30 novembre 2012

IL VUOTO E IL PIENO...





Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi.

Così meglio intendo il tuo lungo viaggio

imprigionata tra le bende e i gessi.

Eppure non mi dà riposo

sapere che in uno o

in due noi siamo una cosa sola.


E. Montale



DRINKING AGAIN...


SULLE FIABE DEI FRATELLI GRIMM





Usciva 200 anni fa la prima edizione della celebre raccolta di fiabe dei fratelli Grimm che ricercavano l’essenza della cultura e dell'identità nazionale del popolo tedesco. La questione andava ben oltre gli ambiti del risorgimento politico delle nazioni senza Stato. Un secolo dopo,  anche basandosi sul lavoro pionieristico dei Grimm,  Propp e Jung avrebbero chiarito, con modalità diverse ma convergenti, che  aprire un libro di fiabe significa immergersi nelle stanze più profonde dell'animo, perchè il linguaggio e l'andamento della fiaba (e del sogno), rappresentano il luogo privilegiato della manifestazione degli archetipi.


Jack Zipes -  Sono le fiabe a tenere insieme le comunità
Ciò che affascinava o imponeva ai Grimm di concentrarsi sull’antica letteratura tedesca era la convinzione che le forme culturali più pure e spontanee - quelle che tenevano insieme una comunità - fossero quelle linguistiche e che bisognasse rintracciarle nel passato. Essi ritenevano inoltre che la letteratura «moderna», per quanto assai ricca, fosse una creazione artificiale e in quanto tale incapace di esprimere l’essenza genuina della cultura del Volk, che scaturiva in modo spontaneo dalle esperienze degli individui e li teneva insieme. Per questo dedicarono tutte le loro energie alla riscoperta delle storie del passato. E per questo il loro amico, il poeta romantico Clemens Brentano, chiese loro di raccogliere ogni genere di racconto popolare con l’intento di servirsene per un volume di fiabe letterarie. Nel 1810 essi gli inviarono 54 testi che per fortuna ricopiarono. Dico per fortuna, perché Brentano finì col perdere il manoscritto nel monastero di Ölenberg in Alsazia e non utilizzò mai quei testi.
Ma nel frattempo i Grimm continuarono a raccogliere le fiabe da amici, conoscenti e colleghi, e quando capirono che Brentano non avrebbe più utilizzato il loro manoscritto, decisero di seguire il consiglio del comune amico e autore romantico Achin von Arnim e di pubblicare la loro raccolta, che nel frattempo era arrivata a comprendere 86 storie - quelle che per l’appunto pubblicarono nel 1812 e cui si aggiunsero le altre 70, che pubblicarono nel 1815. Queste due raccolte costituirono la prima edizione, corredata di note e prefazioni scientifiche. [... ]

Pur non avendo ancora del tutto formulato la loro teoria del folclore e malgrado le differenze esistenti tra Jacob e Wilhelm - quest’ultimo avrebbe poi infatti optato per una più decisa revisione poetica dei testi raccolti - i fratelli si attennero in sostanza al loro intento originario dal principio alla fine del lavoro sui Kinderund Hausmärchen: recuperare i resti del passato. In senso più generale, i Grimm cercarono di raccogliere e preservare come gemme sacre e preziose ogni genere e tipo di traccia del passato, vale a dire racconti, miti, canti, favole, leggende, epopee, documenti o altre forme di creazione dunque non solo fiabe. L’intento era di rintracciare e cogliere l’essenza dell’evoluzione culturale e dimostrare come la lingua naturale, che sgorgava dai bisogni, dagli usi e dai rituali della gente comune, creasse legami autentici e contribuisse a modellare le comunità civili. È questa una delle ragioni per cui definirono la loro raccolta un manuale educativo ( Erziehungsbuch ), in quanto le fiabe richiamavano ai valori basilari dei popoli germanici e degli altri gruppi europei e l’uso di raccontarle aiutava gli individui a far luce sulle loro stesse esperienze. [... ]

I Grimm cercavano di valorizzare e sostenere la necessità di raccontare storie per creare legami tra gli individui i quali, proprio attraverso il racconto, mettevano in comune le proprie esperienze. Erano convinti che ogni storia e ogni sua variante fossero importanti per mantenere viva la tradizione culturale. Essi rispettavano la differenza e la diversità e allo stesso tempo affermavano che «lo scopo della nostra raccolta non era solo servire la causa della storia della poesia. Il nostro intento era che la poesia insita in essa producesse un effetto, quello di procurare piacere ovunque possibile, diventando perciò un manuale educativo». [... ]

Se c’è un’edizione delle fiabe dei Grimm che meglio rappresenta gli intenti e gli ideali che essi perseguirono fino al 1857 è senz’altro la prima, poiché essi non ne cesellarono né rifinirono le storie come fecero nelle successive edizioni. In esse riusciamo infatti a percepire distintamente le voci dei raccontatori da cui i Grimm le ricevettero e in questo senso le storie, alcune anche in dialetto, sono più autenticamente popolari e genuine, benché talvolta non esteticamente gradevoli come le versioni poi rifinite. In altre parole, i Grimm lasciarono parlare le storie stesse in un modo assai schietto se non proprio grossolano, il che dona a esse quel senso di verità pura e semplice o quel valore educativo voluto dai Grimm. 

Soffermandosi sulle fiabe della prima edizione, la prima cosa che il lettore potrà notare è che molte storie furono eliminate dalle successive edizioni per varie ragioni, non narrative, ma in quanto sprovviste dei requisiti voluti dai Grimm, che in prima istanza si sforzavano di pubblicare fiabe di chiara origine tedesca. Per esempio, Il gatto con gli stivali, Barbablu, Principessa Pel di topo eOkerlo furono considerate in seguito troppo francesi per essere ripubblicate. Più tardi i Grimm capirono che questo era un criterio sbagliato, perché era e resta impossibile conoscere le origini certe delle fiabe popolari. Malgrado non sia oggi possibile sapere con certezza perché alcune fiabe furono poi omesse o spostate nelle note, di altre come La Morte e il guardiano d’oche sappiamo invece che venne levata per i suoi tratti letterari barocchi; La matrigna, per la sua natura frammentaria e brutale; Gli animali fedeli, per la sua derivazione dal Siddhi-Kür, una raccolta di fiabe della Mongolia. Col tempo, via via che continuavano a raccogliere varianti provenienti da fonti orali o scritte, ricevute da amici e colleghi, i Grimm rimaneggiarono alcune fiabe della prima edizione combinando le diverse versioni, sostituendo altre con le nuove e spostando altre ancora nelle note di commento.

 La seconda cosa che il lettore potrà notare nelle fiabe della prima edizione è che molte di esse sono più brevi e incredibilmente diverse rispetto alle versioni pubblicate nelle successive edizioni. In esse c’è un sapore di oralità e di materia viva. Raperonzolo, per esempio, svela di essere rimasta incinta del principe; la madre di Biancaneve, e non la matrigna, vuole uccidere la sua bellissima figlia per invidia. In terzo luogo, il lettore noterà subito che tutte queste fiabe sono scarne e poco o per niente descrittive. L’enfasi è tutta sull’azione e sulla soluzione dei conflitti. Chi le racconta non mena il can per l’aia. È propenso a comunicare le verità che conosce e anche quando ci sono di mezzo magia, superstizioni, trasformazioni miracolose e brutalità, crede nelle sue storie. La metafora traccia una mappa della realtà di chi ascolta e spinge le persone a imparare dai simboli in che modo affrontare le loro realtà.

(Da: La Stampa del 30 novembre 2012)

29 novembre 2012

TORNIAMO A PARLARE DI PIRANDELLO





FRANCESCO VIRGA – PIRANDELLO E IL FASCISMO

Bernardo Puleio ha rievocato una delle pagine meno gloriose della vita di Luigi Pirandello: la sua adesione al movimento fascista all’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti.
Puleio ha ricostruito sommariamente la coda polemica che il gesto dello scrittore agrigentino suscitò nell’opinione pubblica del tempo; polemiche che toccarono l’apice in un duro scontro editoriale tra due periodici di allora: Il mondo, diretto da Giovanni Amendola, e  L’Impero di Telesio Interlandi (mi pare opportuno ricordare che Il mondo, insieme a tutta la stampa indipendente dal Regime, venne messo a tacere nel 1925).
Su Il mondo Amendola arriverà a definire Pirandello “un uomo volgare”. Ma è probabile che l’uomo politico liberale, uno dei più coerenti del tempo, non sarebbe giunto a tanto se l’agrigentino non avesse rilasciato a L’Impero un’intervista nella quale si scagliava contro la timida opposizione liberale al nascente Regime chiedendo misure più radicali per stroncarla.
E’ già stato notato che, per comprendere fino in fondo lo stato d’animo che condusse Pirandello all’infelice scelta politica, bisogna tenere presente – oltre al suo costituzionale temperamento antipolitico che lo conduceva ad aborrire ogni tipo di mediazione e compromesso – il disprezzo profondo da lui mostrato, molto tempo prima dell’avvento  del fascismo, nei confronti della classe politica liberale che, secondo il suo punto di vista, aveva tradito le speranze garibaldine condivise da un suo antenato. Per descrivere questa amara delusione Pirandello scrisse un romanzo intero, il suo unico romanzo storico, intitolato I vecchi e i giovani , la cui prima edizione risale al 1909.
Questa delusione non giustifica, comunque, la sua adesione al fascismo. Adesione che contraddice radicalmente la lettera e lo spirito dell’arte pirandelliana. Basti pensare al suo profondo disprezzo per la retorica dannunziana, vero e proprio incunabolo della cultura fascista, che Pirandello esprimerà direttamente in occasione della celebre commemorazione di Giovanni Verga.
 Ma, in verità, è tutta la sua opera, la sua concezione dolorosa e tragica della vita, il suo particolare umorismo – definito,  non a caso, sentimento del contrario – a renderlo incompatibile con il fascismo. Una indiretta prova viene anche dai fischi che accompagnarono le sue prime teatrali, negli anni trenta, a Roma e a Berlino. In quest’ultima città, addirittura,  nel 1933, con l’avvento al potere di Hitler, venne vietata la rappresentazione delle sue opere teatrali. 
L’unica possibile spiegazione, per quanto irrazionale, del suo approdo al fascismo, credo che l’abbia data Leonardo Sciascia che, con la sua consueta arguzia, parlando di un famoso studioso di letteratura latina approdato allo stalinismo, ha osservato:
“Concetto Marchesi […] dichiarò fede allo stalinismo forse per il sentimento stesso per cui Pirandello dichiarò fede al fascismo: per misantropia, per pessimismo, per dispetto e disprezzo” (L. Sciascia, Alfabeto pirandelliano, Adelphi, 1989, pag. 54)


"LA MAFIA E' DENTRO LA REGIONE"



Nella edizione palermitana de La Repubblica odierna il nuovo Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, spara a zero contro "il sistema d'affari" che si e' sviluppato negli Assessorati regionali. Crocetta sembra che abbia scoperto solo negli ultimi giorni che "la mafia è dentro la Regione". 
Se avesse tenuto gli occhi aperti e letto Sciascia, senza seguire il consiglio di quell'Assessore che invitava a smettere di leggerlo, non  avrebbe tardato tanto a scoprirlo!
f.v. 








28 novembre 2012

ILVA E PRIMARIE





Non condividiamo molto della linea editoriale de Il Fatto, non ci piace il suo manicheismo che tende a dividere il mondo in buoni e cattivi. Crediamo che la realtà sia sempre più complessa e articolata. Ma riprendiamo questo articolo perchè ci permette una brevissima considerazione sul momento politico attuale.
Ricordate quanti film (da Il Candidato a Idi di Marzo) abbiamo visto sulle primarie USA dove il candidato progressista e liberal si rivelava dietro le quinte un cinico manipolatore del consenso? E'un film triste che non vorremmo rivedere ancora.





Antonello Caporale - Rappresaglia: l’ILVA chiude. Ora Bersani restituisca i soldi a Riva.


È il sapore acre della rappresaglia. È la manifesta volontà di rispondere all’inchiesta della magistratura con la più minacciosa delle ritorsioni possibili. Chiudere l’Ilva a Taranto significa non solo mandare nella disperazione cinquemila famiglie, ma mettere i lucchetti ad altri cinque stabilimenti in Italia e provocare, alla vigilia di Natale, il più acuto dei conflitti sociali. La famiglia Riva chiude i cancelli dopo la pubblicazione dei faldoni che raccontano le collusioni e connivenze di cui hanno goduto. Sputare sulla verità, piegarla quotidianamente agli interessi di chi da quel veleno ha tratto milioni di euro di profitti, sembra sia stato il compito dell’azienda, aiutata da una fetta del mondo sindacale, da una parte del giornalismo e naturalmente dalla politica. 

I Riva hanno sempre goduto di vasti appoggi. E spesso, benché lontani dal mondo romano, hanno trovato ascolto le loro perorazioni, le richieste continue alla diluizione nel tempo delle minime, essenziali opere di messa in sicurezza del lavoro di migliaia di operai e della tutela della salute di una intera città. Era questo il sistema Taranto. E oggi cosa dice Pier Luigi Bersani, cosa pensa di dire davanti a questa crisi di legalità se egli stesso si trova a essere il destinatario di un dono, pari a 98 mila euro, che i Riva hanno sottoscritto in favore della sua campagna elettorale del 2006? Non serve a molto aggiungere che il patron dell’Ilva ha naturalmente garantito un assegno (ben più cospicuo: 245 mila euro) a Forza Italia. E che le due donazioni erano legittime e previste dalla legge e tutte documentate.

La vicenda è purtroppo una bomba che torna a scoppiare nelle mani del segretario del Pd e proprio mentre è impegnato nella decisiva battaglia per la leadership del centrosinistra. È una questione irrisolta, una domanda inevasa: può un dirigente di sinistra e riformista accettare un sostegno economico da un imprenditore discusso senza essere coinvolto (e un po’ travolto) dal destino di costui? 

L’inchiesta oggi rivela che un secondo candidato alle primarie, il governatore della Puglia, Nichi Vendola, ha elargito simpatie quantomeno inopportune e disponibilità irrituali. Bersani, prima di illustrare quali sono stati (se ci sono stati) rapporti e richieste dei Riva, dovrebbe restituire al mittente con un tardivo, ma necessario atto riparatore, la somma ricevuta. E Vendola spiegare più approfonditamente se le sue telefonate con i dirigenti dell’Ilva, e le premure e le rassicurazioni, hanno avuto seguito. E se il tono delle sue conversazioni private sia plausibile. Oggi chiede a Bersani di dire parole che emanino “un profumo di sinistra”. Gli chiediamo: quale profumo e quale sinistra? 

Da: il Fatto del  27 novembre 2012