Speranza, depressione e diserzione
Se i democratici negli Usa e la sinistra ovunque in generale fossero all’altezza del tempo terrificante che viviamo, scrive Franco Berardi Bifo, dovrebbero ammettere che i governi di destra al potere in tanti paesi con le loro ricette di ultraliberismo e autoritarismo sono la conseguenza prima di tutto della mancanza di autocritica e l’evoluzione del liberismo moderato che per trent’anni ha guidato l’azione dei governi di centro-sinistra. Per questo quando democratici e sinistra parlano oggi di speranza non meritano alcuna fiducia. Aggiunge Bifo: “La speranza non è un argomento. È uno stato d’animo (spesso ingannevole e foriero di delusione e di rancore), oppure è una virtù teologale”. Su Comune da tempo abbiamo però aperto e protetto il concetto di speranza (grazie, tra gli altri, a John Holloway e Gustavo Esteva ma anche Marina Garcés e Giorgio Agamben): per questo non siamo d’accordo con Bifo. Abbiamo imparato che la speranza può essere pensata prima di tutto come lotta, come rifiuto dell’ordine delle cose, come ricerca continua. Non dunque la speranza-desiderio che non fa nulla, e di fatto anestetizza, in attesa di tempi migliori, ma la speranza che implica sempre il fare qualcosa, senza delegare, per cambiare il mondo, indipendentemente dai risultati immediati. È una speranza che spinge fuori, a differenza della paura e del catastrofismo apocalittico astratto che ci chiudono dentro, ma è anche inevitabilmente una speranza angosciata, non un ottimismo. In realtà quando Bifo scrive “è il tempo di scappare. E quando si scappa non ci si limita a scappare, si cercano nuove tecniche di sopravvivenza, nuove forme di amicizia e di erotismo…” anche lui prende le distanze da un’idea di speranza come qualcosa di statico e ci aiuta, ancora una volta, a tenere insieme lotta, pensiero critico e tenerezza
Negli ultimi anni l’economista Paul Krugman si è battuto strenuamente perché Joe Biden potesse vincere le elezioni. Ha ripetuto cento volte negli editoriali pubblicati dal New York Times che gli statunitensi dovevano votare per Biden perché, grazie alle politiche adottate dalla sua amministrazione, l’economia Usa andava a gonfie vele. In effetti, se paragonata al crollo delle economie europee, quella statunitense va bene davvero rispetto a quella europea, che ha dovuto rinunciare all’energia proveniente dalla Russia. Ma si vede che la vecchia massima clintoniana “It’s the economy stupid”, non funziona più. Per capire qualcosa del precipizio in cui le elezioni statunitensi hanno definitivamente scaraventato il mondo ci serve una diversa massima: “It’s the psychology, stupid”. I sentimenti del declino non sono meno concreti dell’economia: il dolore psichico, l’umiliazione, il senso di soffocamento, la tristezza, la demenza senile che si è impadronita della popolazione occidentale. Il trionfo mondiale della cattiveria cui assistiamo un po’ frastornati si spiega soprattutto a partire dall’epidemia psicotica che l’economia non sa governare e la politica ancora di meno.
Se i democratici, e la sinistra in generale fossero all’altezza della tragedia, dovrebbero ammettere che l’ultra liberismo dei fanatici come Milei non è altro che l’evoluzione del liberismo moderato che da trent’anni almeno ha guidato l’azione di governo dei governi di centro-sinistra da Blair a Schroder, a Letta e Renzi. “La differenza fra Trump e Harris sta nel fatto che Trump ti trascina nel baratro con gioia per far l’America nuovamente grande, mentre Harris ti trascina nel baratro con gioia per ragioni che non ha mai spiegato. Dovremmo meravigliarci che la gente abbia scelto il fascismo?” (Roger Hallam).
Come credere alle proteste dei democratici di fronte alla disumanità con cui il governo Meloni tratta i migranti, dal momento che il paradigma razzista che Meloni adotta è stato forgiato da un individuo che si chiama Marco Minniti, che ora si occupa di armamenti? Come credere alle proteste dei democratici di fronte allo scempio della sanità pubblica quando sono stati loro a dare avvio alla privatizzazione e al definanziamento del sistema pubblico?
L’unico paese europeo in cui i fascisti non sono vincenti è quello in cui la sinistra ha tentato, sia pur tra mille incertezze, di mettere al centro la società e non l’economia o la sicurezza: la Spagna. È l’unico paese europeo in cui la gente per strada sembra disposta a sorridere e salutarti, in cui la cortesia e l’allegria non sono state completamente bandite, come in Italia. È l’unico paese in cui c’è una legge (la riforma di Yolanda Diaz) che regolarizza il lavoro precario, e in cui si cerca di resistere alla privatizzazione. E (miracolo) i conti pubblici sono messi molto meglio che nella Francia di Macron, o nell’Italia di Meloni.
Ma torniamo a Krugman: il 15 dicembre ha pubblicato il suo ultimo editoriale sul NYT. Così ultimo che si intitola: My last column: Finding hope in an age of resentment. Krugman inizia ricordando i bei tempi andati, quando “i sondaggi mostravano un livello di soddisfazione che oggi appare surreale… gli statunitensi consideravano garantita la pace e la prosperità”. Per quale ragione gli statunitensi sono oggi sprofondati nel risentimento e in una depressione che sembra potersi curare soltanto con la violenza? La risposta di Krugman è di una superficialità sconsolante: “Perché quell’ottimismo si è guastato? Per come la vedo io, abbiamo avuto un collasso di fiducia nelle elite: il pubblico non ha più fiducia nella gente che gestisce le cose”. Tutto qui? Crisi di fiducia nelle elite? E quali sarebbero le cause di questa crisi di fiducia? Krugman non risponde a questa domanda, ma in compenso conclude con un paio di frasette che vorrebbero essere rassicuranti e invece sono semplicemente idiote. “Quel che io credo – scrive l’editorialista che un tempo stimavo – è che mentre il risentimento può portare gente cattiva al potere, nel lungo periodo non gli permette di rimanere in posizione di potere”. Tranquilli, ragazzi, tutto andrà per il meglio perché presto gli elettori statunitensi si stancheranno di questi cattivi. Davvero?
La speranza secondo Krugman
Anche nell’improbabile caso che le cose fossero così semplici come le vede il premio Nobel Krugman sarebbe il caso di chiedersi (nell’ultimo editoriale) che cosa accade nel frattempo, nell’attesa che i buoni elettori americani si ravvedano e votino per un presidente buono (come Joe Biden?). Krugman sorvola su questo punto: cosa faranno nei prossimi quattro anni quella banda di razzisti assatanati che si è impadronita del potere? E conclude il suo ultimo editoriale con un invito a non perdere la speranza: “Se ci opporremo alla kakistocrazia (governo dei cattivi) che sta emergendo, in seguito potremo ritornare indietro e ritrovare la strada verso un mondo migliore”.
Se questa è la qualità intellettuale dei democratici non è difficile capire perché vincono i fascisti. Il ricorso truffaldino al tema della speranza rischia di funzionare come l’ennesima trappola.
Tanto per cominciare la speranza non è un argomento. È uno stato d’animo (spesso ingannevole e foriero di delusione e di rancore), oppure è una virtù teologale.
Sulle virtù teologali non posso pronunciarmi, e lascio la parola a papa Francesco, che nella prima intervista rilasciata dopo la sua elezione, disse a un intervistatore di qualità come è Antonio Spadaro: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
Ratzinger, predecessore di Francesco, aveva centrato il suo magistero intorno alla nozione di verità, e aveva attribuito quindi il primato alla fede, su cui solo può fondarsi il possesso (esclusivo) della verità. Mi pare che Francesco intenda invece attribuire il primato alla carità. E io sono d’accordo con lui. La carità, la solidarietà, o forse l’amicizia, o forse la complicità fra disertori, è la virtù teologale che ci serve. Non la speranza.
Molti, terrorizzati dalla cupezza dell’orizzonte, abbracciano la fede e si battono da eroi per una causa che non è la loro. Ho sempre diffidato della fede. E non ho mai creduto nell’esistenza della verità.
Della speranza ho detto. Non è un argomento, e molto spesso trae in inganno. Perdi tempo a sperare, mentre sarebbe il momento di scappare.
Non perdere tempo a sperare. È tempo di disertare
A questo proposito ho letto un magnifico messaggio di Roger Hallam, dalla prigione britannica nella quale è detenuto per avere denunciato gli effetti del collasso climatico. Appena esco da qua dentro, dice il leader di Extinction Rebellion, andrò nelle strade e riprenderò la mia attività di agitatore. Un esempio di intrepidezza etica e di sfida estetica. “Voglio andare porta a porta a convincere la gente”, dice Roger. Io mi chiedo: a convincerla di che? Roger Hallam descrive molto bene la situazione: “Il 52 per cento degli elettori ispanici ha votato per Trump. Il solo gruppo che ha votato per i democratici sono i bianchi che hanno fatto il college. Interessante, no? Da tempo sostengo che dovremmo andare a bussare alla porta della gente. Ma pochi, soprattutto tra i bianchi con educazione superiore, hanno voglia di parlare con la gente. Meglio stare sui social media a lamentarsi di Trump. La depressione può essere deliziosa, no?”.
Hallam ci rimprovera perché invece che andare a convincere la gente (non si sa di che) stiamo qui chiusi in camera e ci deprimiamo. Qui non sono d’accordo con lui. Io penso che la depressione sia un atto di saggezza, e soprattutto so che la depressione evolve, e si trasforma in qualcos’altro. Può evolvere in fanatismo reazionario, aggressività contro qualche capro espiatorio, fascismo insomma. È quello che sta accadendo su larga scala. Ma la depressione può evolvere invece come abbandono dell’attesa di ogni futuro (o speranza). Può evolvere in diserzione, abbandono della sfera storica.
Se proprio dovessi andare in giro con Roger, a bussare alla porta della gente, credo che proprio questo gli direi: “Prepara un fagotto con lo stretto indispensabile e vieni via con me. Non perdere tempo a sperare, è il tempo di scappare. E quando si scappa non ci si limita a scappare, si cercano nuove tecniche di sopravvivenza, nuove forme di amicizia e di erotismo”.
Testo ripreso da: https://comune-info.net/speranza-depressione-e-diserzione/.
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