L’immunità del gregge
02 Giugno 2020
Si potrebbe chiamare “immunità del
gregge”. Poco a che vedere con quella sanitaria (immunità di gregge), anche se
le parole contano (ed anche le analogie). La parola latina munus può
significare molte cose diverse (impegno, ufficio, obbligo, ed anche dono…) e
sta dentro alcune parole importanti (munire, comunicare, comunità, immunità…). L’im-munitas
è quel che ci toglie l’obbligo, ci esonera dall’impegno e dalla preoccupazione,
ci evita problemi. La nostra communitas è divenuta sempre più negli anni una
entità collusiva immunizzata e immunizzante, che ossessivamente cerca di
proteggersi in tutti i modi dal negativo: dai pericoli e dai rischi, dai
conflitti, dalla messa in gioco, dalle impurità, dalle catastrofi, dallo
straniero e dal pensiero. La nostra securitas (da sine cura, sans souci, senza
preoccupazione) sta in un’area semantica affine e si fonda su una pedagogia
immunizzante di massa. La gran parte delle nostre energie vitali sono da tempo
e ogni giorno dedicate soltanto a respingere il male che ci attornia
(l’esperienza del coronavirus è soltanto l’ultima, più evidente ed estrema
esperienza all’interno di questa sindrome). Se le persone e le comunità si
immunizzano per evitare la paura è inevitabile però che inizino a temere
fortemente la libertà (questo timore non sta solo al termine del processo,
ma anche all’origine, peraltro). E la comunità che fugge dalla libertà è
quella che si fa gregge. Su questi temi vi consiglio Liberi servi di
Gustavo Zagrebelsky e La politica senza politica di Marco Revelli, letti
in questi giorni tristi.
Ma, in attesa che arrivi il vaccino
e l’immunità di gregge, l’immunità del gregge ora diventa (anche) un problema:
perché la massificazione nega alle persone la capacità di gestirsi in
autonomia. Perché se trasformiamo i giovani in greggi di idioti che
attendono soltanto lo spritz della sera o i bagordi della notte per potersi
sentire vivi, dopo averli fatti stazionare per ore davanti ai visori o sui
divani, non possiamo sperare che poi, appena lasciati a razzolare, siano
ragazzi responsabili (leggi anche E i giovani? di Franco Berardi
Bifo, ndr). Se esoneriamo la gente dal pensare non possiamo poi sperare che
pratichi il buon senso (così pare si chiami ora l’obbedienza). Significativo
che molte persone si stiano rifiutando di farsi fare i prelievi per i test
sierologici. Dobbiamo pur pagare un prezzo per quel che abbiamo voluto fare del
“popolo”. Dà grandi vantaggi, quando sta sotto. Con qualche effetto collaterale
negativo.
Ma attenzione: non per loro o per
noi. Non ce ne frega niente, davvero, dei bambini, dei giovani, degli adulti,
né tanto meno dei vecchi. No, non devono fare follie, ma solo per la causa. È
il capitalismo che non può, non deve rifermarsi. Ha già sopportato troppo,
non può essere rimesso in causa da quattro scapestrati. Ed ecco l’incazzatura
di Sala di una settimana fa per i giovinastri sui Navigli. E allora ecco lo spot
terroristico del Veneto contro la mo-rti-vida e la desperate happy hour. Ed
ecco le minacce dell’Oms sulla terrifica seconda ondata che tornerà in autunno.
Ed ecco l’invenzione degli assistenti civici, preambolo alle prossime ronde di
stato. Dopo il premio, se non funziona, ritornano le punizioni (e per tutti,
non per chi trasgredisce…) Siamo sempre lì: o costrizione da lunga paura o
piacere da breve ribellione. Nessuno spazio per qualcosa che abbia a che
vedere con l’etica o con l’educazione. Puro infantilismo statunitense, da
entrambe le parti. Ci si muove solo e sempre tra duri sceriffi senza cuore e
pervertiti senz’anima e senza scampo.
Da qui anche il muro contro muro tra
regioni ancora contagiate e altre sedicenti covid-free. Ora il governo, dopo
aver isolato zone rosse e aver imposto detenzioni di massa prolungate per
milioni di persone, dividendo famiglie e fidanzati, solo ora scopre che non far
partire i lombardi per le vacanze fuori regione sarebbe incostituzionale. Non
si cambia il-logica dell’in-differenza: ci hanno fatto andare in panico solo
perché le terapie intensive del nord non reggevano, e solo per questo hanno
costretto paesi interi del sud e delle isole (che non hanno mai avuto un
contagio) a stare isolati per mesi. Questo non era incostituzionale? Sì, ma era
anche stupido. Ed ora è stupido farne una questione di razzismo regionale,
e buttarla in politica-colitica, come fanno Fontana-Gallera e Sala: si tratta
di fare differenza tra chi ha ancora contagi e chi non ce li ha, tra chi può
contagiare e chi può essere contagiato, semplicemente. Ma davanti ai soldi e
ai ricatti dei forti le regole sanitarie non valgono più, valevano solo
all’inverso, sino a poco tempo fa. A proposito: chi poteva dubitare che la
serie A avrebbe ripreso, visti i soldi che ci girano? L’ho già scritto: solo
una ripresa dei contagi tra calciatori potrà salvarci.
Un ultimo accenno all’università:
mentre tutto riapre, lei, povera nobile decaduta, mantiene alzato il ponte
levatoio del suo castello, e sbarrati i suoi portoni ben sanificati. Solo i
portali restano aperti. E così sarà ancora a lungo, certamente anche per l’anno
accademico prossimo. La Dad ci impigrisce ulteriormente, è molto più comoda e
immunizzata. Permette risparmi evidenti all’amministrazione. È ben vista dalla
sempre più potente lobby dell’onlife, che non vede l’ora di trasformare tutte
le attività scolastiche in versione e-learning. La gran parte degli studenti
è dentro l’immunità del gregge da tempo e piacevolmente collude, senza proteste
o reazioni rispetto a quel che le viene sottratto, pezzo dopo pezzo.
Insomma, si va verso la fine definitiva dell’Università per come l’abbiamo
conosciuta. Nessun rimpianto, nessun rimorso (almeno per me). Ma il silenzio
totale e questa sua resa senza condizioni restano davvero inquietanti
(almeno per me).
·
* Enrico Euli
è ricercatore alla Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari, in
cui è docente di Metodologie e tecniche del gioco, del lavoro di gruppo e
dell’animazione. Ha pubblicato vari testi e articoli, l’ultimo: Fare il
morto (Sensibili alle foglie).
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