30 aprile 2014

UN BEL LIBRO DI MELO MINNELLA OGGI A MARSALA

Foto di Melo Minnella


Comunicato Stampa




A Marsala mercoledì 30 aprile alle ore 18.00 il fotografo Melo Minnella racconta il suo libro 
“Lo stupore dell’Acqua”.

      Minnella con il suo occhio riesce a mettere a nudo aspetti naturali e culturali della risorsa naturale più importante per l’umanità, il bene comune per eccellenza: l’acqua. Il volume pagina dopo pagina incanta con la sua leggerezza e la sua trasparenza; guardando le foto di Minnella, si può attraversare la liquidità dell’umano nella sua relazione con l’acqua, si ha a più riprese la possibilità di cogliere il poetico di una narrazione fatta con le immagini al posto delle parole, ogni fotografia, in una architettura narrativa nitida e complessa insieme,  racconta istanti di vita,  i personaggi ritratti sono protagonisti forti, artefici di vicende umane desiderose di esprimere le proprie storie.

      Il volume, prefato da Alex Zanotelli, oltre le bellissime foto comprende una breve antologia letteraria “Gocce d’autore”, tra cui una  di Leonardo Sciascia su cui si soffermerà Francesco Virga.

   La partecipazione dell’Editore Ernesto Di Lorenzo all’appuntamento permetterà anche di comprendere da vicino il ruolo dell’editoria di nicchia.

Barbara Lottero
Presidente Ass. Culturale Otium

Di seguito le prime foto della presentazione:



L' Editore Di Lorenzo e Melo Minnella


Barbara Lottero


Franco Virga e Barbara Lottero





29 aprile 2014

IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA "COMPAGNO"

Partigiani a Milano



    Tra le parole scomparse dal lessico quotidiano  ce ne è una a cui sono rimasto affezionato: COMPAGNO. Per  riscoprirne il significato storico ed etimologico potrebbe essere utile rileggere questa bella lettera scritta da Mario Rigoni Stern all'ANPI poco prima di morire:



 

"Cari Compagni, sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze.
È molto più bello Compagni che "Camerata" come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di "Commilitone" che sono i compagni d’arme.
Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere.
Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.
All’erta Compagni! Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza.
Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite.
Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e Resistenza sempre.
Vostro
Mario Rigoni Stern"

BERLINGUER E LA TORRE TRADITI E DIMENTICATI






      Questa mattina voglio ricordare  Pio la Torre, assassinato a Palermo 32 anni fa, con le parole di Enrico Berlinguer. Ho conosciuto entrambi, avendo militato nello stesso partito che non esiste più da tempo.
      Ogni giorno che passa mi appare sempre più chiaro che sono stati i primi ad essere stati traditi e dimenticati. 



L' ULTIMO SALUTO DI ENRICO BERLINGUER
A PIO LA TORRE

Siamo qui a rivolgere l’ultimo saluto al compagno Pio La Torre ed al compagno Rosario Di Salvo, dopo che per ben due giorni sono sfilati davanti alle loro salme migliaia e migliaia di cittadini: militanti comunisti, uomini e donne semplici, bambini, intere famiglie.
Ma non solo qui a Palermo, e non solo in Sicilia, si è pianto per i nostri due cari compagni. Nelle fabbriche, nelle piazze, in tutti i centri del Paese la notizia dell’infame delitto ha sollevato un’ondata di commozione e di sdegno.
E tutte le autorità dello Stato – a cominciare dal Presidente della Repubblica, che oggi è qui con noi, insieme ai rappresentanti del Parlamento, del Governo, della Regione, dei Partiti, delle Organizzazioni sindacali e di massa, della Stampa — hanno reso omaggio a Pio La Torre e Rosario Di Salvo, al loro coraggio, alla loro esemplare milizia politica tutta dedicata alla lotta per la giustizia.
Pio La Torre e Rosario Di Salvo: un prestigioso dirigente e un appassionato militante del nostro Partito, quasi uniti da un comune destino! Erano tornati ambedue da poco tempo in una trincea di prima linea, qual è quella contro il terrorismo politico mafioso che da anni insanguina la terra di Sicilia.
Rosario Di Salvo da qualche anno aveva lasciato il lavoro di autista nell’apparato tecnico del Partito e si era dedicato con successo ad una attività (ragioniere in una cooperativa) che gli consentiva di fare fronte un po’ meglio alle necessità della famiglia: la moglie e tre bambine.
Ma ecco che questo compagno, proprio quando Pio La Torre è rientrato a Palermo con l’incarico di segretario regionale del PCI, abbandona la sua occupazione e chiede di tornare a fare l’attività di Partito.
« Guadagnerò di meno, dice, ma questa è la mia vita. Mia moglie ora fa dei ricami in casa. Ce la faremo lo stesso ». Ecco chi era Di Salvo: un compagno mosso da una profonda irresistibile passione politica, da uno spirito di assoluta fedeltà al Partito, di cui vedeva la ripresa di iniziativa e di slancio, con una soddisfazione che lo ripagava delle pene e dei rischi che egli valutava bene, come dimostra il fatto che egli ha estratto la sua ‘pistola ed ha sparato cinque colpi, che forse hanno ferito uno degli assassini.
Anche Pio La Torre aveva compiuto la scelta di un ritorno, ben sapendo che si trattava della scelta di un posto di lotta e di lavoro pieno di difficoltà e di pericoli.
Era tornato a Palermo da otto mesi, come segretario regionale, su sua richiesta.
Pio La Torre era nato nel 1927 in una famiglia di piccoli contadini dell’agro palermitano, a Mezzomonreale, a poche centinaia di metri in linea d’aria dal luogo dove poi ha trovato la morte.
Nel 1945 si iscrive alla FGCI, di cui diventa dirigente. Poco dopo, come responsabile di organizzazione della Federazione di Palermo, partecipa alle lotte dei contadini del Corleonese dove già impera, giovanissimo, il mafioso Liggio.
Era quello il periodo nel quale il nostro Partito in Sicilia era diretto dal compagno Girolamo Li Causi, il primo dirigente politico che alzò la bandiera della lotta contro la mafia andando a sfidarne i capi a Villalba, dove fu ferito.
Nel corso di una manifestazione per la terra dei contadini di Bisacquino nel marzo 1950, La Torre viene arrestato e resta in carcere per un anno e mezzo .
È di quel periodo una sua bella lettera al compagno Paolo Bufalini, allora segretario della Federazione di Palermo, che l’«Unità» ha pubblicato ieri.
Scriveva il giovane La Torre: « In questi ultimi anni il popolo siciliano ha dato prova di sapersi battere generosamente per conquistarsi un regime di libertà, di progresso e di pace. Ha dato la vita di alcuni dei suoi figli migliori nella lotta contro la mafia che si opponeva allo sviluppo delle organizzazioni democratiche dei comuni della nostra isola: da Miraglia, a Li Puma, a Rizzotto, a Cangelosi ».
Quella prima tragica lista, che La Torre ricordava nel febbraio 1951, si è poi terribilmente allungata, e oggi la conclude l’ultima vittima, proprio lui, La Torre, caduto per quegli stessi principi che allora annunciava, alla vigilia del 35° anniversario della strage di Portella delle Ginestre.
Lo stesso compagno Bufalini, in una lettera dell’ottobre 1954 alla Direzione del Partito, nella quale si proponeva di inviare La Torre alla Scuola Centrale del Partito, ricorda lo sforzo del nostro compagno scomparso per legare le sezioni cittadine del Partito alle masse popolari dei quartieri, facendo delle sezioni stesse il centro di un movimento popolare largo contro il tugurio, per la casa e per la libertà: «Il compagno La Torre si giovò in questo lavoro della sua profonda conoscenza delle condizioni materiali e di vita e dell’animo del popolo palermitano. Il movimento ci fu, fu un movimento profondo, di base, portò al costituirsi di larghe alleanze, anche al vertice ».
In queste parole lontane ormai quasi trent’anni, c’è l’indicazione di una concezione del partito e di uno stile di lavoro che sono gli stessi che ritroviamo nell’impegno di questi ultimi otto mesi.
Nel 1952 il compagno La Torre, convinto che fosse necessario liberare il movimento sindacale — come egli affermava — da elementi di burocratismo e di corporativismo, chiese di passare al lavoro nel sindacato c divenne segretario della Camera del lavoro palermitana. Nello stesso anno fu eletto deputato all’Assemblea Regionale Siciliana.
Successivamente La Torre fu segretario regionale della CGIL, e dal 1962 — in un momento anche allora difficile — segretario regionale del Partito, incarico mantenuto fino al 1967, quando divenne segretario della Federazione di Palermo.
Nel 1969 il compagno La Torre — che dal IX Congresso era membro del Comitato Centrale e dall’XI membro della Direzione — fu chiamato a Roma dove ricoprì gli incarichi di responsabile della Sezione agraria e poi della Sezione meridionale.
Ma, come diceva di se stesso un altro amatissimo compagno recentemente scomparso, Feliciano Rossitto, La Torre era « un siciliano all’estero », e proprio nel senso migliore: nei suoi incarichi di carattere nazionale, infatti, egli mai perse il contatto con quella realtà siciliana di cui conosceva le ingiustizie profonde e del cui popolo si sentiva parte.
Nel 1972 La Torre è eletto deputato nazionale e inizia qui la sua intensa attività che con particolare passione e acuta intelligenza egli svolgerà nel lungo e complesso lavoro della Commissione parlamentare antimafia, della quale poi sarà relatore di minoranza.
Al XV Congresso del Partito, nel 1979, Pio La Torre fu eletto membro della Segreteria. E qui, ancora una volta, egli seppe dimostrare grandi doti di iniziativa, di inventiva, di tempestività, di senso pratico.
Ricordo un episodio assai significativo.
Appena ebbe notizia del terremoto in Campania ed in Basilicata, Pio La Torre corse al suo ufficio in Via delle Botteghe Oscure, chiuso per il giorno festivo.
Di lì, senza esitazioni e indugi, cominciò a tempestare di telefonate le Federazioni e i Comitati Regionali dell’Emilia, della Toscana, di mezza Italia, dando indicazioni perché immediatamente, la notte stessa, partissero i primi soccorsi alle popolazioni terremotate.
E fu così che il giorno dopo, all’alba, nei paesi del terremoto dove ancora non si era sentita la minima presenza delle autorità pubbliche (e tutti ricordiamo la vigorosa denuncia che di ciò fece il Presidente della Repubblica), arrivarono i camions delle Sezioni e Federazioni del PCI e della FGCI e delle Amministrazioni di Sinistra.
Al centro del Partito, egli ha lavorato bene, guadagnandosi la stima e l’affetto dei compagni, affermandosi con crescente prestigio nel Parlamento, tra le altre forze politiche, tra gli avversari.
Nella Segreteria e nell’Ufficio di segreteria del Partito, è stato un uomo prezioso. Dotato di una giusta visione politica generale, sempre più arricchitosi — nel corso di oltre trent’anni di ininterrotta faticosa milizia politica — di sensibilità e interessi culturali vari ed ampi, Pio La Torre, nella sua attività di dirigente nazionale del Partito, si avvantaggiava di una sua lunga esperienza, di base e periferica, di lotta e di organizzazione. Si avvantaggiava dell’esperienza e affinata capacità di uno che non si limita a fare sfoggio delle parole « masse », « partecipazione », « lotta », « costruzione », ma conosce bene le masse dei lavoratori, le masse popolari, e prime fra tutte quelle della sua terra, della sua Sicilia, e del Mezzogiorno; di uno che sa per diretta esperienza che cosa sia la vita dei contadini, dei lavoratori, che cosa sia il movimento delle masse, da quali semplici e profonde ragioni scaturisca, come lo si susciti, lo si organizzi e lo si diriga: tutte cose imparate dalla gavetta, nella ascesa dagli incarichi più modesti fino a quelli massimi, nel sindacato e nel partito: da costruttore di leghe di braccianti e di minatori, di cooperative di contadini senza terra, a costruttore di sezioni del partito, nel più remoto villaggio di Sicilia, o nella città di Palermo, nei suoi mandamenti, nelle sue borgate; a costruttore e dirigente di federazioni del partito.
Per tutto questo, e per altre doti, La Torre a Roma non si limita a contribuire alla elaborazione di una linea politica, e ad esporla in modo limpido, con semplicità e concretezza — come si può constatare rileggendo i suoi articoli —, ma sa muovere le leve che servono a mobilitare e dirigere il Partito, in campagne e battaglie specifiche, determinate; con l’obiettivo di condurle ad una conclusione positiva, nell’interesse delle masse lavoratrici e del Paese; ad un successo pur limitato e parziale, ma che sia una nuova conquista, da cui muovere per altre battaglie, per nuovi progressi. Vi erano in La Torre — così maturatosi — ampiezza di vedute e attivismo.
Ecco perché dispiaceva, al centro nazionale del Partito, privarsi della presenza — operosa, generosa, cordiale — di La Torre. E a Roma egli era ben ambientato, con la sua famiglia, con gli amici.
Tuttavia egli chiese, con tenacia e forza di volontà, di tornare in Sicilia, nella sua terra: dove aveva visto nel corso degli anni la situazione aggravarsi sempre di più; dove vedeva i compagni chiamati a far fronte a compiti e battaglie sempre più difficili ed aspre, ad esporsi a tutti i rischi. Altro che «proconsole» inviato da Roma in Sicilia — come qualcuno, per la verità isolato, nel grande coro di commossi ed alti riconoscimenti dati dalla stampa a Pio La Torre, ha scritto! Un autentico siciliano, palermitano profondo è stato Pio La Torre, che è voluto tornare nella sua terra per combattervi di persona e in prima fila la lotta di redenzione del suo popolo, sfidando, consapevole, ogni pericolo, e morendo!
Appena tornato La Torre in Sicilia, hanno subito preso nuovo spicco i cardini della politica del PCI nell’Isola, e, dall’Isola, dalla sua specifica condizione e posizione, in tutta l’Italia.
La lotta per la pace, la distensione, il disarmo; per la cooperazione dell’Italia con l’Africa settentrionale e con il mondo arabo; per una giusta soluzione della tragica questione medio-orientale, minacciosa ed esplosiva; per fare del Mediterraneo un mare di pace; perché la Sicilia faccia da ponte tra due sponde, tra due canali, nel segno della pace, della cooperazione, del progresso, della cultura e della civiltà — nella linea della sua migliore tradizione e storica funzione.
La lotta contro la violenza mafiosa, fattasi sempre più barbara, caratterizzata dai modi nuovi, odierni, della speculazione, dallo sfruttamento, dalla seminazione di distruzione e di morte: al primo posto, la droga. Caratterizzata dal dilagare di assassini feroci. E caratterizzata da un tratto nuovo, di estrema gravità: l’aggressione diretta, l’eliminazione fisica, feroce, di uomini investiti di pubbliche funzioni e di uomini politici che dimostrano coerente fermezza nell’adempimento dei loro doveri e nel perseguire, seriamente e concretamente, un disegno di risanamento e rinnovamento politico, sociale, civile.
Infine, come fondamento e coronamento di tutte le battaglie, il promovimento e la costruzione di una nuova unità del popolo siciliano, attraverso collaborazioni e intese di tutte le sue forze popolari, di sinistra e democratiche più avanzate, di tutte le sue forze oneste, sane, che aspirano alla pace ed al progresso, che vogliono il rinnovamento.
Di tutte le forze che veramente vogliono che si metta fine alle ingiustizie sociali, ai crimini mafiosi, allo spargimento di sangue, agli agguati vili ed ai barbari assassini, ai facili scandalosi arricchimenti, ai sistemi del privilegio delle clientele e della corruttela, alla collusione della mafia con il potere politico che produce omertà e fa da scudo all’attività criminale; che si metta fine alla disoccupazione e inoccupazione e prima di tutto a quella giovanile; di tutte le forze che veramente vogliono riformare la vita ed il funzionamento della Regione autonoma, facendo finalmente dell’Autonomia, che storicamente è grande conquista del popolo siciliano, lo strumento di autogoverno e controllo popolare, centro di aggregazione di tutti i siciliani che aspirano ad uno sviluppo libero, sano, pulito, trasparente, a una Sicilia rinnovata, in una Italia rinnovata, e pacifica.
Questi, in Sicilia e per la Sicilia, i cardini, i pilastri portanti, della linea del PCI, chiaramente concepiti, attraverso una elaborazione continuamente aggiornata, da Pio La Torre, e da lui concretamente perseguiti con passione, con tenacia e decisione. Tutti hanno visto in lui un grande animatore, un protagonista nella battaglia per Comiso, per stornare dalla Sicilia la terrificante minaccia della distruzione atomica, per preservarne la pace. Per questo scopo, egli, da un lato ha saputo mobilitare a fondo, ampiamente, il Partito comunista e gli strati popolari da esso influenzati; per altro verso, ha ricercato il collegamento e l’unità con altre forze politiche ed ideali, che, pur muovendo da impostazioni differenti, convergono su questo obiettivo di pace: nel reciproco leale rispetto dell’individualità e autonomia di ogni forza diversa.
Per quanto riguarda noi comunisti, ci siamo battuti e ci battiamo — come il compagno La Torre aveva chiaramente precisato — perché si sospendano i lavori di approntamento delle basi per i missili a Comiso, in vista della ripresa e degli auspicati progressi del negoziato Est-Ovest, con l’obiettivo della sicurezza di tutti e dell’equilibrio al livello più basso.
Davanti al feretro del compagno La Torre, tenace e intrepido combattente per la causa decisiva della pace, caduto nel vivo di questa lotta proprio nel momento in cui il movimento in Sicilia ha acquistato un’ampiezza e un vigore grandi e quindi un peso effettivo; dinanzi al sacrificio del compagno La Torre e del compagno Di Salvo — compagni, amici, cittadini — noi prendiamo l’impegno di continuare a dare il più grande contributo per sviluppare ulteriormente la battaglia per Comiso e per la pace.
L’assassinio di La Torre e di Di Salvo non la fermerà. Nel loro nome, lotteremo con impegno ancora maggiore.
Tutti hanno visto come La Torre abbia condotto la battaglia contro il sistema di potere mafioso, contro i suoi crimini. Egli ne conosceva le forme nuove di attività, i metodi, le connivenze, le interferenze e convergenze con settori e punti determinanti della vita politica e amministrativa. Tutto ciò egli ha denunciato, con serenità, con obiettività e misura, con inflessibile coerenza e coraggio.
Dal Convegno sulla mafia, promosso da noi a Palermo, con proposte nuove molto serie (come quelle riguardanti gli accertamenti dei rapidi mutamenti patrimoniali e dei facili arricchimenti); alla delegazione di Pio La Torre e di altri parlamentari comunisti dal Presidente del Consiglio, prima della nomina del generale Dalla Chiesa alla carica di Prefetto di Palermo; vi è stato, con la direzione di La Torre, un coerente sviluppo di una lotta concreta e seria contro il sistema di potere mafioso e i suoi delitti.
Stroncato La Torre nel feroce e vile agguato, noi, davanti al suo feretro, prendiamo l’impegno di continuare con fermezza e intelligenza, con obiettività e coraggio, questa lotta.
Perché hanno ucciso La Torre?
Perché hanno capito che egli non era uomo da limitarsi a discorsi, analisi, denuncie di una situazione, ma era un uomo che faceva sul serio. Era uomo che, alla testa di un grande partito di lavoratori e di popolo, di gente schietta e pulita, era capace di suscitare grandi movimenti, di stabilire ampie alleanze con forze ed uomini sani, democratici di altre tendenze; di prendere iniziative che colpivano nel segno. Era capace di portare avanti una politica di rinnovamento, di giustizia sociale, di sviluppo della Sicilia, di corretta e piena realizzazione della sua autonomia, di unità contro il riarmo e per la difesa della pace.
Proprio mandando avanti una tale politica, si recidono radici, si toglie spazio al potere mafioso, alle sue rapine, alle sue prevaricazioni, ai suoi dilaganti crimini efferati.
È del tutto evidente che tale attività criminale è diretta, alimentata, sviluppata da forze reazionarie, e assecondata da gruppi economici e politici incapaci di concepire la ricerca di soluzioni dei loro problemi in una visione politica ed economica di libero sviluppo della Sicilia e della sua autonomia, della democrazia italiana, o in una prospettiva di disarmo e di pace.
Ciò spiega come ogni uomo che dimostri di volere perseguire un rinnovamento, e di avere capacità e vigore, è considerato da queste forze un nemico, che si deve fare fuori.
Questo è accaduto per uomini, fra loro molto diversi, come Piersanti Mattarella e Pio La Torre, come Cesare Terranova e Lenin Mancuso, come Gaetano Costa e Boris Giuliano e il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e molti altri, alla cui memoria noi ci inchiniamo.
Noi chiediamo giustizia per loro, per tutti i caduti per mano assassina! Ancora una volta incitiamo tutti i compagni, tutti i cittadini, a dare piena collaborazione alla polizia, alle forze dell’ordine, alla magistratura, a tutte le autorità competenti. Chiediamo alle autorità, ad ogni livello, di adoperare – tutti gli strumenti che, la Costituzione e le leggi mettono a loro disposizione, con rigoroso rispetto democratico, con penetrante impegno, con inflessibile fermezza.
Ci hanno strappato uno dei nostri uomini migliori, un compagno fraterno, un dirigente forte, come Pio La Torre.
Hanno spento, con vile ferocia, uno dei figli migliori della Sicilia, che ha sempre lottato per la gente povera, per la giustizia, per la rinascita di Palermo e dell’Isola.
Un uomo, come ha detto il Vescovo Don Riboldi, buono e pulito!
Hanno barbaramente stroncato un giovane compagno, coraggioso e disinteressato, come Rosario Di Salvo. Vogliamo giustizia; vogliamo verità; per loro, per tutti i caduti.
Nessuno pensi di averci intimidito. Il Partito Comunista Italiano raccoglie questa sfida.
Vigilerà, combatterà, recluterà nuovi militanti, farà avanzare nuovi dirigenti. Lotterà, attraverso grandi movimenti di massa, ampi, decisi, sollecitando le più larghe alleanze, per mettere fine ai delitti, allo spargimento di sangue; per la giustizia sociale, per uno sviluppo economico sano che assicuri a tutti lavoro; per una unità del popolo siciliano, che isoli reazionari e mafiosi, che permetta di realizzare il risanamento morale, il rinnovamento politico e sociale, la piena attuazione, nella pace, della autonomia siciliana e dei suoi scopi.
A nome di tutto il nostro Partito ringrazio il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, per essere venuto qui a Palermo a confermare la sua solidarietà al nostro dolore, e la sua adesione all’impegno del popolo siciliano nella lotta per la giustizia e per la libertà. Ringrazio il Presidente della Camera, i rappresentanti del Senato, il Presidente del Consiglio, tutte le altre autorità dello Stato e della Regione, le delegazioni dei Partiti, dei Sindacati, delle Associazioni, degli Organi di informazione.
Esprimo tutto il nostro affetto alla moglie, ai figli ed ai familiari del compagno Pio La Torre e del compagno Rosario Di Salvo. Nel loro immenso dolore per la perdita irreparabile, sentano che Pio e Rosario sono stimati e amati e saranno ricordati da una moltitudine di siciliani e di italiani come due intrepidi combattenti che hanno lottato per la causa giusta.
A voi, compagne e compagni della Sicilia, e ai compagni di tutta l’Italia, diciamo: sull’esempio e nel nome dei compagni caduti intensifichiamo l’impegno in una lotta più ampia e decisa dei lavoratori e delle forze popolari per il riscatto della Sicilia, per il rinnovamento dell’Italia; per la pace.

MELANIA MAZZUCCO CENSURATA A ROMA

Il libro censurato di Melania Mazzucco e l’omofobia dilagante

Michele Serra, Amaca, Repubblica, 29 aprile 2014, p. 28, cliccare sull’immagine per ingrandire
 

Certo che a Roma sono davvero fascisti fino al midollo.
Proteste al liceo Giulio Cesare per la lettura di un libro di Melania MazzuccoSei come sei, il cui argomento è la storia di una bambina undicenne, Eva, figlia di una coppia gay, che alla morte di uno dei due genitori si trova abbandonata, e affidata ad uno zio che manco conosce, a causa di una cieca burocrazia che, in mancanza di leggi, non riconosce alcun diritto legale ai componenti di una coppia dello stesso sesso.
Due professori di lettere fanno leggere il libro in classe. Proteste dei genitori e dei giovani studenti di estrema destra. I due professori
vengono denunciati per corruzione di minori. 
Gli studenti di estrema destra,
Lotta Studentesca e Rotta di Collisione, fanno vergognosi sit-in esponendo striscioni con ridicole scritte: “Maschi selvatici*, non checche isteriche” e “Emergenza omofollia!”.
Un movimento cattolico di genitori (Moige), sembra quasi incredibile ma chiede o meglio ordina di “non divulgare a scuola materiale porno” e così il romanzo di Melania Mazzucco viene definito pornografico senza averlo mai neppure letto.
La preside del liceo Micaela Ricciardi difende il romanzo: “Il libro é bello e serve per parlare di temi come le famiglie di nuovo tipo e l’omofobia. I ragazzi hanno apprezzato. Noi facciamo educazione, ci confrontiamo di continuo con l’outing di giovanissimi che scoprono di essere omosessuali e dobbiamo ridurre i rischi di omofobia o discriminazione”. Il sindaco di Roma Ignazio Marino dice che le vergognose “frasi omofobe che sono state pronunciate dimostrano ancora una volta come insistere sulla diffusione di una cultura, a partire dalla scuola, che riconosca la parità di diritti di tutti, sia uno degli obiettivi che dobbiamo continuare a perseguire“.
Tra l’altro, dico io, se a scuola non si potessero più leggere libri che parlano di omosessualità si finirebbe con il dover eliminare tre quarti della grande cultura, da Saffo e Catullo passando per Dante e Boccaccio per finire con Proust e Pasolini. Insomma una vera apocalittica tragedia culturale  (georgia)


* Maschi selvatici si rifà al discutibile libro Il maschio selvatico del 1993 dello psicanalista Claudio Risé.
- Melania Mazzucco, Sei come sei, Einaudi, 2013
- Gloria Pozzo,
Melania Mazzucco alla Mondadori racconta di Eva e dei suoi due padri. Lunedì alle 18 [2013] incontro con l’ultima autrice donna che ha vinto il premio Strega, La stampa, 2013
- Redazione, Romanzo gay di Mazzucco letto in aula: associazioni denunciano professori.
Giuristi per la vita’ e ‘Pro Vita onlus’ si sono rivolte alla procura di Roma per segnalare la lettura in classe al liceo Giulio Cesare di ‘Sei come sei’”, in cui si descrive un rapporto omosessuale tra giovani calciatori. Protesta dei gruppi della destra radicale davanti alla scuola. La preside: “Pessimo segnale“, Il Fatto quotidiano, 28 aprile 2014.
- Claudia Voltattorni
, Denunciati i prof che fanno leggere il libro sul sesso gay, Corriere della sera, 29 aprile 2014
- Melania Mazzucco, Il mio libro messo all’indice, La Repubblica, 29 aprile 2014
- Michele Serra, Amaca, Repubblica, 29 aprile 2014,p. 28
S.G, Int. a M.Ricciardi: A scuola tanti outing dobbiamo educare contro l’omofobia, La Repubblica, 29 aprile 2014.
- Sara Grattoggi, Libro sull’amore Gay, prof denunciati,  La Repubblica, 29 aprile 2014


 Fonte:  http://georgiamada.wordpress.com/

IL VIAGGIO DI ULISSE




Il viaggio come specchio dell'esistere. Davvero Omero aveva già detto tutto quello che c'era da dire. Quello che è venuto dopo è stato solo una variazione sul tema.
Nuccio Ordine

I Greci e noi, in viaggio per scoprire

«Pensa a Itaca, sempre,/ il tuo destino ti ci porterà./ […]Non sperare ti giungano ricchezze:/ il regalo di Itaca è il bel viaggio,/ senza di lei non lo avresti intrapreso./ Di più non ha da darti./ E se ti appare povera all’arrivo,/ non t’ha ingannato./ Carico di saggezza e di esperienza/ avrai capito un’Itaca cos’è»: questi bellissimi versi di Constantinos Kavafis mostrano, a distanza di secoli, come il mito di Itaca e di Ulisse continui ancora a far vibrare le corde del cuore di poeti e di lettori.

Certo, le peregrinazioni dell’eroe omerico narrate nell’Odissea hanno rappresentato uno dei modelli costitutivi della letteratura occidentale: metafora della conoscenza, dell’esplorazione dell’ignoto, dell’incontro con l’«altro», dell’autonomia della coscienza, dell’autodeterminazione, della sfida del limite, della punizione divina, il viaggio — attraverso il movimento continuo delle strutture linguistiche e narrative — ha finito anche per diventare esso stesso immagine della scrittura letteraria.

Alle avventure cantate da Omero e alle esplorazioni «antropologiche» di Erodoto, ha dedicato recentemente un bel libro Eva Cantarella (Ippopotami e sirene. I viaggi di Omero e di Erodoto , Utet). Studiosa di fama internazionale, i suoi saggi sul mondo antico sono stati tradotti in varie lingue, ci offre ora, con la sua consueta chiarezza, un affascinante itinerario in sette capitoli, dove l’Odissea e le Storie vengono analizzate alla luce dei numerosi racconti elaborati dai due grandi autori, l’uno padre dell’epica e l’altro della storiografia.

Alla lettura comparata dei due testi, balzano subito agli occhi le differenze. Omero fa del viaggio uno strumento per marcare il divario tra la civiltà greca e la barbarie degli altri popoli: Polifemo rappresenta una socialità pre-politica, priva di valori religiosi, dove mancano leggi e assemblee e dove è assente l’agricoltura; Circe e Calipso (entrambe dedite al canto e alla tessitura) incarnano modelli femminili negativi fondati sull’inganno, che nulla hanno a che vedere con le virtù greche della moglie, della madre e della sorella; i Lotofagi esemplificano il rischio di perdere nei paesi stranieri la memoria della propria patria (mangiare il loto significava, infatti, «scordare il ritorno»).



Per Erodoto — nato in Asia Minore, probabilmente da padre persiano e madre greca — il viaggio diventa, invece, occasione di confronto con l’«altro» (con coloro che Greci non sono), senza aver paura di riconoscere i «debiti» contratti con le culture vicine: le descrizioni di Babilonia, per esempio, o le riflessioni sulla regina Nitocri o su Artemisia mostrano una sincera simpatia per alcuni aspetti della vita politica di questi popoli stranieri; le pagine dedicate agli animali conosciuti (i gatti) o a quelli sconosciuti (coccodrilli e ippopotami) rivelano un’attenzione per le tradizioni locali e per gli stretti legami intessuti con i riti religiosi; e, perfino, nella vendita all’asta delle mogli, l’autore riesce a cogliere gli aspetti positivi di una legislazione che pensava anche alla sopravvivenza delle donne brutte e storpie (i soldi ricavati, infatti, dalla vendita delle future consorti più belle andavano in dote a coloro che sposavano quelle destinate a restare senza marito).

Dal raffronto tra i testi omerici e le Storie , insomma, appaiono due cartografie diverse dei viaggi: Omero, lasciando da parte le tanto discusse questioni sui possibili riferimenti a luoghi del Nord Europa, naviga in Occidente, tra la Sicilia e le coste tirreniche dell’Italia, e in Oriente, lungo le coste dell’Anatolia; mentre Erodoto esplora i territori dell’Iran orientale, del nord del Mar Nero, il basso Nilo e l’Africa. Ma appaiono, soprattutto, due concezioni pedagogiche opposte dell’ignoto: se per l’epos l’avventura tra popoli sconosciuti è destinata a compiersi nel «ritorno» (nostos), per il racconto dello storico si concretizza, al contrario, in acute riflessioni sulla grandezza del mondo e sulle diverse culture delle genti che lo abitano.

Le pagine di Eva Cantarella invitano, a loro volta, a far viaggiare il curioso lettore tra luoghi reali e immaginari. E solo alla fine del libro si capirà che altri viaggi ci aspettano perché, come ricordava T. S. Eliot, ogni «finire è cominciare».
Il Corriere della Sera – 29 aprile 2014
Eva Cantarella
Ippopotami e sirene
UTET, 2014
14 euro

K. KAVAFIS: NON SCIUPIAMO LE NOSTRE VITE...

Foto di Tina Modotti




PER QUANTO STA IN TE

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.


Konstantinos Petrou Kavafis



28 aprile 2014

DANILO DOLCI: IL POTERE E L'ACQUA






         Assistiamo ad una imprevista rinascita di interesse intorno alla complessa figura di Danilo Dolci. Al clamore ed al successo registrato negli anni 50 e 60, anche  a livello internazionale,  ha fatto seguito un lento ma continuo declino. Solo dopo la sua morte, avvenuta il 27 dicembre del 1997, si è tornato a parlare e a  scrivere sull’anomalo sociologo e pedagogista  e a rileggere i suoi libri.
          A questa ripresa di interesse intorno al Dolci ha sicuramente contribuito, da un lato, la ristampa dei suoi primi libri (Banditi a Partinico, Processo all’art.4 di cui ci siamo già occupati in queste stesse pagine), dall'altro, la pubblicazione di tanti suoi scritti inediti. 
          Tra questi ultimi segnaliamo oggi il prezioso libretto Il potere e l'acqua, pubblicato qualche anno fa dall' Editore Melampo.  Il volume comprende, oltre ad una importante testimonianza di Vincenzo Consolo, i testi di alcune conferenze svolte da Danilo, negli ultimi anni della sua vita, su un tema che è stato fin dal principio al centro della sua attenzione: i rapporti tra il potere e l'acqua. 
            Fin dagli anni 50 Dolci aveva compreso che l’acqua, nella  Sicilia contadina, era un fondamentale strumento di potere. Il controllo reale, politico e criminale, delle risorse idriche in quegli anni era evidente a tutti. Per questo allora il sociologo si impegnò a fondo per la realizzazione della diga sul fiume Jato. Negli anni successivi Danilo comprese anche il valore simbolico dell'acqua e individuò in essa una metafora della vita. 
             Nel libro si trova inoltre la sua  preoccupata riflessione sul peso nefasto della TV nella società contemporanea e una  una digressione letteraria sulle farfalle e la natura col pregio di una grande leggerezza narrativa. 

Franco Virga