20 agosto 2011

CLIENTELISMO













“In Sicilia, per quanto uno sia intelligente e lavoratore, non è detto che faccia carriera (…). La Sicilia ha fatto del clientelismo una regola di vita. Difficile, in questo quadro, far emergere pure e semplici capacità professionali. Quel che conta è l’amico o la conoscenza per ottenere una spintarella. E la mafia, che esprime sempre l’esasperazione dei valori siciliani, finisce per fare apparire come un favore quello che è il diritto di ogni cittadino"[1].


Con queste semplici parole Giovanni Falcone ha fornito una delle chiavi migliori per comprendere il “sistema di potere clientelare-mafioso”[2] che ha contrassegnato per secoli la regione siciliana e che, purtroppo, come aveva intravisto Leonardo Sciascia [3], ha finito per contagiare l’Italia intera . Molti anni prima il sociologo americano Edward Banfield [4] aveva individuato nel cosiddetto familismo amorale la causa prima del sistema di potere clientelare. Secondo questo studioso, infatti, il diffuso e radicato attaccamento al gruppo familiare – considerato centro dell’universo e valore assoluto cui sottomettere il resto – è alla base di ogni sistema clientelare. Mettere al primo posto la famiglia e i familiari, favorirli in ogni circostanza, soprattutto quando si occupano posti di potere, conduce a violare il principio dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e a creare un sistema di potere fondato sull’arbitrio e l’illegalità. Tale sistema, portato alle sue estreme conseguenze, ha generato il potere mafioso di Cosa Nostra che, non a caso, ha denominato famiglia la sua prima cellula. Particolarmente significativa appare, da questo punto di vista, la testimonianza resa il 28 marzo 1969 da Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora colonnello dei Carabinieri a Palermo, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso del tempo:


“I famosi figli e nipoti esistono; ed esistono le mogli, le nuore, i cognati, i fratelli. Non so quanti […]sono stati innestati nelle varie amministrazioni degli enti locali. Potrebbe sembrare strano che su un custode, un bidello, un usciere, un vigile o un messo comunale ci si debba soffermare. Purtroppo, in questo ambiente, dove l’arretratezza di taluni costumi, le povertà e il bisogno incombono, certi impieghi, come appunto quelli più modesti da me citati, possono – proprio perché la loro matrice è il don mafioso, o il tizio indiziato mafioso – assumere valore. Cioè, mentre in un’altra zona il bidello è il bidello, il custode in cantiere è il custode in cantiere, il portiere di un fabbricato è il portiere e basta, qui, queste persone, […], sono significative al di là del loro ruolo specifico […].Nell’ambito di un Comune, piccolo o non piccolo, la presenza di due, tre, quattro, cinque, di questi personaggi anche se impiegati con modesti compiti, con modesti incarichi, direi che, in qualche modo, influenza l’andamento di quell’ente locale; non dico che queste persone arrivino a determinare l’attività, ma, insomma, influiscono su di essa, hanno un peso in quell’ambiente, in quella zona”.

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[1] GIOVANNI FALCONE, Cose di cosa nostra, Rizzoli, Milano 1991, pag. 132.
[2] A definire in tal modo il sistema di potere dominante in Sicilia è stato per primo DANILO DOLCI. Cfr. per tutti il suo libro Chi gioca solo, Einaudi 1966 (II edizione).
[3] LEONARDO SCIASCIA, La Sicilia come metafora, Mondadori
[4] Cfr. il suo famoso saggio The Moral Basis of a Backward Society del 1958 (tradotto per Il Mulino come Basi morali di una società arretrata)

1 commento:

  1. L'assenza di commenti in questo post può assumere due diversi significati:
    1) il carbone bagnato impedisce una presa di posizione
    2) il carbone anche se asciutto non vuole escludere l'eventualità di potersi bagnare oggi domani un concorso....
    Conclusione:
    Marineo è una realtà di brava gente che saluta a tutti, e giustifica tutti. Non si capisce chi è cattivo e chi è buono, siamo tutti brava gente, però non si comprende come mai Marineo non viene citato nei capitoli della Genesi come Antico Eden.

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