28 giugno 2015

IL CASO GRECO. Per chi suona la campana?




Il problema vero non è se stare in Europa, ma che tipo di Europa si intende costruire, se un' Europa dei popoli o un'Europa delle banche e del grande capitale tedesco. Ma occorrerebbe avere una visione dello sviluppo italiano in un quadro continentale. Prevale invece la politica del giorno per giorno, dell'accodamento alle decisioni altrui o, peggio ancora, dell'assalto (spesso truffaldino) ai fondi europei. Questa politica ha portato la Grecia al collasso: E l'Italia?


Luciano Gallino

La lezione di Atene per l’Italia


Pochi giorni fa il Parlamento greco ha diffuso un rapporto del Comitato per la Verità sul Debito pubblico. Le conclusioni sono che per il modo in cui la Troika ha influito sul suo andamento, e per i disastrosi effetti che le politiche economiche e sociali da essa imposte hanno avuto sulla popolazione, il debito pubblico della Grecia è illegale, illegittimo e odioso. Pertanto il Paese avrebbe il diritto di non pagarlo. Il rapporto greco è fitto di riferimenti alle leggi e al diritto internazionali. E contiene, in modo abbastanza evidente, una lezione per l’Italia.

Il rapporto distingue con cura tra illegalità, illegittimità e odiosità di un debito pubblico. Un debito è illegale se il prestito contravviene alle appropriate procedure previste dalle leggi esistenti. È illegittimo quando le condizioni sotto le quali viene concesso il prestito includono prescrizioni nei confronti del debitore che violano le leggi nazionali o i diritti umani tutelati da leggi internazionali.

Infine è odioso quando il prestatore sapeva o avrebbe dovuto sapere che il prestito era stato concesso senza scrupoli, da cui sarebbe seguita la negazione alla popolazione interessata di fondamentali diritti civili, politici, sociali e culturali. Il Fmi è responsabile di tutt’e tre le infrazioni perché le condizioni imposte alla Grecia in relazione ai suoi prestiti hanno gravemente peggiorato le sue condizioni economiche e il suo sistema di protezione sociale.

Da vari documenti interni del Fondo stesso, risalenti al periodo 2010-2012, appare evidente che perfino il suo staff, una parte consistente del consiglio direttivo formato da rappresentanti di vari paesi, e non pochi dirigenti sapevano benissimo quali sarebbero state le conseguenze negative a danno della popolazione greca.

La Bce non è stata da meno, contribuendo ai programmi di aggiustamento macroeconomici della Troika e insistendo in special modo sulla de-regolazione del mercato del lavoro — violando in tal modo anche gli articoli del Trattato Ue che stabiliscono la sua indipendenza dagli stati membri. Con le sue manovre relative al commercio dei titoli sul mercato secondario ha reso possibile alle banche private greche di scaricare dal bilancio gran parte dei titoli di stato, peggiorando le condizioni del bilancio pubblico.

Quanto al fondo Efsf, sebbene gestisca fondi pubblici europei, è stato costituito come società privata cui non si applicano le leggi Ue, persegue unicamente obbiettivi finanziari, e sapeva bene di imporre con i suoi prestiti costi abusivi alla Grecia, senza che essi recassero alcun beneficio al paese. Pertanto molte azioni svolte da Bce e Efsf nei confronti della Grecia nel periodo 2010-2015 sono classificabili come illegali, illegittime e odiose. Il testo abbonda di rimandi ad altre violazioni operate dalla troika. Esse vanno dalla falsificazione delle statistiche economiche e sociali della Grecia alla violazione della sovranità fiscale dello stato greco.

Si dirà: ma che c’entra l’Italia con le vicende del debito greco? C’entra eccome, poiché vi sono perentori memoranda e lettere di istruzione inviate al governo italiano dalle medesime istituzioni Ue, e nello stesso periodo, che nello spirito e nei contenuti sembrano delle fotocopie di quelle inviate al governo ellenico. Si veda ad esempio la lettera indirizzata al governo italiano dalla Bce nell’agosto 2011.

Essa raccomandava varie misure pressanti, quali «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali»; «privatizzazioni su larga scala»; una ulteriore riforma del «sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello di impresa»; l’adozione di «una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti»; un ulteriore intervento nel sistema pensionistico; «una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego»; infine chiedeva che «tutte le azioni elencate… siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare ».

Questi e vari altri interventi peggiorativi delle condizioni di lavoro e di vita dei cittadini italiani sono stati prontamente adottati dai governi italiani, fino all’attuale con il suo scandaloso Jobs Act, non mancando di ripetere ad ogni momento la trita giustificazione «ce lo chiede l’Europa».

In realtà non è l’Europa a chiederlo, ma singole istituzioni europee, molto spesso in violazione, come documenta il rapporto greco,degli stessi trattati Ue e di numerosi trattati internazionali. Al punto da far sorgere il dubbio che siano da considerare anch’essi, i dettati inviati all’Italia, illegali, illegittimi e odiosi. In attesa che qualcuno se ne accorga, avvii le procedure necessarie, e si impegni a chiedere alla Ue che rispetti almeno i medesimi trattati da essa sottoscritti. Tutto ciò non soltanto per il rispetto dovuto alle leggi ma perché il prossimo caso greco potremmo essere noi.


La Repubblica – 26 giugno 2015

27 giugno 2015

SCIASCIA SU PIRANDELLO

















"Tutto quello che ho tentato di dire, tutto quello che ho detto, è stato sempre per me un discorso su Pirandello, scontrosamente e magari con un certo rancore prima, cordialmente e serenamente poi. C’era dapprima, a darmi la volontà di allontanarmene e di essergli ostile, il suo fascismo negli anni in cui l’antifascismo più urgeva ed era necessario a coloro che, come me, sotto il fascismo avevano passato i primi vent’anni della loro vita. Pirandello era fascista, ma ha voluto essere sepolto completamente nudo per paura che lo vestissero con la divisa fascista, come avevano l’abitudine di fare per i dignitari di regime."

Leonardo Sciascia

26 giugno 2015

SCIASCIA PER PASOLINI





“Ieri sera, uscendo per una passeggiata, ho visto nella crepa di un muro una lucciola. Non ne vedevo, in questa campagna, da almeno quarant'anni (…) Non potevo subito pensare a un ritorno delle lucciole, dopo tanti anni che erano scomparse (…) Era proprio una lucciola, nella crepa del muro. Ne ebbi una gioia intensa. E come doppia. E come sdoppiata. La gioia di un tempo ritrovato – l’infanzia, i ricordi, questo stesso luogo ora silenzioso ora pieno di voci e giuochi – e di un tempo da trovare, da inventare. Con Pasolini. Per Pasolini. Pasolini ormai fuori dal tempo, ma non ancora, in questo terribile paese che l’Italia è diventato..."

Leonardo Sciascia, L' affaire Moro, Sellerio 1978.

GUARDIAMO IN FACCIA, SENZA PAURA, IL TEMPO BUGIARDO.

Foto di Marina Mar



Ringrazio l'amica Lorena Melis per avermi fatto scoprire questa bella poesia.
In tempi bui c'è più bisogno che mai di bellezza, lucidità  e serenità. (fv)


Davanti alle coppe piene

Lo zeffiro in corsa verso levante ci visita;
Sfiora nei calici il vino che appena si increspa.
I fiori aperti cadono dai rami;
Cullati dal vento amoroso abbracciano il suolo.
La bella s'inebria, il roseo volto s'arrossa;
Ahi, che muore il fulgore del pesco e del pero!
Il tempo bugiardo nasconde le tracce e fugge;
Tu puoi danzare ma il sole s'inclina a Ponente.
Tu puoi serbar ancor la gaiezza dei giovani,
Ma i tuoi capelli sono già tutti bianchi -
E ti lamenti invano!


Li Po

LE ULTIME VOLONTA' DI PIRANDELLO










Quando il 10 dicembre del 1936 morì, i figli trovarono mezzo foglietto di carta spiegazzato in cui Luigi Pirandello aveva scritto: 

« I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni.

II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso.

III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta.

IV. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui ».

LUCCIOLE E CAOS IN LUIGI PIRANDELLO






"... Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d'olivi saraceni affacciata agli orli di un altipiano d'argille azzurre sul mare africano. La notte, il suo nero, pare lo faccia per esse che, volando non si sa dove, ora qua ora là vi aprono un momento quel loro languido sprazzo verde. Qualcuna ogni tanto cade e si vede allora sì e no quel suo verde sospiro di luce in terra che pare perdutamente lontano. Così io vi caddi quella notte di giugno."

[…]

“... Io dunque son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti. Colà la mia famiglia si era rifugiata dal terribile colera del 1867, che infierì fortemente nella Sicilia. Quella campagna, però, porta scritto l'appellativo di Lina, messo da inio padre in ricordo della prima figlia appena nata e che è maggiore di me di un anno; ma nessuno si è adattato al nuovo nome, e quella campagna continua, per i più, a chiamarsi Càvusu, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Xáos..."

Da un frammento dell’autobiografia di Luigi Pirandello.


TODO MODO TRA VECCHIO E NUOVO




  

        Mi piace accostare un vecchio filmato, che riprende un'intervista a Leonardo Sciascia, alla  recensione odierna  di Goffredo Fofi della copia restaturata in dvd del film di Elio Petri, tratto dal racconto pasoliniano dello scrittore siciliano.  

     Lascio ai lettori il compito di capire cosa è cambiato nell'Italia di oggi.  (fv)

Todo modo racconta una vecchia Italia

Fa una certa impressione rivedere Todo modo nell’edizione restaurata in dvd dalla Cineteca di Bologna, edito da Mustang e distribuito da CG Entertainment. È un film diretto e scritto da Elio Petri nel 1976, un virulento attacco alla Democrazia cristiana e in generale al sistema di potere cattolico e alla sua penetrazione in tutti i gangli dello stato. Ha i pregi e i difetti dell’opera di Petri, ma senza raggiungere la forza di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Indagine è del 1970, quindi a ridosso del ’68, mentre Todo modo viene subito prima del ’77. Sono anni che sembrano ormai lontanissimi, e a ricordarlo è constatare quanti di quelli che lavorarono a Todo modo sono morti, e da tempo: Marcello Mastroianni, Gian Maria Volonté, Michel Piccoli, lo stesso Petri, e tanti degli attori secondari e del cast tecnico del film. Compreso l’autore del romanzo da cui il film era tratto, Leonardo Sciascia, il più grande degli osservatori della società e del sistema di potere italiani e del loro degrado, il più acuto di tutti, molto più di Pasolini, molto più di Calvino, molto più di Bobbio.
Nello stesso anno di Todo modo anche Francesco Rosi, morto di recente, portò sullo schermo un romanzo di Sciascia, Il contesto, nel film Cadaveri eccellenti. Il contesto era uscito nel 1971, Todo modo, il romanzo, nel 1974. Aldo Moro, cui il personaggio interpretato da Volonté si ispirava, morirà nel 1978, ucciso dalle Brigate rosse, due anni dopo il film di Petri. E davvero dalle immagini di Todo modo e di Cadaveri eccellenti si sprigiona un senso di morte che riguarda l’Italia di quegli anni, la crisi e fine di un sistema politico cui fece seguito – e non fu una soluzione migliore – una classe dirigente meno ipocrita e più spregiudicata, più aggressiva e perfino più egoista, anticipata da Craxi ed esplosa con Berlusconi e con la morte per suicidio, tra un compromesso e l’altro, della sinistra. La fine di un sistema sulla cui ceneri è sorto un sistema perfino peggiore.
Vedere Todo modo è dunque un modo di ricordare, con una forte dose di angoscia per chi ha vissuto intensamente quegli anni prendendo partito, un periodo funereo e cupo della nostra storia, la fine di un mondo. Ma, come si diceva proprio in quegli anni, “a film politico, giudizio politico”. Nel film di Petri lo sprofondamento narrativo nella vischiosa e melmosa stagione finale della Dc ha, molto più che in Sciascia, la cupezza di una danza macabra, di un funerale sanguinoso e catacombale. Fino al grottesco, fino a una sorta di delirio metafisico sul potere che, criticando il “cattolicesimo reale” della dirigenza democristiana, ne accentua allo spasimo gli elementi mortuari.
Petri sapeva di esagerare e voleva esagerare, spingersi al massimo del rifiuto e del disgusto, pur se in qualche modo affascinato dalla mostruosità di un sistema di potere che era il marchio di una storia, di una società e in definitiva di qualsiasi potere stabilito, era l’inevitabile decorso del potere, era la sua cancrena. Qui la cancrena si esprime nel ritiro spirituale-politico dei dignitari democristiani (mentre fuori, all’aperto, nel mondo, infuria un’epidemia che a quella cancrena corrisponde) ed è simile a quella che ogni potere esprime nel suo massimo spingersi dopo il trionfo, di cui è anzi un segno, quando non è più lo spirito di conquista a far da collante, il fronte si scompagina, il marcio dilaga e le “correnti” si sbranano tra loro.
Non è un film lucido, non è un’analisi da sociologo o da storico quella che Petri si proponeva, ma una rappresentazione della cancrena con i modi di una visionarietà più medioevale che moderna: furiosa e vorticosa, e in definitva estranea allo spirito ostinatamente volterriano di Sciascia. Lo stesso accadeva con Cadaveri eccellenti di Rosi, altrettanto metafisico e altrettanto, in definitiva, poco politico, o meglio poco utile politicamente a una comprensione che spingesse a una reazione attiva e consapevole. Così mi parve all’epoca e così continuo a pensare oggi.
Mi chiedo che effetto può fare la visione di Todo modo a un giovane di oggi, cresciuto in anni senza più sinistra e perfino senza più Dc. Tra i meriti del film c’è quello di un Mastroianni in un ruolo molto diverso dai soliti, bravissimo e durissimo, e di una musica morriconiana per una volta non invadente, quasi casta. Tra i demeriti io metto un’interpretazione di Volonté più untuosa e caricata del necessario e una scenografia esasperata. Sta per uscire un libro su Petri curato da Alfredo Rossi che contiene molte testimonianze sul regista compresa la mia, che a Petri ho voluto bene anche quando non ero d’accordo con lui, come lui a me.

Da:  http://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2015/06/25/todo-modo-petri-recensione

*****

P.S. :
Pasolini non potè vedere il film di Elio Petri, uscito esattamente un anno dopo la sua morte.
 Ma il libro dell’amico siciliano, da cui venne tratto il film,  l’aveva ben letto e recensito, considerandolo “destinato a entrare nella storia letteraria del 900 come uno dei migliori libri di Sciascia” e  riconoscendo in esso “una sottile metafora degli ultimi trent’anni di potere democristiano, fascista e mafioso”.   (Tempo, 24 gennaio 1975)
Sciascia, che difese il film dalle accuse di faziosità, non aveva alcun dubbio. Sarebbe piaciuto molto a Pasolini:
“Todo modo è un film pasoliniano, nel senso che il processo che Pasolini voleva e non poté intentare alla classe dirigente democristiana oggi è Petri a farlo. Ed è un processo che suona come un’esecuzione… Non esiste una Democrazia Cristiana migliore che si distingua da quella peggiore, un Moro che si distingua in meglio rispetto a un Fanfani. Esiste una sola Democrazia Cristiana con la quale il popolo italiano deve decidersi a fare definitivamente e radicalmente i conti”. 
Leonardo Sciascia