Memoria contro la tempesta
«Nel concetto di progresso va riconosciuto il fondamento della sua rovina: il progresso è una tempesta che accumula rovine su rovine.»
— Walter Benjamin, Sul concetto di storia (Tesi IX), in Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1995.
Walter Benjamin ci parla da una soglia estrema: il 1940, l’Europa in fiamme, i regimi totalitari che avvolgono tutto. È un ebreo costretto a fuggire, inseguito dal nazismo, schiacciato dall’angoscia di una fine imminente. È in questo contesto che nasce l’immagine folgorante dell’Angelus Novus, il quadro di Paul Klee che Benjamin aveva acquistato e che diventa il simbolo della sua filosofia della storia.
L’angelo, con il volto rivolto al passato, vede un’unica catastrofe: le rovine che si accumulano, le vite spezzate, la storia dei vinti che si fa cumulo di macerie. Ma una tempesta lo spinge irresistibilmente in avanti. Quella tempesta, dice Benjamin, è ciò che chiamiamo progresso.
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L’illusione del progresso
Benjamin ci mette in guardia contro una fiducia ingenua: credere che la storia proceda in una linea ascendente, che ogni epoca sia migliore della precedente. Dietro ogni invenzione e ogni vittoria c’è un prezzo umano, sociale, ambientale. Le voci dei vinti, degli esclusi, dei dimenticati rischiano di essere sepolte sotto la narrazione dei vincitori.
Il progresso non è neutrale: è un vento che trascina senza sosta, senza lasciare il tempo di fermarsi, di raccogliere le rovine, di ascoltare le grida soffocate. È una forza che può abbagliare, ma che porta con sé l’ombra del sacrificio.
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Che cosa dice a noi
E a noi, oggi, cosa dice Benjamin? Che non possiamo adagiarci sulla favola rassicurante della modernità che “migliora tutto”. Ogni nuova conquista tecnologica, ogni record economico, ogni promessa di futuro porta con sé un rovescio: desertificazione, diseguaglianza, emarginazione. Se non impariamo a guardare le macerie, il progresso rischia di diventare rovina di se stesso.
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Un compito quotidiano
Il Mattutino laico è allora un invito: fermarsi, osservare, non lasciarsi trascinare ciecamente dalla tempesta.
Fare memoria di ciò che è stato distrutto, custodire le voci dimenticate, ridare parola a chi è stato escluso dal racconto.
Benjamin ci ricorda che la storia non è una marcia trionfale. È un campo di macerie. Eppure, in mezzo a quelle macerie, ogni attimo porta con sé una possibilità di riscatto. La dignità di una scelta, la fedeltà alla memoria, il gesto di custodire l’umano.
Il mattino, allora, non è soltanto l’inizio di un giorno nuovo: è la soglia in cui decidiamo se lasciarci trascinare dalla tempesta o se diventare, anche noi, custodi della memoria e seminatori di futuro.

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