17 ottobre 2024

UNA MOSTRA DI CALOGERO BARBA

 


TINA MODOTTI DA RISCOPRIRE

 



Tina Modotti vista da Laris Massari


Tina Modotti è stata una donna fuori dal comune, capace di abbracciare una vita in cui arte, politica e amore s’intrecciavano in un equilibrio instabile ma affascinante. Il suo percorso si snoda attraverso i continenti, e tra rivoluzioni e passioni, lasciandosi dietro un’eredità profonda quanto difficile da decifrare. Nata nel 1896 a Udine, in una famiglia di umili origini, fin dalla giovane età dimostra una curiosità irrequieta per il mondo oltre i confini del Friuli. La terra in cui cresce è multilingue, multiculturale, e ciò plasma in lei un’apertura mentale che la porterà ben presto a lasciare l’Italia per cercare la propria strada all’estero.

È negli Stati Uniti, a San Francisco, che Tina inizia a scolpire la propria identità. Lavorando come operaia, vive la durezza della vita degli immigrati, ed è proprio tale contesto che l’avvicina ai circoli culturali e artistici della città. Nonostante le difficoltà economiche, sono il suo fascino e il suo talento innato che la portano presto a calcare i palcoscenici teatrali, e ben presto si apre davanti a lei il mondo del cinema muto, all’epoca in pieno sviluppo. Hollywood l’accoglie con favore e Tina potrebbe facilmente costruirsi una carriera luminosa, per la sua bellezza mediterranea e la capacità di adattarsi ai ruoli del nascente cinema statunitense. Il suo volto, pervaso da un’intensa malinconia, emerge nel panorama hollywoodiano, incarnando il tipo di bellezza enigmatica e misteriosa che il cinema muto sapeva esaltare. Ma la sua personalità complessa emerge fin da allora, provocando in lei insoddisfazione verso la superficialità del mondo dello spettacolo. Il suo spirito ribelle e la sua sete di conoscenza la spingono a esplorare nuovi orizzonti, sul piano artistico e sul piano umano.

Il suo incontro con il fotografo Edward Weston (1886-1958) segna una svolta fondamentale. La fotografia diventa per lei non solo un mezzo di espressione artistica, ma anche uno strumento per dare voce alle proprie convinzioni politiche e sociali. Weston è il suo maestro, il suo amante - era già sposata con «Robo», il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey (1890-1922) - senza che Tina rimanga mai nell’ombra: assorbe con intensità gli insegnamenti tecnici, sviluppando però un proprio stile fotografico, che riflette la sua visione profonda della vita e del mondo. L’intimità con Weston, pur intensa, non oscura la sua voglia d’indipendenza. È una donna che non teme di esporre la propria sensualità, né di rompere con le convenzioni dell’epoca. In un momento storico in cui la figura femminile era ancora strettamente legata a ruoli tradizionali, Tina sfida tali norme con audacia: lo fa nella vita privata così come nell’arte.

È in Messico, inizio degli anni ’20, che Tina trova la propria autentica dimensione. In una terra sconvolta dalle ferite ancora aperte della Rivoluzione, s’immerge totalmente nel fervore politico e sociale che pervade il Paese. La sua arte, fino a quel momento caratterizzata da una ricerca estetica di tipo formale, si trasforma in un potente strumento di lotta. Attraverso le sue fotografie Tina documenta la realtà delle classi più povere - operai, contadini e braccianti - diventando una testimone attiva di un cambiamento sociale in atto. Le sue immagini, intrise di umanità, sono al tempo stesso opere d’arte e manifesti politici, capaci di suscitare emozioni e riflessione.

Nel contesto messicano incontra Julio Antonio Mella (1903-1929), rivoluzionario cubano, con cui condivide una profonda passione amorosa, oltre al comune impegno politico. Mella rappresenta per Tina l’incarnazione dell’eroe rivoluzionario: giovane, carismatico, devoto alla causa socialista. La loro storia, breve e tragica, è un turbine in cui si fondono amore, passione e politica. La morte prematura di Mella, ucciso da mani sospette, lascia in lei una ferita che non si rimarginerà mai del tutto. Di lì in poi Tina s’immerge sempre più nel mondo della politica, avvicinandosi al movimento «comunista» d’obbedienza moscovita e diventando una figura di riferimento per il Soccorso rosso internazionale.

Con la sua fede negli ideali rivoluzionari, Tina si ritrova a navigare nelle acque torbide del presunto comunismo staliniano, legata a personaggi ambigui e manovrata da forze più grandi di lei. La ex attrice ed ex fotografa cede al mito della Grande Madre sovietica, come tante altre tragiche figure animate originariamente da sincero spirito comunista. La relazione con Vittorio Vidali (1900-1983), altra figura enigmatica della sua vita, la trascina ancora più a fondo nel mondo del Comintern. Un uomo che lei forse un giorno scoprirà essere, con forti probabilità, uno dei complici nell’omicidio del suo amato Mella. La tragedia nella tragedia…

Parte per la Spagna, si unisce alla lotta contro il fascismo nella Guerra civile. Anche qui, fra le trincee e le macerie, l’ideale rivoluzionario sembra logorarsi sotto il peso del tradimento con cui le principali forze politiche repubblicane soffocano la Rivoluzione spagnola.

Con il tempo, tuttavia, Tina inizia a intuire e poi forse a comprendere le ombre del mondo stalinista cui si è legata. Nonostante la sua adesione sincera agli ideali comunisti, le brutalità e i compromessi che osserva dall’interno del sistema la turbano profondamente. L’illusione di una rivoluzione pura, in grado di cambiare radicalmente le sorti dell’umanità, inizia a sgretolarsi di fronte all’azione reale del movimento, del quale lei riesce finalmente a vedere anche gli aspetti criminali. Nonostante ciò, non cessa di lottare, e alcuni elementi della sua biografia dimostrano che negli ultimi anni di vita il suo impegno assume una forma più consapevole, critica, anche se non è dato sapere fino a che punto lo sia.

Il Patto Hitler-Stalin (agosto 1939) è il colpo finale. La donna che aveva dedicato la vita alla lotta per la libertà e per gli ideali di una società socialista, comincia a rendersi conto che il sistema in cui aveva creduto sta tradendo gli stessi ideali che le erano stati cari. Raro esempio nel mondo del comunismo staliniano (rarissimo tra i comunisti italiani, come mostra più avanti il testo di R. Massari), Tina non approva il Patto scellerato da cui ebbe inizio la Seconda guerra mondiale. È un atto di profonda coerenza morale, un rifiuto di piegarsi alla logica spietata della politica. E proprio qui, nel suo ultimo atto di ribellione, Tina ritrova se stessa. Intuisce la portata devastante di un’ideologia che sacrifica l’individuo in nome di un’astrazione: non più l’artista manipolata, non più la rivoluzionaria sacrificata sull’altare di una causa che si è trasformata in tirannia, bensì una donna che ha scelto di restare fedele alla propria umanità, sino alla fine.

In tale contesto essa si riscatta, recuperando la grandezza del suo essere artista e rivoluzionaria, ma anche donna capace di vedere oltre le illusioni politiche del proprio tempo. Forse anche per questo la sua morte improvvisa a 45 anni - in circostanze molto simili a quelle in cui morirà Victor Serge (1890-1947) nella stessa Città del Messico, pochi anni dopo di lei - ha lasciato molto più di un semplice sospetto sulle circostanze in cui avvenne. E cioè che i sicari staliniani si siano voluti liberare di una donna che sapeva troppo, una testimone scomoda soprattutto dei molti assassinî di antifranchisti compiuti nella Spagna repubblicana.

Tina è stata, e rimane, un simbolo di coerenza, passione e lotta. È stata una fotografa talentuosa, una musa, una militante politica, una donna libera (anche sessualmente) in un’epoca che non perdonava tale libertà soprattutto alle donne. Non è stata indenne dalle colpe e miserie della sua epoca, e soprattutto del suo movimento di appartenenza: ha amato, ha sbagliato, è stata certamente complice più o meno consapevole dei crimini del Soccorso rosso internazionale, senza mai perdere la fede, però, nella possibilità di un mondo migliore. È stata disposta sino in fondo a confrontarsi con i propri limiti e le proprie contraddizioni: in queste imperfezioni risiede la sua grandezza.

Tina è una figura viva, che ci parla ancora della lotta per rimanere coerenti con se stessi, in un mondo che spesso ci chiede di essere altro. Oggi, guardando alla sua vita, non possiamo fare a meno di chiederci cosa significhi essere donne e uomini in una realtà in continuo cambiamento, una realtà che a volte ci tradisce, ma che ci offre sempre la possibilità di riscatto.

Cosa c’insegna, allora, la sua storia? Che vivere con integrità e coerenza gli ideali dai quali si è animati, non è mai facile, che la purezza ideale è fragile. Con la sua breve e tormentata esistenza - donna, artista e ribelle - Tina ha dimostrato che non c’è nulla di più rivoluzionario dell’essere sino in fondo, pienamente e ostinatamente, umani.

Che dire di Tina come artista? La si può valorizzare anche in un contesto contemporaneo? Oppure il suo lascito è inesorabilmente segnato dal tempo in cui visse e dai contesti politici in cui operò (fondamentalmente il Messico postrivoluzionario)?

Il concetto di arte va espandendosi. All’artista del nostro tempo non è necessariamente richiesto di mettere in atto un talento per ottenere il successo. La capacità espressiva si trasforma in un’interpretazione preconfezionata e veicolata per lo spettatore. Il messaggio dell’opera è divenuto fondamentale, più della sua forma espressiva, affinché essa possa definirsi «arte».

Ebbene, Tina non si considerava e non voleva che la si considerasse un’artista, né riteneva che la sua fotografia fosse arte, essendo fondamentalmente interessata al messaggio che le immagini ritratte dalle sue foto trasmettevano. Le sue opere grondano di messaggi ed è evidente che questo intento era prevalente per lei: era anche un suo limite, allo stesso tempo.

Eppure, ai miei occhi  - sicuramente condizionati dall’artificialità degli sviluppi che la fotografia odierna sta vivendo - il suo modo di raffigurare la realtà meriterebbe il titolo di «artistico», o perlomeno di pionieristico avvio di un percorso artistico (quello del realismo fotografico, antisala dell’iperrealismo). Nel non considerarsi un’artista lei stava forse eccedendo in modestia (dote rara per i tempi correnti), ma io sarei portato a pensare che in fondo non avesse ragione.

E questo perché Tina esercitava l’arte della fotografia, nel senso che sapeva replicare la realtà con grande maestria, utilizzando i procedimenti più avanzati della tecnica fotografica dell’epoca sua: una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, com’è spesso considerata. Basti osservare la differenza tra le sue fotografie e quelle di Edward Weston per capire che c’è modo e modo di catturare un momento del reale.

Quest’antologia rappresenta un omaggio a una figura complessa e affascinante, il cui nome è rimasto a lungo avvolto dal silenzio. A partire dagli anni ’70 e ’80 del Novecento, ricerche pionieristiche di studiosi italiani - come Riccardo Toffoletti e Pino Cacucci - hanno contribuito alla sua riscoperta, ciascuno a suo modo: Toffoletti con la ricostruzione del suo itinerario fotografico, Cacucci con la ricostruzione della vita di Tina esposta con la sua prosa avvincente. È grazie a loro, e ad altri studiosi e artisti, che l’opera e la vita di Tina hanno trovato nuovo spazio nel panorama editoriale e culturale. Un fenomeno che ha portato alla realizzazione di numerose mostre in tutto il mondo.

In particolare, va segnalata la bella esposizione al Palazzo Roverella di Rovigo (sett. 2023-genn. 2024), curata da Riccardo Costantini (n. 1981). Ho avuto il piacere di visitarla ed è lì che è nata l’idea di questo libro. Davanti a quelle immagini ho provato un forte senso di coinvolgimento nel mondo ideale di Tina, trovandomi immerso in un percorso di forte valenza emotiva, che intreccia la sua arte, la sua lotta e il suo destino.

L’antologia qui presentata è costruita seguendo criteri vòlti a esplorare soprattutto l’epopea politica di Tina Modotti, vale a dire un aspetto centrale troppo spesso trascurato nelle analisi a lei dedicate. Sono stati inclusi materiali in gran parte sconosciuti, e la scelta degli autori ha mirato a dar voce a figure che, come Dante Corneli, Pino Cacucci, Pino Bertelli e Roberto Massari, condividono una prospettiva fortemente antistalinista, contribuendo a una riflessione più completa e critica della sua esperienza di vita. L’aver dato voce, poi, a vari eminenti studiosi non italiani, è stata una scelta mirata a contestualizzare la vicenda di Tina in un quadro internazionale. Una tale selezione mira a far emergere oltre all’artista e alla fotografa di talento, anche la donna che ha vissuto intensamente e in modo contraddittorio le grandi trasformazioni del suo tempo.

L’antologia, con i suoi contributi inediti e l’approfondimento della dimensione politica, vuole dunque essere un tributo alla scoperta o riscoperta di una donna straordinaria, il cui lascito ci parla sicuramente del passato, in gran misura del presente e, perché no?, fors’anche del nostro futuro…


INFERNO e PARADISO per J. SEIFERT

 



Ho veduto solo una volta
un sole così insanguinato.
E poi mai più.
Scendeva funesto sull’orizzonte
e sembrava
che qualcuno avesse sfondato la porta dell’inferno.
Ho domandato alla spècola
e ora so il perché.

L’inferno lo conosciamo, è dappertutto
e cammina su due gambe.
Ma il paradiso?
Può darsi che il paradiso non sia null’altro
che un sorriso
atteso per lungo tempo,
e labbra
che bisbigliano il nostro nome.


E poi quel breve vertiginoso momento
quando ci è concesso di dimenticare velocemente

quell'inferno.

 

JAROSLAV SEIFERT

 


16 ottobre 2024

LA CULTURA CHE NON AIUTA A CAPIRE GLI ALTRI NON E' CULTURA

 



La cultura non ha senso se non ci aiuta a capire gli altri. (L. Bianciardi) 

Un concetto simile si trova nell'opera di Gramsci e Vittorini. (fv) 






















15 ottobre 2024

LE "DUE ITALIE" di LUCIANO BIANCIARDI

 




"Perché c' era voluta la guerra a farci capire che esistono due Italie?"

PASOLINI INCOMPRESO

 


“I codici dell'amore cambiano, più rapidamente ancora che non quelli del linguaggio e della dignità di essere uomo. Ciò che invece resta immodificato è la paura della conoscenza amorosa, la paura di vivere, il terrore profondo, imbecille, dell'eros, che spinge alla mortificazione. Nel 1948, dei comunisti hanno ritenuto giusto di cacciarmi dal partito; ho dovuto lasciare tutto quello che amavo, la morte dell'anima. Sono stati gli stessi, dopo, ad aver parlato sull'Unità' di "Ragazzi di vita" in termini che avevano ben poco da invidiare agli insulti della stampa di destra tipo "Il Borghese", per esempio.

Da Giancarlo Vigorelli a Giovanni Berlinguer, dall'"Unità" a "Rinascita", non fu soltanto il realismo (falso o equivoco, naturalmente) ad essere preso come bersaglio, ma fu il mio cosiddetto "disprezzo e disamore" per gli uomini, il mio gusto morbido per la sporcizia. Ora mi piacerebbe chiedere a qualcuno di essi, che oggi di nuovo mi riconoscono non tanto lontano da loro nel mio rifiuto critico della società borghese, della società consumistica italiana e della sua classe politica corrotta, mi piacerebbe chiedere loro se era veramente allora solo una questione di realismo.

Vorrei che mi spiegassero perché, in trent'anni che scrivo nell'ambito della letteratura, e di questa stampa, praticamente nessuno si è avveduto di quanto fosse contraddittorio sostenere che tutto ciò che creavo (i miei personaggi e la loro cornice) fosse contemporaneamente il frutto di un'immaginazione astratta, irrealistica, e quello di un'esperienza abietta e obbrobriosa.

Come mai non hanno capito che il diritto dello scrittore a dire tutto presuppone il dovere di inventare tutto, in altre parole di cogliere la verità, tutte le verità, senza per questo compromettersi nell'esperienza dell'abiezione.”

Pier Paolo #Pasolini

📖 "Il sogno del centauro. Incontro con Pier Paolo Pasolini" (1982) pp.154-57

Pezzo ripreso da  CITTAPASOLINI

MITI e ARTE: LA NASCITA DI VENERE

 

W.A.BOUGUEREAU
Nascita di Venere 1879



La Nascita di Venere
Alexander Cabanel 1875