione in organi diversi di processi comuni. Le radici del processo di sviluppo organico sembrano essere sempre le stesse. Questo è un percorso normale nella scienza. Inizialmente capiamo poco e il processo ci appare estremamente complesso e variabile. Poi cominciamo a capire meglio e le cose si mettono al loro posto, spesso in modi del tutto inattesi e allora una profonda semplicità emerge, con gradevoli conseguenze anche di tipo estetico».
Chomsky è stato da molti anni, ed è tuttora, assai critico verso i tentativi di accomunare il linguaggio ai vari sistemi di comunicazione animale. Una delle differenze fondamentali consiste nella capacità di connettere segni e segnali a entità del mondo circostante. Tale connessione è diretta nel mondo animale, ma molto indiretta per le nostre parole. Gli chiedo di spiegarlo: «Lo studio della comunicazione animale rivela che ogni segnale, grido o gesto, si abbina a un oggetto o un evento particolare nel mondo circostante e che un osservatore esterno coglie questo abbinamento. Una scimmia può segnalare a un’altra scimmia qualcosa come Ho fame, un suo stato fisiologico, oppure Un predatore si avvicina. In contrasto netto, perfino le nostre parole più semplici come acqua, fiume, albero, persona e simili hanno caratteristiche molto diverse. Presuppongono sempre il punto di vista di chi le produce. La parola Londra per esempio, fa riferimento a entità tra loro molto disparate».
In passato Chomsky ha fatto l’esempio di espressioni come «Londra è carissima, inquinata, brulicante di folla e per lo più vittoriana».
Quindi, facciamo d’un solo tratto riferimento a un insieme di edifici, una bolla di aria intorno a un territorio, alle attività economiche che vi si svolgono e molto altro. Nessun singolo ente fisico può avere tutte queste proprietà. Ora aggiunge: «Supponiamo che Londra venga rasa al suolo da un incendio e venga ricostruita sul Tamigi alcune miglia più lontano, con differenti materiali, differenti stili architettonici e una diversa organizzazione. Diremo sempre che è Londra, ma nessuna entità fisica nel mondo può combinare tutte queste proprietà, alcune concrete, alcune assai astratte. Eppure le parole delle nostre lingue, anche le più naturali, hanno questa caratteristica, probabilmente universale. Questo pone seri problemi per l’acquisizione e l’evoluzione del linguaggio. Molti studi hanno affrontato questo problema, presupponendo che le parole abbiano sempre un referente esterno, qualcosa che, in linea di
principio, la fisica può identificare. Questo è vero per la comunicazione animale, ma falso per il linguaggio».

Una sola domanda di natura non linguistica. Ben ricordo, anni fa, la risposta che Chomsky dette in una conferenza, in una chiesa sconsacrata vicino ad Harvard, a un tizio che difendeva la persecuzione di Salman Rushdie, in quanto (a sua detta) i Versi Satanici contengono falsità su Maometto. Chomsky rispose «La libertà è libertà di dire bugie!».
La sua risposta oggi è questa: «Se una qualche autorità si attribuisce il potere di determinare che cosa dobbiamo prendere come Vero e che cosa come Falso e di punire ogni deviazione dai suoi editti, allora vivremmo in un sistema al cui confronto fascismo e stalinismo appaiono moderati. Chiunque, compreso Hitler e Stalin, è lieto di tollerare l’espressione di opinioni che condivide e ama. Coloro che credono nella libertà danno per scontato l’insegnamento dell’Illuminismo: io posso detestare quello che dici, ma difendo il tuo diritto di dirlo. È penoso constatare quanto la cosiddetta, auto-nominatasi, società civile si sia culturalmente deteriorata dopo l’illuminismo».
In quasi quarantanni di frequentazione, collaborazione e amicizia con Noam, mai l’ho visto esitare nell’esprimere ciò che considera vero, con una schiettezza che, agli occhi di alcuni, appare perfino brutalità. Riflesso della sua mentalità illuministica.



Intervista a cura di Massimo Piattelli-Palmarini, Corriere della Sera 9 settembre 2012. 
 

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