Ricevo e con piacere pubblico l'articolo di un carissimo amico:
CAROLA È
ANTIGONE?
di Annibale C. Raineri 23 luglio 2019
di Annibale C. Raineri 23 luglio 2019
L’azione di Carola
Rackete ha richiamato in molti commentatori la figura di Antigone. I punti di
contatto fra la capitana della Sea Watch 3 e la mitica figura rappresentata da
Sofocle sono molti ed immediati. Anzitutto si tratta di due donne (cosa
evidente e fondamentale, anche se spesso non presente nei commenti), ambedue
agiscono in violazione cosciente della (di una) legge emanata dal (da un)
potere sovrano, disobbedendo agli ordini e sapendo di andare incontro a
conseguenze di cui si assumono la responsabilità. Ambedue rivendicano, a fronte
di quel potere e delle sue leggi, l’obbligo nei confronti di leggi superiori,
la cui legittimità non può in alcun modo essere messa in questione. Nella
lettura di alcuni commentatori violare la legge (“l’ordine del potere sovrano”)
è non solo un diritto (il diritto alla disobbedienza civile), ma un dovere
quando la legge della città contraddice la legge della coscienza (“degli
dei”).
Scrive Raffaele K. Salinari su “il manifesto” del 28 giugno:
«La memoria torna all’Antigone di Sofocle, che scelse la pietà verso il corpo del fratello insepolto e per questo fu condannata dalle leggi che il nuovo sovrano aveva promulgato. Eppure, esiste qualcosa oltre la legge, anzi, esiste qualcosa prima delle leggi, ed è ciò che ci fa avvertire nel profondo il senso di appartenenza alla stessa specie: quella umana.»
L’icona di Antigone che alcuni, fra cui io stesso, vedevano in trasparenza nella immagine di Carola arrestata dai finanzieri, era sostenuta da un potente moto di emozioni che cercavano in essa una rappresentazione simbolica ed insieme, per proiezione, una qualche rassicurazione di quel coraggio e quella determinazione che a noi tutti (a me prima di tutti) manca nella nostra quotidiana inerzia di fronte alla disumanizzazione che cresce.
Mi interrogo se in questa associazione Carola Rackete/Antigone prevalesse la iscrizione di un evento – l’azione di una donna – in un ordine simbolico, o semplicemente la proiezione immaginaria (tanto più efficace quanto più le immagini chiamate sulla scena sono altisonanti) di un noi rassicurato sulla propria impotenza.
Mentre camminavo nella manifestazione di protesta del 2 luglio una mia amica ed un mio amico, vecchi compagni di battaglie alla Regione, criticavano aspramente questa lettura del conflitto fra la Capitana Rackete e Salvini. Se ho ben capito il filo del loro ragionamento aveva due assi principali: da un lato l’analogia fra Carola e Antigone implica l’analogia fra Salvini e Creonte. Orbene, Creonte non è, nel mito e nella tragedia sofoclea, l’icona del “cattivo”, è al contrario la figura tragica che porta il peso della autorità/sovranità statuale. È lo stato che impone le leggi affinché la città possa esistere. È la figura tragica del potere della città attraversato da antinomie irrisolvibili perché ad essa immanenti. Leggere il conflitto Rackete/Salvini attraverso il conflitto Antigone/Creonte significherebbe legittimare Salvini in quanto rappresentante della “legge della città”, rappresentante del legittimo potere sovrano.
Al contrario, e questo sarebbe il secondo asse del ragionamento, il conflitto che abbiamo visto all’opera è fra la “legge della città” – codificata nella carta costituzionale e nelle norme del diritto internazionale – e chi quelle leggi sovverte, sebbene, cosa particolarmente grave, dalla posizione di “ministro della repubblica”. Nascondere la natura di questo conflitto con la retorica del conflitto fra legge della città e legge degli dei, o della coscienza, il che è lo stesso, significa cadere nel gioco illusionistico con cui si tenta di cancellare dalla coscienza comune (civile) la fatica con cui il costituzionalismo democratico post-seconda guerra mondiale – impostosi a seguito delle tragedie della guerra e delle tragiche esperienze dei totalitarismi (alcuni nati con procedure “democratiche”) – ha posto limiti invalicabili al potere sovrano, ancorché legittimato dal voto popolare, in materia di diritti inviolabili delle persone.
Il conflitto non è quindi fra la legge di dio e la legge degli uomini, ma “tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia” secondo la espressione di Piero Calamandrei nella arringa in difesa di Danilo Dolci (1956) richiamata da Tomaso Montanari e Francesco Pallante nell’articolo su “il manifesto” del 2 luglio dal significativo titolo Antigone è la Costituzione.
Tuttavia io credo che, se da un lato è necessario svelare il carattere sovversivo del disegno politico di Salvini – mettendo in evidenza la contraddizione fra i valori che esprime la sua azione, come leader politico e come ministro, ed i valori della Costituzione e del diritto internazionale in materia di diritti inviolabili delle persone – dall’altro l’immagine del conflitto rappresentato nella tragedia di Sofocle ci aiuta a ricostruire l’ordine simbolico grazie al quale potere iscrivere il nostro essere nel tempo che viviamo. Credo infatti che fronteggiare il dilagare di un potere disumano che penetra negli ambiti delle relazioni quotidiane, diventando sempre più senso comune, retto dallo scambio immaginario fra offerta di sicurezza – la cui domanda è alimentata artatamente – e rinuncia alla libertà, sia possibile solo rimettendo al centro del discorso comune un’idea di umanità irrinunciabile. Obbligazione ad un agire umano cui dare testimonianza attiva e inerme, assumendosi le conseguenze dei propri atti a fronte di una legge sempre più ingiusta. Solo la testimonianza di indisponibilità a rinunciare alla coscienza può rompere la crosta di ovvietà, di datità, che il potere che si pretenderebbe senza-limite cerca di costruire attorno a sé.
Scrive Raffaele K. Salinari su “il manifesto” del 28 giugno:
«La memoria torna all’Antigone di Sofocle, che scelse la pietà verso il corpo del fratello insepolto e per questo fu condannata dalle leggi che il nuovo sovrano aveva promulgato. Eppure, esiste qualcosa oltre la legge, anzi, esiste qualcosa prima delle leggi, ed è ciò che ci fa avvertire nel profondo il senso di appartenenza alla stessa specie: quella umana.»
L’icona di Antigone che alcuni, fra cui io stesso, vedevano in trasparenza nella immagine di Carola arrestata dai finanzieri, era sostenuta da un potente moto di emozioni che cercavano in essa una rappresentazione simbolica ed insieme, per proiezione, una qualche rassicurazione di quel coraggio e quella determinazione che a noi tutti (a me prima di tutti) manca nella nostra quotidiana inerzia di fronte alla disumanizzazione che cresce.
Mi interrogo se in questa associazione Carola Rackete/Antigone prevalesse la iscrizione di un evento – l’azione di una donna – in un ordine simbolico, o semplicemente la proiezione immaginaria (tanto più efficace quanto più le immagini chiamate sulla scena sono altisonanti) di un noi rassicurato sulla propria impotenza.
Mentre camminavo nella manifestazione di protesta del 2 luglio una mia amica ed un mio amico, vecchi compagni di battaglie alla Regione, criticavano aspramente questa lettura del conflitto fra la Capitana Rackete e Salvini. Se ho ben capito il filo del loro ragionamento aveva due assi principali: da un lato l’analogia fra Carola e Antigone implica l’analogia fra Salvini e Creonte. Orbene, Creonte non è, nel mito e nella tragedia sofoclea, l’icona del “cattivo”, è al contrario la figura tragica che porta il peso della autorità/sovranità statuale. È lo stato che impone le leggi affinché la città possa esistere. È la figura tragica del potere della città attraversato da antinomie irrisolvibili perché ad essa immanenti. Leggere il conflitto Rackete/Salvini attraverso il conflitto Antigone/Creonte significherebbe legittimare Salvini in quanto rappresentante della “legge della città”, rappresentante del legittimo potere sovrano.
Al contrario, e questo sarebbe il secondo asse del ragionamento, il conflitto che abbiamo visto all’opera è fra la “legge della città” – codificata nella carta costituzionale e nelle norme del diritto internazionale – e chi quelle leggi sovverte, sebbene, cosa particolarmente grave, dalla posizione di “ministro della repubblica”. Nascondere la natura di questo conflitto con la retorica del conflitto fra legge della città e legge degli dei, o della coscienza, il che è lo stesso, significa cadere nel gioco illusionistico con cui si tenta di cancellare dalla coscienza comune (civile) la fatica con cui il costituzionalismo democratico post-seconda guerra mondiale – impostosi a seguito delle tragedie della guerra e delle tragiche esperienze dei totalitarismi (alcuni nati con procedure “democratiche”) – ha posto limiti invalicabili al potere sovrano, ancorché legittimato dal voto popolare, in materia di diritti inviolabili delle persone.
Il conflitto non è quindi fra la legge di dio e la legge degli uomini, ma “tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia” secondo la espressione di Piero Calamandrei nella arringa in difesa di Danilo Dolci (1956) richiamata da Tomaso Montanari e Francesco Pallante nell’articolo su “il manifesto” del 2 luglio dal significativo titolo Antigone è la Costituzione.
Tuttavia io credo che, se da un lato è necessario svelare il carattere sovversivo del disegno politico di Salvini – mettendo in evidenza la contraddizione fra i valori che esprime la sua azione, come leader politico e come ministro, ed i valori della Costituzione e del diritto internazionale in materia di diritti inviolabili delle persone – dall’altro l’immagine del conflitto rappresentato nella tragedia di Sofocle ci aiuta a ricostruire l’ordine simbolico grazie al quale potere iscrivere il nostro essere nel tempo che viviamo. Credo infatti che fronteggiare il dilagare di un potere disumano che penetra negli ambiti delle relazioni quotidiane, diventando sempre più senso comune, retto dallo scambio immaginario fra offerta di sicurezza – la cui domanda è alimentata artatamente – e rinuncia alla libertà, sia possibile solo rimettendo al centro del discorso comune un’idea di umanità irrinunciabile. Obbligazione ad un agire umano cui dare testimonianza attiva e inerme, assumendosi le conseguenze dei propri atti a fronte di una legge sempre più ingiusta. Solo la testimonianza di indisponibilità a rinunciare alla coscienza può rompere la crosta di ovvietà, di datità, che il potere che si pretenderebbe senza-limite cerca di costruire attorno a sé.
Testo già pubblicaato da http://www.palermo-grad.com/carola-egrave-antigone.html
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