“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
03 gennaio 2025
MARINEO 1893-1894
L' INDIMENTICABILE CARLO LEVI
02 gennaio 2025
SUL MITO DI RE ARTU'
Cristophe Averty, Come il mito di Re Artù sfida i secoli, Le
Monde, 30 dicembre 2024
Un mito non avanza mai da solo. Ci accompagna. Una leggenda
non muore mai. Scompare e poi riappare. Nei lunghi e silenziosi movimenti della
storia umana, Artù, la sua corte e i suoi cavalieri appartengono a una coorte
di storie potenti che attraversano i secoli, si reinventano con forza e ci
parlano non di se stessi ma di noi.
Può sembrare inquietante che all'improvviso un eroe,
un'epoca, un'epopea accendano ancora una volta l'entusiasmo del pubblico.
Questo perché ogni ciclo di rinascita è parte del tumulto dei cambiamenti
sociali. Ciò che riportò in vigore i Cavalieri della Tavola Rotonda nel XIX
secolo – dopo oltre due secoli di oblio – fu dovuto al desiderio
condiviso di forgiare un passato. Dalle famiglie regnanti all’affermazione
degli Stati nazionali, l’Occidente stava ripensando le proprie radici, facendo
appello alla leggenda per giustificare lignaggi, posizioni e poteri.
Così, a partire da questo Ottocento storicista, non
abbiamo mai smesso di tuffarci nel mito, nel racconto della
leggenda, come per prendere le distanze dall'epoca in cui viviamo per
comprenderla meglio, addirittura migliorarla, per cercare di rivedere il
presente alla luce della storia, anche se quest'ultima rimane fittizia. Perché
la profusione di temi e valori uniti nella leggenda sembra costituire il
fondamento di tutti i lasciti. Sarà così nel secondo dopoguerra,
nell'ultramodernità delle città, facendo rivivere vecchi eroi attualizzati. Se
nel Medioevo si chiamavano Artù, Perceval, Tristano, Lancillotto o Ségurant,
nel XX secolo si chiameranno Batman, Capitan America, cavaliere Jedi... E, se
si ritrovano dotati di superpoteri, mantengono la loro ancestrale uno, e forse
eterno, per affascinare il loro spettatore, il loro lettore o il loro giocatore
ad attraversare i tempi, trasmettendo gli stessi valori.
Vitalità inalterabile
Per sua stessa natura, la leggenda coltiva la propria
capacità di rinascere, di sopravvivere senza mai perdere la forza delle sue
parole, delle sue immagini, dei suoi simboli profondi e ancorati come una
credenza. Malleabile, di plasticità senza limiti, come l'argilla modellabile a
piacimento, il mito si adatta al presente e al futuro, addirittura lo raggiunge
e spesso lo anticipa. Il potere plurimillenario della sua storia è senza tempo,
garantendo che in qualsiasi momento della storia umana la pozione d'amore di
Tristano e Isotta rimanga per noi familiare e comprensibile, nonostante i
progressi della scienza.
Inoltre, nel corso dei secoli, la famosa Excalibur obbedirà
sempre e solo al suo padrone: il cuore puro di un re. E Merlino rimarrà questo
mago figlio del diavolo che scelse di servire il bene. Maneggiando così
archetipi e valori che non sono in alcun modo invecchiati, il mito arturiano
prosegue il suo lungo percorso di riscritture digressive, alimentando il grande
calderone della leggenda universale.
Oggi Le Monde aggiunge il suo tocco
all'inafferrabile edificio di una memoria condivisa e di un immaginario comune.
La collezione “Miti e leggende di Re Artù” incarna questa inalterabile vitalità
del mito costantemente inseguita, riscritta, portata allo sguardo e
all'immaginazione, di generazione in generazione. Comprenderne le molle e le
dinamiche permette di cogliere la permanenza secolare dei grandi miti
universali, ma anche questa parte di magia sempre essenziale alla realtà dove
la complementarità tra storia e romanzo, tra finzione e conoscenza, tra
immaginazione e scienza costituisce l'essenza stessa della curiosità umana.
Perché senza sogni non esiste realtà. E viceversa. Senza
offesa per i pragmatici – che non sono mai liberi dagli ideali – ma l’uomo ha
sempre bisogno di esplorare. Per riuscirci ha bisogno di una terra
incognita , di quell'incognita che tra i matematici sconvolge le
certezze. Inoltre, come ci ricorda lo storico medievista Emanuele Arioli, il
mondo ha bisogno di reincantarsi. Tale è il potere della scrittura, del mito e
di ogni lettore desideroso di leggenda. L'entusiasmo popolare per il Medioevo
ritorna poi ciclicamente.
Una seconda età romantica
Da circa quarant'anni viviamo, nella cultura popolare, una
seconda epoca romantica in cui abbonda il medievalismo, dove il passato
medievale viene reinventato in tutti gli ambiti della creazione. La mania, che
nel Medioevo favorì la diffusione della leggenda arturiana in tutta Europa,
sembra paragonabile a quella che prosegue a partire dagli anni '80 e si
inserisce più che mai in un mondo globale e mondializzato.
Dovremmo vedere, in questo fervore “romantico”, un
parallelismo con il XIX secolo di rivoluzioni e di
progresso senza limiti, che riunisce difensori e detrattori con la stessa
veemenza? Nei tempi incerti della fine del secolo, le paure del prossimo si
esprimono in una visione idealizzata del passato come rifugio per il presente?
Questo è probabilmente il ruolo fondamentale e permanente del mito: fornire un
altrove e una via d'uscita dove tutto sembra congelato, bloccato, chiuso.
Uno dei grandi specialisti del Medioevo e della leggenda
arturiana, Martin Aurell, riassume tutto nella definizione che dà di mito, che
abbraccia anche il tempo lungo e ucronico della storia umana: “Un mito?
È una storia offerta agli dei per attirare il loro favore”.
01 gennaio 2025
RITRATTO DI BEATRICE
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: «Babbo
– mi disse – voglio uscire oggi con te».
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
come alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.
PASOLINI INCOMPRESO
CANETTI CONTRO GLI STORICI CORTIGIANI
«Odio il rispetto degli storici per qualsiasi cosa, per il solo fatto che è accaduta, i loro metri falsati, postumi, la loro impotenza che striscia dinanzi a ogni forma di potere. Questi cortigiani, questi adulatori, questi giuristi sempre interessati. […]. La storia scritta, che con i suoi modi impertinenti assume le difese di tutto, rende ancora più disperata la situazione comunque disperata dell’umanità dinnanzi a tutte le tradizioni menzognere. […]. Non c’è passato, per ripugnante e odioso che sia, dal quale un qualsiasi storico non ricavi l’immagine di un qualsiasi futuro. Le loro prediche, a quanto essi credono, consistono di antichi fatti, le loro profezie sono già confermate prima di potersi avverare».
(E. CANETTI, Massa e potere, Adelphi)