BEAUVOIR
DIFFERENZIALISTA?
Posted on settembre 27, 2024
Deborah
Ardilli
Un pezzo apparso sul Foglio del 27 settembre lamenta, ohibò,
un’«incredibile falsificazione ideologica» perpetrata ai danni di Simone de
Beauvoir. L’autore del trafiletto allarmato, Guido Vitiello, intende
risvegliare l’indignazione del pubblico denunciando la cooptazione di Beauvoir
nei ranghi del costruttivismo radicale: un’appropriazione che, secondo
l’opinionista, sarebbe un fatto recente, dovuto all’ignoranza dei testi da
parte di una generazione rotta alla frequentazione di instagram e tendenzialmente
allergica al consumo librario.
Come correggere, allora, il duplice delitto di lesa filologia
e abuso ideologico? Quale alternativa teorica e politica suggerire alle
«transfemministe instagrammabili» che suscitano l’irritazione di Vitiello? La
soluzione elaborata dal collaboratore del Foglio per salvare l’onore della
filosofa prevede due mosse. In primo luogo, si tratta di procedere a
un’accurata selezione di passi del Secondo sesso volti a
dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che, per Beauvoir, la biologia è
un fattore determinante e la differenza tra uomini e donne è fondata in natura.
Dopodiché, la raccomandazione è di abbinare la lettura di queste frasi — rigorosamente
astratte dal contesto — a quella del recente volume di Adriana Cavarero e
Olivia Guaraldo, Donna si nasce (e qualche volta lo si diventa). Sommando
le due operazioni, e agitando bene, il risultato è il seguente: la chiave del
riscatto di Beauvoir dalla barbarica violenza esegetica di cui è vittima
consisterebbe nel… trasformarla in una militante della differenza
sessuale.
Bien joué, bella trovata davvero il beauvoirismo
differenzialista! Più instagrammabile di così, d’altronde, era difficile
pensarla.
Certo, sarebbe un’ingenuità imputare esclusivamente al Foglio
e alle sue firme questo ennesimo contributo alla banalizzazione della storia e
della teoria femminista. In ogni caso, ha senso porsi una semplicissima
domanda: a chi e a che cosa serve una Beauvoir risciacquata, o meglio annegata,
nelle acque del differenzialismo? La prima funzione, intenzionale, è palese:
intascarsi un santino da spendere nella critica da destra al transfemminismo,
alla woke, al “gender” e via discorrendo. La seconda, forse meno direttamente
percepibile ma sempre collocata a destra, chiama in causa la ricerca di una
giustificazione filosofica della disuguaglianza: di genere, in questo caso. Ma
si sa, e lo sappiamo anche grazie a Beauvoir, che il meccanismo è facilmente
trasferibile e riciclabile quando si tratta di legittimare la subordinazione di
altri gruppi minoritari.
È questo, non altro, il senso del richiamo a una differenza
“originaria” e alle sue invalicabili frontiere: indicare un limite insuperabile
— naturalmente fondato, ontologicamente inaggirabile, candidato a ogni sorta di
valorizzazione — alle pretese di uguaglianza sostanziale avanzate dai gruppi
subalterni. E nascondere, con il pretesto di quel limite collocato al di fuori
dell’azione della società, le forme di sfruttamento e discriminazione
sistematica che dobbiamo invece all’organizzazione della produzione, degli
scambi e dei consumi. La cultura di destra (che, quando si tratta di rapporti
sociali di sesso, continua a impregnare di sé tutto lo spettro ideologico e
politico ) è così: crede, o finge di credere, che l’ordine e le sue
articolazioni siano dati, e non socialmente e politicamente costruiti.
Ridicolizza il «costruttivismo radicale» per scoraggiarci a pensare che le
istituzioni della moderna società patriarcale e capitalista siano, appunto,
istituite; e, in quanto tali, bisognose di un sovrappiù di razionalizzazione
ideologica quando si diffonde la percezione del fatto che la loro persistenza
contraddice in modo flagrante i principi di libertà e uguaglianza di cui le
nostre società si gloriano.
Ora, senza darsi l’illusione di poter convincere chi non ha
alcun interesse a essere convinto, è almeno possibile indicare alcuni elementi
da tenere in considerazione per formarsi un giudizio sull’evoluzione e sul
lascito di Beauvoir meno spericolato di quello proposto dal Foglio. E,
soprattutto, per evitare le figure di guano in cui rischia di incappare chi,
deplorando ai quattro venti l’ignoranza altrui, trascura di porre rimedio alla
propria.
Anche tralasciando osservazioni sulla pertinenza di una
lettura ultraselettiva di un testo stratificato ed enciclopedico come Il
secondo sesso, va segnalato almeno un banale dato di fatto, cioè che
Beauvoir non muore nel 1949, subito aver dato alle stampe il suo capolavoro.
Soprattutto, importa ricordare che, nel corso della sua lunga traiettoria, la
filosofa ha effettivamente avuto modo di porsi il problema della corretta
interpretazione del suo pensiero, con esiti di segno opposto a quelli che le
vengono attribuiti da Vitiello.
Ecco cosa dichiara Beauvoir nel 1966, nel libro-intervista di
Francis Jeanson, Simone de Beauvoir ou l’entreprise de vivre. Suivi de
deux entretiens avec Simone de Beauvoir: «Sono radicalmente
femminista, nel senso che riduco radicalmente la differenza in quanto dato
provvisto di un’importanza intrinseca […] certamente esistono molte false
interpretazioni del mio femminismo. Solo, quelle che ai miei occhi sono false, sono
quelle che non sono radicalmente femministe: non mi si tradisce mai quando
vengo tirata verso… il femminismo assoluto, se vuole. Al contrario, se si cerca
di sollecitarmi per farmi dire… ecco vedete, c’è appunto una “specificità
femminile” che fa sì che la donna (indipendentemente dalla cultura, dalla
civiltà, dall’educazione e dalle strutture del mondo) non potrà mai essere la
simile dell’uomo, allora…».
Anche questa sarà un’«incredibile falsificazione ideologica»
indotta dall’influenza del “gender” e dal transfemminismo? Un
auto-fraintendimento di dimensioni tali da gettare il dubbio sulla capacità di
intendere e volere della diretta interessata? Ai posteri l’ardua sentenza. A
noi il compito elementare di discernere: l’esistenza di una specificità, di una
differenza radicata nell’ordine naturale precedente la cultura, la civiltà,
l’educazione, le strutture del mondo e tale da determinare la divisione sociale
tra uomini e donne è postulata da Guaraldo e Cavarero e da loro ancorata, in
linea con le posizioni storicamente espresse dal pensiero della differenza
sessuale, alla facoltà di generare. Immagino che il Foglio, come tutta
l’ideologia dominante, concordi.
Ma certamente non concordava Beauvoir. Che oltretutto, di lì
a poco, sarà chiamata a misurarsi con un fatto imprevisto al momento della
redazione del Secondo sesso: la nascita del movimento di
liberazione delle donne in Francia. Di fronte all’esplosione femminista degli
anni Settanta, Beauvoir sceglie di situarsi dalla parte del «femminismo
assoluto», cioè di stringere contatti con la corrente féministe
révolutionnaire che rifiuta in toto il discorso della differenza
sessuale e polemizza duramente con le sue esponenti, per altro esplicitamente
schierate su posizioni anti-femministe.
Alle giovani révolutionnaires, portatrici di un
progetto che alla fine degli anni Quaranta non poteva essere minimamente
contemplato, “Momone” — così l’avevano soprannominata le ragazze del MLF — apre
le colonne di Les Temps Modernes. Ascolta, impara, si mette generosamente a
disposizione. E, nel 1977, accetta di assumere la direzione onoraria di
Questions féministes, la rivista del femminismo materialista francofono.
Ovviamente nessuna può pretendere che dalle parti del Foglio sappiano di che
cosa si tratti, considerando che a malapena ne prendono atto i manuali di
filosofia femminista più in voga nel nostro paese, magari con il pretesto
fornito dall’affiliazione disciplinare delle intellettuali, prevalentemente
sociologhe e antropologhe, che hanno animato quell’esperienza.
A ogni buon conto, l’autrice del Secondo sesso mette
il proprio prestigio a disposizione di un’iniziativa animata da figure come
Christine Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Colette Guillaumin e Monique Wittig.
Dopo lo scioglimento del collettivo redazionale di Questions féministes,
troviamo ancora Beauvoir alla direzione di Nouvelles Questions féministes, la
più longeva rivista femminista di lingua francese, presso la quale il
costruttivismo sociale continua a essere di casa.
Tutte le intellettuali che hanno gravitato intorno a queste
riviste sono state ben consapevoli dei limiti di cui risentiva l’impostazione
fenomenologica del Secondo sesso. Limiti che, evidentemente, non
sfuggivano nemmeno a Beauvoir, convinta, a un certo punto della sua vita, che
una ipotetica (e mai realizzata) riscrittura dell’opera del 1949 avrebbe dovuto
avere un taglio più materialista. Tutte, in altre parole, hanno avuto chiaro
che quella del Secondo sesso è stata, per usare le parole di
Françoise Armengaud, filosofa vicina a Nouvelles Questions féministes, una
«rottura epistemologica incompiuta»: da lì si poteva e si doveva partire per
una critica all’ideologia differenzialista e ai suoi presupposti naturalisti,
ma lì non ci si poteva fermare.
Va per altro sottolineato che, pur non rimettendo mano
al Secondo sesso, Beauvoir non rinuncia a intervenire nelle dispute
teoriche e politiche di quegli anni. È lei a firmare, nel 1982, l’introduzione
a Chronique d’une imposture, du MLF à une marque
commerciale, una raccolta di testi e documenti di denuncia, da parte di
militanti femministe, dell’appropriazione e del deposito del marchio
commerciale MLF operata Psychanalyse et Politique, il gruppo di Antoinette
Fouque, la maggiore ideologa di lingua francese, insieme a Luce Irigaray e
Hélène Cixous, del pensiero della differenza sessuale. Ed è sempre Beauvoir,
nel 1984, a scrivere un articolo, incluso nell’antologia curata da Robin Morgan Sisterhood
Is Global, per smentire la falsificazione ideologica (quella sì)
veicolata dall’invenzione del “French Feminism” e ricordare al pubblico
anglofono che, in Francia, «la teoria è stata prodotta quasi esclusivamente
dalle femministe radicali», cioè appunto dalle materialiste, e perciò
radicalmente costruttiviste, di Questions féministes.
Non bastasse questo a togliere fondatezza alla lettura che
Vitiello pretende di dare, vale la pena ricordare che il fronte
differenzialista, dal canto suo, non mancherà di reagire agli interventi
beauvoiriani. E lo farà con la proverbiale eleganza di chi non esita a cogliere
l’attimo della massima visibilità mediatica possibile per assestare l’affondo
finale. Nell’aprile del 1986, neanche il tempo dei funerali, mentre personalità
e gruppi femministi di tutto il mondo trasmettono alle redazioni di Les Temps modernes
e Nouvelles Questions féministes messaggi di cordoglio per la scomparsa di
Beauvoir, Antoinette Fouque sceglie le colonne di Libération per pubblicare un
intervento dal titolo “Moi et elle” . In quelle righe, la psicoanalista parla
della morte di Beauvoir come di una liberazione: «questa morte forse accelererà
l’ingresso delle donne nel XXI secolo».
Ma liberazione da cosa? Da un femminismo fondato, è sempre
Fouque a scrivere, su un «universalismo intollerante, assimilatore, astioso,
sterilizzante, riduttore di ogni altro», con cui è urgente chiudere i conti per
lasciare spazio «al pluralismo, alle differenze feconde che, come ognuno sa
hanno origine, si informano, cominciano dalla differenza dei sessi». Meno
volgari i toni, ma identica la sostanza del necrologio firmato da Luce Irigaray
per la tedesca Tageszeitung, poi ripreso in Je, tu, nous (1990).
In quella sede, Irigaray chiarisce per l’ennesima volta che, dal suo punto di
vista, le pretese di uguaglianza avanzate dal femminismo poggiano su una
critica superficiale della cultura. E che per scongiurare la neutralizzazione
della differenza sessuale a cui puntano le legittime eredi di Beauvoir, occorre
procedere a rifondare diritti e doveri sociali di ciascun sesso sulla base
della loro irriducibile differenza. Sarà un fraintendimento anche questo?
Sbagliava Irigaray a credere di non potersi decentemente rifare a Beauvoir per
rilanciare un modello di convivenza basato sul sinistro principio separate,
but equal?
Non è sorprendente che dalle parti del Foglio, e non solo lì,
l’elogio della differenza sessuale equivalga a una musica celestiale. Evitino
almeno di scandalizzarsi se, a questo mondo, esiste ancora qualcuna in grado di
comprendere dove porta quella strada.
A destra Simone de Beauvoir insieme alle militanti del MLF
in occasione della giornata di denuncia dei crimini contro le donne. Parigi, 13
maggio 1972.
Foto di Mariza de Athayde, in Feminist
Revolution.
PEZZO RIPRESO DA: https://manastabalblog.wordpress.com/2024/09/27/beauvoir-differenzialista/