13 agosto 2011

ERMANNO REA, La fabbrica dell'obbedienza










 ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DEL CONFORMISMO

Francesco Virga


L’ultimo libro di Ermanno Rea mette a nudo con chiarezza le radici del servilismo e dell’opportunismo che hanno contrassegnato la storia nazionale, lasciando un'impronta indelebile sul carattere di gran parte degli italiani. Lo scrittore napoletano, con questo coraggioso saggio, prova a fare i conti con alcuni dei nodi irrisolti della nostra storia. Il libro scaturisce dalla rielaborazione di due conferenze tenute recentemente in una Università americana. Alcuni titoli dei capitoli in cui si articola il saggio danno già una prima idea delle tesi sostenute con passione dall’autore:
Covi e altari: le alleanze clandestine di santa romana chiesa – Un paradigma di nome Giordano Bruno – La lettera di Leopardi al cardinale Consalvi – Tutta colpa del clima? – Vietato ridere; vietato burlarsi di se stessi – Il Settecento e la censura – La religione barocca del Sud – La “questione protestante” in Italia: Piero Gobetti – Il fascismo coda della Controriforma – L’arte di dire no – Mussolini e l’educazione dei giovani – Il Risorgimento, frutto di un moderatismo senza idee – Gramsci liberista? – La Cassa per il Mezzogiorno secondo Amendola – I guasti del regionalismo.
Naturalmente non c’è lo spazio qui per illustrare adeguatamente il modo in cui l’autore tratta i temi sopra indicati. Mi soffermerò soltanto su alcuni di essi per mostrare come l’autore espone le sue ragioni, senza paura di affrontare santuari intoccabili.
Il leit motiv del saggio è la denuncia della viltà mostrata da chi antepone il quieto vivere alla ricerca disinteressata della verità e della libertà, accodandosi plaudente al despota di turno.
L’autore nella Prefazione dichiara apertamente di avere tratto ispirazione da un vecchio libro: Rinascimento Riforma Controriforma di Bertrando Spaventa. Secondo Rea è stato proprio questo filosofo hegeliano dell’Ottocento, ingiustamente dimenticato, ad evidenziare, tra i primi, i danni enormi prodotti dalla Controriforma nella storia d’Italia. E’ stata, infatti, la santa romana Chiesa, soprattutto tramite i Tribunali dell’ Inquisizione dei XVI e XVII secoli, a rendere gli italiani servili, bugiardi, fragili, opportunisti.
Ermanno Rea, sulla scia di Spaventa, considera la Controriforma il “motore di una sorta di vera e propria mutazione antropologica”(pag.57) degli italiani. La Controriforma , infatti, ha tarpato le ali al libero pensiero che aveva trovato grandi espressioni nell’Umanesimo e nel Rinascimento. Rea ricorda, tra le altre, le figure di Pico della Mirandola e di Giordano Bruno. Su quest’ultimo torna più volte nel saggio, citando gli studi più recenti di Eugenio Garin e di Enzo Mazzi. La vicenda di Giordano Bruno, arso vivo per non aver voluto rinunciare al diritto di pensare liberamente, è emblematica. Non per nulla il monumento in sua memoria, eretto in Campo dei Fiori a Roma nel 1889, venne osteggiato, fino all’ultimo, dalla Chiesa Cattolica.
Insomma, secondo Rea, il processo che il Tribunale dell’Inquisizione celebrò a Roma nel febbraio del 1600 contro Giordano Bruno, oltre a segnare un’epoca, continua a condizionare il comportamento degli italiani d’oggi. Non a caso la mafia avrebbe mutuato il suo sistema penale dalle procedure del Santo Uffizio:
“E’ sorprendente ritrovare tutta la ferocia dell’Inquisizione , con le sue punizioni spettacolari (…) sono ancora oggi quelle decretate dagli eredi di Riina e Provenzano. La faccia tagliata, per esempio, era la tortura che la Chiesa infliggeva all’eretico. E il sasso in bocca è la variante mafiosa della mordacchia inquisitoriale, pena comminata al bestemmiatore.” (pag.44)
Così, dopo oltre quattro secoli, la "fabbrica dell'obbedienza" continua a produrre la sua merce: consenso illimitato verso ogni forma di potere (tanto meglio se dal cuore marcio, dal momento che la Controriforma – ci spiega l'autore – sa essere sempre molto indulgente con se stessa e con i propri alleati e sostenitori). Da allora nulla è cambiato: l'italiano si confessa per poter continuare a peccare; si fa complice anche quando finge di non esserlo; coltiva catastrofismo e smemorante cinismo con eguale determinazione. Dall'Ottocento unitario al fascismo, dal dopoguerra democristiano fino alla festa mediatica del berlusconismo, la maggior parte degli italiani si è accodata a sostenere i detentori del potere di turno.
Per concludere voglio soffermarmi sul capitolo XII che affronta un tema particolarmente spinoso: i guasti del regionalismo. L’autore prende le mosse da quella rivoluzione mancata che è stato il Risorgimento, facendo proprio il giudizio espresso a suo tempo da Gramsci, ripreso recentemente da Francesco Barbagallo: la scarsa partecipazione popolare al Risorgimento ha contribuito ad accentuare il divario tra Nord e Sud, così che lo sviluppo industriale del Nord è stato, in gran parte, determinato dal sottosviluppo economico e sociale del Sud. Divario che si è affermato non soltanto nei fatti, ma anche nelle coscienze, nelle opinioni, nei sentimenti. L’autore cita, al riguardo, una bella pagina dei Quaderni del carcere del sardo che ripropongo per la sua straordinaria attualità:
“La miseria del Mezzogiorno era inspiegabile storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di città-campagna, cioè che il Nord concretamente era una piovra che si arricchiva alle spese del Sud e che il suo incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale. Il popolano dell’Alta Italia pensava invece che se il Mezzogiorno non progrediva dopo essere stato liberato dalle pastoie che allo sviluppo moderno opponeva il regime borbonico, ciò significava che le cause della miseria non erano esterne, da ricercarsi nelle condizioni economico-politiche obiettive, ma interne, innate nella popolazione meridionale, tanto più che era radicata la persuasione della grande ricchezza naturale del terreno: non rimaneva che una spiegazione, l’incapacità organica degli uomini, la loro barbarie, la loro inferiorità biologica. Queste opinioni già diffuse (il lazzaronismo napoletano era una leggenda di vecchia data) furono consolidate e addirittura teorizzate dai sociologhi del positivismo (Niceforo, Sergi, Ferri, Orano, ecc.) assumendo la forza di verità scientifica in un tempo di superstizione della scienza.(…). Intanto rimase nel Nord la credenza che il Mezzogiorno fosse una palla di piombo per l’Italia, la persuasione che più grandi progressi la civiltà industriale moderna dell’Alta Italia avrebbe fatto senza questa palla di piombo.” (pag.158)
Certamente Rea sbaglia a considerare “liberista” il punto di vista gramsciano. Ma l’abbaglio non gli impedisce di fare suo, qualche riga più avanti, il secco giudizio negativo espresso dal comunista Giorgio Amendola sulla Cassa per il Mezzogiorno istituita nel 1950:
“Con il pretesto di dare mille miliardi (…) voi cercate di creare un organismo che sarà un pericoloso strumento di corruzione e di asservimento delle popolazioni meridionali…”. (pag. 159)
Più profeta di così Amendola non avrebbe potuto essere. La semina di denaro a cascata, nei decenni successivi, ha prodotto soprattutto ruberie, sprechi, opere pubbliche inutili, collusioni politico-mafiose. Fino al degrado dei nostri giorni a base di fabbriche dismesse, disoccupazione dilagante, corruzione alle stelle.
Da questo disastro si può uscire soltanto se si riesce a mettere in pratica il progetto esposto recentemente da Giorgio Ruffolo - nel libro Un paese troppo lungo, Einaudi 2009- che Rea sembra far suo ( Vedi pp.161-162).

Francesco Virga,  settembre 2011


Recensione del libro :
ERMANNO REA, LA FABBRICA DELL’OBBEDIENZA. Il lato oscuro e complice degli italiani, Feltrinelli, Milano 2011, pagg.223, £ 16,00
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2 commenti:

  1. Mi aspettavo un blog del tipo la "cultura" è ecc.ecc.
    Invece , grazie a Dio, non è cosi.
    Mi piace la grafica.
    Ti assicuro che i coglioni non ti leggeranno mai, per fortuna.
    Una società senza i Franco Virga è una società di bigotti culturali, ipocriti senza futuro.
    E' meravigliso avere un nemico come te !
    E per questo che noi non siamo amici !
    Noi siamo egoisticamente nel futuro , in quel futuro che altri immaginano e che noi viviamo.
    In bocca al lupo Franco Virga !
    Onofrio Sanicola

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  2. forza franco... mi sei piaciuto.
    barbara

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