P.P. Pasolini, Che cosa sono le nuvole? (1967)
«La messa in
scena teatrale dentro al cinema qui appare come il frutto di un già effettivo,
ma non ancora totale, sgretolamento delle coscienze che viene messo in crisi
dalle domande sull’esistenza che i due burattini filosofi sono in grado di
pensare. La sola presenza di questa capacità di farsi domande, anche in assenza
di risposte, apre loro una via di fuga, resa possibile dall’intervento del
popolo sulla scena teatrale che provoca la loro morte come burattini. Se Otello
e Jago fossero stati solo di legno non si sarebbero certo accorti della
meravigliosa bellezza del creato e dunque non sarebbero morti come burattini e
rinati come uomini. La conclusione è sì sospesa – non sappiamo, tra l’altro, se
i meccanismi di proiezione inneschino una trasformazione nello spettatore
esterno – ma la storia personale di Otello e Jago di certo non approda al nulla
del consumo e all’alienazione dell’essere umano dentro a una irreligiosità
civile tutta immersa nel consumismo. Il film è un documento contro il
nichilismo, una risposta non religiosa, ma filosofica, all’inestinguibile
desiderio dell’uomo di autonomia, alla sua costante ricerca di identità e di
verità, pur in condizioni ‘concentrazionarie’. Con Che cosa sono le nuvole? nel contesto della rivoluzione
antropologica c’è ancora una timida speranza per l’uomo eterodiretto da un
Potere superiore se, dall’immondezzaio nel quale si trova, si pone delle
domande e si accorge della bellezza del creato».
(Claudia Calabrese, Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Corrispondences, Diastema Editrice 2019)
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Franco Fortini, 1977
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