Una diagnosi culturale a partire dai margini
Saggi «Finzioni meridionali. Il Sud e la letteratura italiana
contemporanea» di Fabio Moliterni pubblicato da Carocci
Con Finzioni meridionali. Il Sud e la letteratura
italiana contemporanea (Carocci, pp. 136, euro 15), Fabio Moliterni
prova a ripensare il nesso «letteratura-questione meridionale» con l’intento,
mai taciuto, di scardinare le narrazioni egemoni e consolidate, quasi sempre
giocate su una rappresentazione consumistico-spettacolare, o quietistica, del
Sud.
Attraverso un campione significativo di voci – da Vittorio
Bodini a Rina Durante, da Nino De Vita a Alessandro Leogrande, passando per
Carlo Levi, Ernesto de Martino, Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia –,
Moliterni alimenta il bisogno culturale e politico di scorgere nelle
rappresentazioni letterarie del Meridione un’unità più profonda e meno
prevedibile: l’inverarsi di un’«oscillazione o ambivalenza costitutiva: tra la
fine irreversibile di mondi e culture destinate alla sparizione, se non all’annichilimento,
e la possibilità di un nuovo inizio». A garantire, nella varietà di proposte e
fenomeni culturali, questa unità (e questo nuovo, possibile inizio), è un
metodo di matrice materialistica che permette di cogliere rapporti di forza e
le relazioni egemoniche generate, di volta in volta, dal «conflitto tra gruppi
sociali, ideologie e linguaggi».
PENSATO come accostamento diacronico di esperienze-simbolo, il volume di
Moliterni ha inoltre il merito di rintracciare, con una lettura «sintomale»,
una serie di elementi problematici, secondo un moto analitico che mette
costantemente in rapporto il particolare dei testi con l’universale della
Storia. Cosicché «la tendenza allo sconvolgimento e allo sconfinamento dei
generi, la forza inventiva sul piano linguistico e la tendenza a ibridare e
mescolare diverse tipologie di scrittura», che lo studioso rintraccia, ad
esempio, nelle più recenti esperienze pugliesi, vale a rappresentare, sul piano
della superficie, l’eterogenea ricchezza, a volte persino conflittuale, del
panorama letterario contemporaneo, ma nello stesso tempo offre lo spunto, sul
piano meno immediato delle forme sociali, per cogliere «la cronica lentezza nel
fare rete e nell’innescare un dialogo concreto tra esperienze provinciali
isolate», accanto «al decadimento culturale diffuso e al dissesto
paesaggistico, alla disoccupazione giovanile e alla crisi sociale che certo non
sono risolti dalla ripresa turistica». Questo passo dialettico, sempre
rispettoso della complessità, consente allo studioso di rintracciare una
ragione sociale di fondo e di delineare un possibile spazio di conflitto.
In tal senso, Finzioni meridionali possiede
la lucidità di una diagnosi culturale concreta, priva di facili entusiasmi.
L’omologazione alla differenza consumistica, che Moliterni coglie come sintomo
storico della postmodernità più recente, appare certo come condizione
patologica generalizzata.
DEL RESTO, non poche scritture meridionali, anche quando si
dichiarano legate per tema o vocazione persino critico-antagonistica al Sud,
difficilmente si distinguono dalle più generali linee di tendenza nazionali (o
addirittura occidentali). Esiste inequivocabilmente un marketing letterario del
Meridione. Nello stesso tempo, lo studioso ci invita a valorizzare, con occhio
sempre critico, quelle esperienze marginali non sempre adeguatamente
riconosciute che risultano capaci di offrire, dalla specola del Mezzogiorno,
validi strumenti di indagine sociale, culturale e politica. È stato il caso,
senza dubbio, delle inchieste di Leogrande, che
https://ilmanifesto.it/raccontare-il-mezzogiorno-a-partire-dai-margini
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