11 giugno 2020

IL SAPIENTE FURORE DI GIORDANO BRUNO


Gian Maria Volontè interpreta Giordano Bruno al cinema


 
Il sapiente furore”: il Giordano Bruno di Michele Ciliberto
Per avere una minima misura dell’incidenza della vita e delle opere di Giordano Bruno, certo in maniera forse semplicistica ma non per questo meno indicativa, basta considerare la storia del monumento che oggi campeggia a Roma, in Campo de’ Fiori, nello stesso luogo in cui avvenne il rogo del filosofo il 17 febbraio del 1600, inaugurato nel 1889. Le vicende di questa statua che rappresenta il Nolano in atteggiamento grave e pensieroso, sono state ricostruite con dovizia di particolari e assoluta precisione storica da Massimo Bucciantini nel suo libro Campo dei fiori. Storia di un monumento maledetto (Einaudi, 2015): nelle complesse vicende legate alla statua si assiste, documenti alla mano, a una vera e propria battaglia tra detrattori e sostenitori non solo delle idee del frate, ma anche di una visione del mondo più libera e senza compromessi con il potere, una lotta che a Bruno costò la perdita della vita.
Da questo singolo episodio si intuisce come l’eredità di Giordano Bruno, seppur con caratteri ogni volta diversi, abbia attraversato con continuità i secoli che ci separano dalla sua morte, non mancando mai di stimolare importanti studiosi (per esempio, sul versante magico, lo storico delle religioni Ioan Peter Culianu, autore del fondamentale Eros e magia nel Rinascimento).
Tra gli studiosi contemporanei più importanti e autorevoli dell’opera di Giordano Bruno c’è sicuramente Michele Ciliberto, autore di molti testi dedicati al filosofo di Nola, dal profilo per Laterza alla monografia per Mondadori Giordano Bruno. Il teatro della vita, fino ai due importanti volumi pubblicati da Storia e Letteratura Pensare per contrari. Disincanto e utopia nel Rinascimento e L’occhio di Atteone. Nuovi studi su Giordano Bruno. Arriva adesso un nuovo libro dello storico dedicato al Nolano, Il sapiente furore. Vita di Giordano Bruno (pubblicato da Adelphi), che prende le mosse dal profilo pubblicato per Mondadori quasi quindici anni fa, per costituirsi però come un libro nuovo. Il sapiente furore, come suggerisce il sottotitolo, si basa su un’interpretazione in chiave biografica della filosofia di Giordano Bruno: «è necessario studiare la vita di Bruno non per un’opzione di carattere letterario o estetico, ma perché questa è la via maestra per poter penetrare in esperienze per le quali la dimensione biografica è la sorgente originaria di intuizioni, visioni, depositatesi poi in testi che oggi si presentano a noi come classici “disincarnati”, “assoluti”».
Questo itinerario di lettura, che Ciliberto nella sua introduzione ricorda essere stata anche la chiave per il suo libro su Machiavelli dello scorso anno, si presta a una lettura differenziata, ma in ogni caso sempre completa e articolata, del libro, che funziona sia come introduzione ai mondi spalancati dall’opera di Bruno, sia come sostanzioso supporto per studiosi che già frequentano sia l’opera del filosofo che quella di Ciliberto. Sembra non essere neanche secondaria la scelta dell’editore Adelphi, nel cui catalogo figurano anche le opere latine di Bruno, di pubblicare il volume direttamente nella collana economica, un invito in più ad addentrarsi in una delle storie più incredibili ed esemplari del Rinascimento, quella di una vittima eccellente dello spirito repressivo che attraversò l’età della Controriforma.
In questo libro, poderoso per mole e contenuti, si segue la vita di Giordano Bruno, la nascita a Nola in una famiglia di origini modeste, la scelta di farsi frate «per poter avere un ruolo nel mondo», la persecuzione dalle chiese di tutta Europa e l’importante considerazione che ebbe la sua opera tra i contemporanei: «quel piccolo uomo ebbe un grande destino, nel bene e nel male, nella gloria e nella disfatta» scrive Ciliberto nella sua introduzione, aggiungendo che «come questo sia stato possibile, resta per vari aspetti ancora da capire». Il carattere ineffabile di Giordano Bruno e la molteplicità dei suoi interessi e dei suoi lavori (filosofici, magici, mnemotecnici, matematici), costringono chi si avvicina alla sua opera con attenzione, estrema competenza e acume, come Ciliberto, a considerare questo lavoro sul filosofo come un continuo work in progress: la folta bibliografia che si ritrova in queste pagine, la molteplicità di punti di vista con cui possono essere lette le opere e la vita sono un esempio dell’essenza inafferrabile di Bruno. Eppure leggendo il libro di Ciliberto, e perdendosi beatamente nei continui riferimenti e nelle numerose ipotesi degli studiosi, al lettore sembrerà pian piano che i contorni di quest’uomo si organizzino davanti ai suoi occhi e parrà, ma solo per un momento e anche grazie all’abilità descrittiva di Ciliberto, di poter toccare con mano i movimenti del suo pensiero e le sue evoluzioni teoriche.
Tra le pagine più trascinanti di questo libro, caratterizzate da un andamento quasi narrativo che si nutre di testimonianze e di ciò che rimane del processo, ci sono quelle che raccontano il capitolo finale della vita di Bruno, dalla prigionia fino alla condanna, momento anche questo segnato da una serie di dubbi, come quello che riguarda le motivazioni che spinsero Bruno a tornare in Italia nonostante i rischi legati alle persecuzioni dell’Inquisizione («evidentemente quando il Nolano tornò in Italia, gli astri erano in una congiunzione nettamente sfavorevole» annota Ciliberto). Il capitolo, che ha il titolo suggestivo Processo, morte (e trasfigurazione), parte dal 1591, dalla situazione eccezionale di Bruno in quel periodo («da una parte, Bruno era convinto di avere nelle mani carte straordinarie e di doversi perciò affrettare a pubblicare tutto quello che aveva già pronto, a cominciare dalle opere magiche […]; dall’altra, viveva in uno stato di solitudine, anzi di vero e proprio isolamento») per poi analizzare le tre denunce del maggio 1592 e il processo che si sarebbe concluso otto anni dopo con il rogo e con le celebri e minacciose parole agli Inquisitori: «Certamente voi proferite questa sentenza contro di me con più timore di quello che io provo nell’accoglierla».
Come sottolinea Ciliberto, nel momento della condanna Bruno cominciò a trasformare la sua sentenza in una grande rappresentazione e a «prendere direttamente in mano la sua morte». Trasferito nel carcere, per otto giorni non diede alcun segno di pentimento e stette «senpre nella sua maledetta ostinatione», anche quando salì sul rogo e morente voltò il viso all’immagine di Cristo crocifisso. Il dimenticato filosofo Giuseppe Rensi ha scritto in La morale come pazzia che il lavoro di Bruno opera per la felicità altrui, ma «quanto più egli è sincero e coraggioso, tanto più largamente vede crescere intorno a sé le inimicizie e gli odii», arrivando a chiedersi, in poche e icastiche parole, la motivazione della sua scelta di morte: «Perché Giordano Bruno ha salito il rogo»? Perché, aggiungiamo, non ha mai preso in considerazione un’abiura come farà una trentina di anni dopo Galilei? Anche questa domanda non può che inserirsi nell’alveo delle ricostruzioni e delle supposizioni («era stata per il Nolano, un decisione difficile, presa sulla base di una valutazione lucidissima dei rapporti forza e di quelli che sarebbero stati gli esiti del processo e la sua vita futura»), ma le parole di Ciliberto che chiudono il volume sono nello stesso tempo il segno dell’amore scientifico e appassionato per il proprio oggetto di studi e il commiato perfetto per una storia eccezionale che è dovere di ognuno conoscere: «mentre le fiamme lo avvolgevano, rifiutando il crocifisso, il Nolano volle mostrare che si può morire in modo diverso da come aveva fatto il figlio di Dio, lamentandosi si essere stato abbandonato dal Padre, e chiedendo che da lui fosse allontanato quel “calice”. Ergendosi al centro della scena, Bruno bevve il “calice” fino in fondo, dimostrando con la sua vita, e anche con la sua morte, di essere, lungo la vicissitudine universale delle sorti e dei destini, il vero Mercurio, il messaggero inviato dagli dèi».

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