05 settembre 2012

Per Cesare Pavese









Pubblico con piacere il testo inedito di Barbara Lottero, insieme alle foto di Patrizia Flecchia, che ricostruiscono con amorevole attenzione il confino calabro di Cesare Pavese.





La memoria dei luoghi



“ Cara Maria, sono arrivato a Brancaleone domenica 4 nel pomeriggio e tutta la cittadinanza a spasso davanti alla stazione pareva aspettare il criminale che, munito di manette, tra due carabinieri, scendeva con passo fermo diretto al Municipio. (…) Qui ho trovato una grande accoglienza. Brave persone, abituate a peggio, cercano di tenermi buono e caro. (…) Qui, sono l’unico confinato. Che qui siano sporchi è una leggenda. Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa. (…) La grappa non sanno cosa sia. (…) La spiaggia è sul Mar Jonio, che somiglia a tutti gli altri e vale quasi il Po”
Cesare Pavese da Quaderno del Confino
in Lettere 1924-1944


L’estate è anche il tempo della pausa, per ritemprarsi e per ritrovare se stessi.
Questo tempo sospeso nell’asfissia del caldo, sosta immobile che prelude al cadere di foglie variopinte autunnali, può trasformarsi in tempo dei ricordi,  spazio aperto sulla memoria.
Capita, nel tornare alle proprie origini, di vivere l’aprirsi di uno squarcio che, così come in un sogno, inaspettatamente dal presente ci riconduce al passato.
Un passato, di cui s’ ignorava l’esistenza, si è aperto al mio cammino, questa estate,  a Brancaleone Calabro. Un paesino arroccato sulla costa Jonica della Calabria, dove, ancora nell’antico linguaggio grecanico, risuona la meraviglia della Magna Grecia.
Brancaleone più che uno spazio geografico è un piccolo luogo,incastonato a valle del Parco Nazionale d’Aspromonte, profuma d’essenza di bergamotto ma è anche esposto alla brutalità della ‘ndrangheta che a pochi Km, a San Luca, ha una delle sue roccaforti.
Così il nostro sud, tra bellezze naturali e abusivismo, tra terra natale di Corrado Alvaro e canne mozze. Un mondo che vive la legge del caos e che ti strazia nel devastante oscillare tra il bello e l’orribile, tra il poetico e il mostruoso.
Questo il contesto che si attraversa nell’andare a Brancaleone, dove dal 4 agosto del 1935 al 15 marzo del 1936, fu relegato al confino, con l’accusa di antifascismo, Cesare Pavese.
Un’amica, Patrizia che conosce quei luoghi, racconta - a Brancaleone ancora si parla di Cesare Pavese, solo due anni fa è scomparsa la donna protagonista dei suoi scritti-
La donna,di cui parla Patrizia, da Pavese chiamata Concia è così da lui descritta:

“con un passo scattante e contenuto, erta sui fianchi,
il viso bruno e caprino con una sicurezza che era un sorriso”

Cesare Pavese da Quaderno del Confino
in Lettere 1924-1944

Una descrizione breve ma che racchiude un compiuto profilo delle donne di Calabria.
All’ombra leggera di un gelso, come una carezza,mentre mi trovavo inondata dal celeste mare delle attenzioni familiari, un sentiero si è aperto.
Qui, in questa terra, Pavese, l’uomo che perdonò tutti e che a tutti chiese perdono, scontò la sua emarginazione.
Qui tra questi solchi aridi Pavese ha attraversato la sua solitudine, qui, a due giorni del suo arrivo, ha preso a scorrere la sua fiumara spirituale, il suo Mestiere di Vivere: diario 1935-1950, opera che segnò il passaggio dalla poesia alla narrativa.
Si, insomma, qui Cesare ha trovato una nuova fonte d’ispirazione, da qui, da Brancaleone, un sentiero di nuovi significati si è aperto nell’anima dello scrittore.
Da queste riflessioni alcune sollecitazioni.
Innanzitutto le date, il tempo segnato da alcune coincidenze: 1935, anno dell’allontanamento dal mondo, del confino a Brancaleone; 1950, anno della morte, della separazione dalla vita. Giusto il tempo racchiuso nel suo Mestiere di vivere: diario dal 1935-1950.Poi Roma,connotazione di uno spazio che si ripete in due luoghi importanti per Pavese. A Brancaleone, nel 1935, Pavese frequentava il Bar Roma dove amava intrattenersi in lunghe conversazioni; Hotel Roma a Torino dove nel 1950  si tolse la vita.
Forse a Brancaleone Pavese iniziò un confino dall’ esistenza che non terminò mai e che lo condusse al suicidio?
Da questa domanda una giostra di connessioni comincia a prendere movimento: il fascismo e il confino; le langhe e le fiumare; lo scrittore e la sua solitudine; una stanza per l’esilio e una stanza per la morte.
Un diario per tenere insieme tutto. L’impossibilità di contenere tutto.
Così il tempo presente, per incanto, si apre al passato; così il ritornare della consapevolezza che conoscere altro non è se non ricordare, infine l’inizio dell’avventura del ricercare.
Una donna che certamente ama camminare, che ama percorrere i sentieri che conducono alla scoperta, da lontano mi ha presa per mano, mi ha regalato una serie di dettagli e d’indicazioni.
Racconta Patrizia, la mia amica d’avventura, che qualcuno ha acquistato la casa dove Pavese ha soggiornato e che la stanza dello scrittore è intatta, ancora oggi così come lui l’ha lasciata. Racconta che a Brancaleone  vive un uomo che prese lezioni di latino e greco da Pavese.
Lei, Patrizia,  ama inoltrarsi tra le pieghe dolorose della Calabria, alla ricerca dell’anima forte che questa terra aspra come il suo monte custodisce, racconta di Pavese e di tante altre storie. Come in una ragnatela i narrati cominciano a tessere l’ intrigato infittirsi di - narrazioni dentro narrazioni- come a lei piace dire.
Ma d’improvviso, il suo narrare mi ha tolto il fiato.
Dagli intrigati sentieri, d’un tratto la sorpresa della radura, dello slargo aperto che oltre i luoghi riempie l’anima di vita, sullo schermo del mio computer un meraviglioso regalo, le fotografie della stanza in cui soggiornò Cesare Pavese a Brancaleone.











“Io non  sto in un albergo, ma in una cameretta mobiliata piena di scarafaggi e quando piove (l’inverno sarà tutta pioggia) si allaga come una barca”

Cesare Pavese da Quaderno del Confino

Così, in questi momenti la vita diventa poesia e comprendi l’intimo perché dei poeti, capace di dischiudere le storie che un luogo custodisce.

“Un paese ci vuole, non fosse altro che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante,
nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”
Cesare Pavese da La luna e i falò


BARBARA LOTTERO


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