14 novembre 2021

D. GAMBINO, I racconti sui tesori saraceni legati alla leggenda del Marabito

 



LA LEGGENDA DEL MARABITO – SECONDA PARTE

I RACCONTI

IL TESORO DEI SARACENI 


In tempi a noi molto remoti i Saraceni, o Arabi che dir si voglia, avevano un castello sulla cima del Pizzo di Case a difesa delle loro abitazioni perché temevano le incursioni dei nemici; ciò malgrado un giorno, mentre erano intenti al lavoro, furono assaltati e le case distrutte. Fu così che essi, prima di abbandonare il paese, raccolsero tutti i loro immensi tesori e li nascosero nelle caverne del Monte Marabito consegnandoli in custodia ai diavoli, che da allora zelanti li custodiscono.

Il Marabito, difatti, al suo interno è pieno di caverne e le pareti sono tutte coperte d’oro e vi si trovano in abbondanza pietre preziose e diamanti d’ogni specie. Vi si trova, anche, un gran castello dorato dimora di Marabella, un’alta e nobile donna figlia di un potente re che ivi regna da regina e qualcuno riferisce che ella divide il suo trono con la sorella Maria Costanza. Il castello è stracolmo di innumerevoli gioie ed è protetto da due mori giganteschi e da un gran cerbero che sta a guardia della porta d’entrata per impedire l’accesso ai profani.

Da tempo immemorabile molte persone hanno avuto l’audacia di introdurli nelle caverne del Marabito ed hanno avuto anche la fortuna di vede con i propri occhi gli immensi spazi ripieni di verghe, di monete d’oro, di vasi preziosissime e di gioie. A loro è stato anche permesso di maneggiare gli oggetti preziosi, di divertirsi a giocare con delle bocce d’oro e perfino di riempire i sacchi e le tasche di monete d’oro e altri gioielli, di sognare grandi ricchezze per cambiare la loro misera esistenza, ma i demoni non hanno permesso mai a nessun o di portar via l’oggetto più minuto e gli invasori non hanno trovato l’uscita fin quando hanno trattenuto addosso anche la moneta più piccola.

Eppure, non tutto l’oro è sotto la stretta sorveglianza dei diavoli. E’ notorio che anche i dintorni della montagna nascondono ineguagliabili tesori, ma nessuno sa dove si trovano con precisione e per trovarli bisogna scavare e ancora scavare ed essere baciati dalla fortuna. La quantità d’oro nascosto è tale che anche l’erba che vi cresce ne è impregnata e i pastori, che in quella contrada portano le loro greggi a pascolare, trovano dorati i denti del loro bestiame.


IL CANE

Fu così che alcuni diligenti individui, a conoscenza che altri avevano visto con i propri occhi i tesori custoditi negli antri della montagna e consapevoli dell’impossibilità di poter trafugare un qualsiasi piccolo oggetto di valore, si persuasero che per far ciò, l’unico modo fosse di escogitare un tranello per trarre in inganno i diavoli guardiani.

L’idea non tardò ad arrivare e messo a punto il piano, un giorno essi si avviarono verso la montagna; raggiunta l’imboccatura entrarono nella grotta e poterono vedere l’immensa ricchezza e toccare i gioielli con le proprie mani. Avevano portato con loro anche un cane, e nascoste in mezzo a pezzi di pane alcune monete, gliele diedero in pasto. Poi lo legarono con una lunga e robusta corda ed uscirono tranquillamente all’aperto. Ma quando dall’alto tirarono la corda, questa si ruppe; allora, chiamarono il cane con il consueto fischio e attesero a lungo il suo ritorno, ma l’animale uscì fuori soltanto il giorno dopo quando, terminata la lunga digestione, ebbe evacuato tutte le monete d’oro che gli avevano fatto inghiottire.


LA FIERA SETTENNALE

Ogni sette anni nella pianura che si estende alle falde del Pizzo Marabito si tiene una fiera. Essa ha luogo verso la mezzanotte ed è resa grandiosa dalle luminarie, dagli spettacoli di canti e di balli e dai giochi pirotecnici. E’ frequentata da numerosi mercanti che nelle loro bancarelle vendono animali e merce d’ogni specie.

Per potere vedere la fiera occorre, però, essere assolutamente ignari della sua esistenza, tanto che chiunque fosse a conoscenza dell’avvenimento e si recasse nei dintorni del luogo, o vi passasse anche per caso, non vedrebbe proprio nulla.


IL VITELLINO D’ORO

Si racconta che un contadino di Campofelice di Fitalia fosse uscito dalla sua casa quand’era ancora notte per andare nel suo podere, lontano dal paese, per trovarsi così sul posto di lavoro appena fatto giorno. Cammina cammina, pervenendo nei pressi del Marabito, vide con sua grande meraviglia che proprio ai piedi della montagna si stava svolgendo una grande festa con una illuminazione bellissima e tantissime bancarelle; c’era un gran vociare di gente e mercanti che vendevano roba di ogni genere in gran quantità e, poi, alla fine assistette allo sparo di giochi d’artificio.

Colto da forte spavento stava per scappar via quando alcuni mercanti lo chiamarono e gli offrirono a un misero prezzo quanto avevano di meglio. Un bue al costo di un soldo, un agnellino per una grana ma il contadino, che non possedeva proprio nulla, si trovò nella condizione di non poter acquistare niente e dovette rifiutare ogni offerta. Un mercante allora gli rovistò con attenzione le tasche e con sua meraviglia gli trovò una monetina che trattenne in cambio di un vitellino. Il brav’uomo, stupefatto di tutto ciò che stava accadendo non trovò più la forza per proseguire e ritornò a casa con l’animale che si trasformò in un mucchio d’oro che lo fece diventar cieco.


LE ARANCE D’ORO

Altre persone, ignare dell’esistenza della fiera settennale, hanno potuto assistere all’evento; si racconta che un povero pastore, trovandosi di notte a passare nei pressi della montagna, assistette alla singolare fiera e potè aggirarsi tra le bancarelle dove erano esposte merci in gran quantità e frutta bellissima. Da un mercante ricevette in dono due arance che conservò nella saccoccia e quando tornò a casa le regalò alla sua padrona, la quale accorgendosi che erano d’oro le trattenne e ricambiò l’ignaro pastore con pochi spiccioli.


I CERCATORI D’ORO

Il sottosuolo dei dintorni del Marabito, come è noto, è cosparso d’oro.

Un giorno alcuni contadini che avevano individuato il luogo, si munirono di vanghe e cominciarono a scavare; dopo aver scavato a lungo e persa quasi ogni speranza, un colpo di zappa diede un cupo rintocco. Procedettero, quindi, con molta cautela per liberare l’oggetto misterioso dalla terra e dalle pietre e videro apparire una grande pentola di creta. Gli uomini trasalirono nella consapevolezza che il tesoro stava proprio lì con assoluta certezza e pensarono d’essere diventati ricchi; in fretta liberarono la pentola e tolsero il coperchio, ma provarono una gran delusione. Esso conteneva “scorci ri vavaluceddi”, ovvero gusci di lumache.

I demoni, avendo visto scoperto il loro tesoro, lo avevano sostituito con quei rifiuti.


PER UNA PARIGLIA DI BUOI

Si narra ancora che un contadino di Campofelice di Fitalia, tra i primi abitanti del paese, un certo Antonino Ruggero, si ritrovò con un mucchio d’oro tra le mani, ma per sua sventura i fece sfuggire la fortuna.

Lui stesso raccontava che nel mese di Novembre s’era recato nel suo podere del Marabito per arare il terreno quando, dopo qualche ora di lavoro, affaticato per aver spinto la pariglia di buoi perché il terreno era compatto, sentì una voce misteriosa provenire dalla montagna che lo avvertiva: “Stai attento, che il vomero del tuo aratro sta per fare affiorare l’oro della terra”.

Il contadino trasalì e nel medesimo istante il vomero sprofondò nel terreno e rimosse l’oro. Si udì il tintinnio del prezioso metallo e dalla terra arata affiorò una grande quantità d’oro. In un primo momento il pover’uomo rimase immobile a contemplare l’inestimabile ricchezza ma, subito dopo lo smarrimento, si affrettò a prendere le bisacce e affannosamente cominciò a riempirle d’oro.

Gli animali spaventati dal tintinnio e dal luccichio si imbizzarrirono e si diedero a correre trascinandosi l’aratro che si ruppe. Il contadino per istinto corse per recuperare i buoi ma, quando tornò nel luogo della trovatura, con sua amara sorpresa dovette constatare che l’oro si era trasformato in carbone. Egli non trovò più la forza per continuare a lavorare e ritornato in paese raccontò quanto gli era successo a parenti e amici.

Lo sfortunato contadino non solo fu rimproverato dalla famiglia ma fu anche deriso dai compaesani: per non perdere una pariglia di buoi si lasciò sfuggire l’occasione di diventar ricco.


SE CADE LA MONTAGNA

Si è tramandata da padre in figlio la profezia della caduta del Marabito.

Il popolo sa bene che se dovesse cadere la montagna di Marabito tutti i tesori che sono nascosti nelle sue viscere affiorerebbero, ma il crollo provocherebbe la distruzione di sette paesi, i più vicini che si ammirano dalla sua sommità: Campofelice di Fitalia, Godrano, Cefalà Diana, Villafrati, Baucina, Vicari e Caccamo.

Si salverebbe Mezzojuso perché rimane nascosto dalla cima del monte.


Domenico Gambino




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