03 gennaio 2025

MARINEO 1893-1894

 



IL 3 GENNAIO DEL 1894 IL CRIMINALE FRANCESCO CRISPI DECRETA LO STATO D'ASSEDIO DI PALERMO E DELLE PROVINCIE SICILIANE

Il 3 gennaio 1894 esattamente 130 anni fa il "siciliano" Francesco Crispi ex garibaldino ed ex repubblicano e poi monarchico capo del governo savoiardo a servizio del re Umberto I decreta lo stato d'assedio di Palermo e di tutte le provincie siciliane.
In breve tempo il rinnegato, voltagabbana e criminale sciolse e mise fuori legge i Fasci dei lavoratori ed ordinò una durissima repressione ordinando di sparare sulla folla dei contadini radunatasi per protesta nelle piazze dei paesi.
Gli eccidi e le stragi non si contarono, Monreale, Giardinello, Partinico, Marineo, Lercara e tanti altri paesi furono i principali luoghi del massacro. Contro i lavoratori della terra che protestavano venne mobilitato agli ordini del Generale Morra di Lavriano un esercito di centinaia di migliaia di uomini che repressero su ordine del capo del governo nel sangue la rivolta dei Fasci.
E dire che di questo criminale Francesco Crispi sono piene le vie e le piazze della Sicilia. Sarebbe ora che rendendo giustizia alle vittime di quegli eccidi la toponomastica facesse opera riparatoria cancellandone le intestazioni dedicate a questo criminale dedicando il ricordo alle lotte contadine e alle epiche giornate dei fasci siciliani.
IGNAZIO COPPOLA

L' INDIMENTICABILE CARLO LEVI

 




CARLO LEVI. UN TORINESE DEL SUD
Oggi ricorre l'anniversario dei 50 anni della scomparsa di un importante intellettuale, politico antifascista e pittore italiano. Durante il fascismo fu condannato al confino in Basilicata. Nel 1961 in occasione delle celebrazioni del centenario dell'Unità d'Italia a Torino per la Mostra delle Regioni, fu esposta un opera pittorica, il Telero, denominata "Lucania 61". L'opera era dedicata a Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e sindaco contadino di Tricarico.
Carlo Levi "il torinese del sud" amava il Meridione d'Italia con le parole e le immagini. Nei suoi viaggi in Sicilia scrisse "Le parole sono pietre".
Nel maggio del 1972 fu candidato alle elezioni politiche nel collegio di Caltagirone, dove non venne eletto Senatore, ma Levi rimase in contatto con alcuni calatini, una tra queste la giovane poetessa e scrittrice Maria Attanasio che lo descrive così:
"Lo vidi la prima volta: gilè, aria un po’ trasognata e l’aspetto di un celebrante,
tra le spirali di fumo del suo sigaro e un parlare lento, quasi solenne, che un
gruppo di giovani in vibrante attesa ascoltava. […] Non ci fu quartiere, strada,
carruggio, che Carlo Levi non abbia attraversato circondato da folti gruppi di
giovani, e scortato da devotissimi braccianti, molti dei quali, ormai ricredutisi,
lo ascoltavano rapiti, chiamandolo compagno Maestro; non si tirava mai indie-
tro, salendo e scendendo scale della verticale Caltagirone, parlando, pacato e
rassicurante, con uomini e donne di quei quartieri, ma soprattutto ascoltando
con attenzione e curiosità le loro storie. Ad animare passo e parola di Carlo,
una profonda tensione conoscitiva verso uomini, luoghi, cose: verso la città
tutta, con le sue nebbie, il suo presente e il suo millenario vissuto. [...]. Alcuni
mesi dopo, alla vigila delle elezioni, mi consegnò un foglietto con una dedica
e un suo pensiero su Pavese, chiedendomi Perché voi giovani amate Pavese? "
Fonte : Aldo Gerbino, "Il fuoco sul volto. I giorni siciliani di Carlo Levi", Quaderns d'Italia 24, 2019.

02 gennaio 2025

SUL MITO DI RE ARTU'

 



Cristophe AvertyCome il mito di Re Artù sfida i secoli, Le Monde, 30 dicembre 2024

Un mito non avanza mai da solo. Ci accompagna. Una leggenda non muore mai. Scompare e poi riappare. Nei lunghi e silenziosi movimenti della storia umana, Artù, la sua corte e i suoi cavalieri appartengono a una coorte di storie potenti che attraversano i secoli, si reinventano con forza e ci parlano non di se stessi ma di noi.

Può sembrare inquietante che all'improvviso un eroe, un'epoca, un'epopea accendano ancora una volta l'entusiasmo del pubblico. Questo perché ogni ciclo di rinascita è parte del tumulto dei cambiamenti sociali. Ciò che riportò in vigore i Cavalieri della Tavola Rotonda nel XIX secolo  – dopo oltre due secoli di oblio – fu dovuto al desiderio condiviso di forgiare un passato. Dalle famiglie regnanti all’affermazione degli Stati nazionali, l’Occidente stava ripensando le proprie radici, facendo appello alla leggenda per giustificare lignaggi, posizioni e poteri. 

Così, a partire da questo Ottocento storicista, non abbiamo mai smesso di  tuffarci nel mito, nel racconto della leggenda, come per prendere le distanze dall'epoca in cui viviamo per comprenderla meglio, addirittura migliorarla, per cercare di rivedere il presente alla luce della storia, anche se quest'ultima rimane fittizia. Perché la profusione di temi e valori uniti nella leggenda sembra costituire il fondamento di tutti i lasciti. Sarà così nel secondo dopoguerra, nell'ultramodernità delle città, facendo rivivere vecchi eroi attualizzati. Se nel Medioevo si chiamavano Artù, Perceval, Tristano, Lancillotto o Ségurant, nel XX secolo si chiameranno Batman, Capitan America, cavaliere Jedi... E, se si ritrovano dotati di superpoteri, mantengono la loro ancestrale uno, e forse eterno, per affascinare il loro spettatore, il loro lettore o il loro giocatore ad attraversare i tempi, trasmettendo gli stessi valori.

Vitalità inalterabile

Per sua stessa natura, la leggenda coltiva la propria capacità di rinascere, di sopravvivere senza mai perdere la forza delle sue parole, delle sue immagini, dei suoi simboli profondi e ancorati come una credenza. Malleabile, di plasticità senza limiti, come l'argilla modellabile a piacimento, il mito si adatta al presente e al futuro, addirittura lo raggiunge e spesso lo anticipa. Il potere plurimillenario della sua storia è senza tempo, garantendo che in qualsiasi momento della storia umana la pozione d'amore di Tristano e Isotta rimanga per noi familiare e comprensibile, nonostante i progressi della scienza.

Inoltre, nel corso dei secoli, la famosa Excalibur obbedirà sempre e solo al suo padrone: il cuore puro di un re. E Merlino rimarrà questo mago figlio del diavolo che scelse di servire il bene. Maneggiando così archetipi e valori che non sono in alcun modo invecchiati, il mito arturiano prosegue il suo lungo percorso di riscritture digressive, alimentando il grande calderone della leggenda universale.

Oggi Le Monde aggiunge il suo tocco all'inafferrabile edificio di una memoria condivisa e di un immaginario comune. La collezione “Miti e leggende di Re Artù” incarna questa inalterabile vitalità del mito costantemente inseguita, riscritta, portata allo sguardo e all'immaginazione, di generazione in generazione. Comprenderne le molle e le dinamiche permette di cogliere la permanenza secolare dei grandi miti universali, ma anche questa parte di magia sempre essenziale alla realtà dove la complementarità tra storia e romanzo, tra finzione e conoscenza, tra immaginazione e scienza costituisce l'essenza stessa della curiosità umana.

Perché senza sogni non esiste realtà. E viceversa. Senza offesa per i pragmatici – che non sono mai liberi dagli ideali – ma l’uomo ha sempre bisogno di esplorare. Per riuscirci ha bisogno di una terra incognita , di quell'incognita che tra i matematici sconvolge le certezze. Inoltre, come ci ricorda lo storico medievista Emanuele Arioli, il mondo ha bisogno di reincantarsi. Tale è il potere della scrittura, del mito e di ogni lettore desideroso di leggenda. L'entusiasmo popolare per il Medioevo ritorna poi ciclicamente.

Una seconda età romantica

Da circa quarant'anni viviamo, nella cultura popolare, una seconda epoca romantica in cui abbonda il medievalismo, dove il passato medievale viene reinventato in tutti gli ambiti della creazione. La mania, che nel Medioevo favorì la diffusione della leggenda arturiana in tutta Europa, sembra paragonabile a quella che prosegue a partire dagli anni '80 e si inserisce più che mai in un mondo globale e mondializzato.

Dovremmo vedere, in questo fervore “romantico”, un parallelismo con il XIX secolo  di rivoluzioni e di progresso senza limiti, che riunisce difensori e detrattori con la stessa veemenza? Nei tempi incerti della fine del secolo, le paure del prossimo si esprimono in una visione idealizzata del passato come rifugio per il presente? Questo è probabilmente il ruolo fondamentale e permanente del mito: fornire un altrove e una via d'uscita dove tutto sembra congelato, bloccato, chiuso.

Uno dei grandi specialisti del Medioevo e della leggenda arturiana, Martin Aurell, riassume tutto nella definizione che dà di mito, che abbraccia anche il tempo lungo e ucronico della storia umana: “Un mito? È una storia offerta agli dei per attirare il loro favore”.

 


01 gennaio 2025

RITRATTO DI BEATRICE

 



Umberto Saba, Ritratto della mia bambina

La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: «Babbo
– mi disse – voglio uscire oggi con te».

Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.

Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
come alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.
Da «Cose leggere e vaganti» (1920)
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e persona che studia
Tutte le reazioni:
Mariella Caruso, Daniela Ripetti Pacchini e altri 13

CAPODANNO A PALAZZO ABATELLIS: PICASSO E GUTTUSO DI FRONTE AL TRIONFO DELLA MORTE

 








PASOLINI INCOMPRESO

 


"Perchè se la civiltà dei consumi ha posto il problema della mancanza del verde o della solitudine della vecchiaia, un sindaco comunista si sente tenuto a risolverlo?. Di che si tratta? Della accettazione di una realtà fatale? E, visto che le cose stanno così, il dovere storico è quello di cercar di migliorarle attraverso l'entusiasmo comunista? Il “modello di sviluppo” è quello voluto dalla società capitalistica che sta per giungere alla massima maturità. Proporre altri modelli di sviluppo, significa accettare tale primo modello di sviluppo. Significa voler migliorarlo, modificarlo, correggerlo. No: non bisogna accettare tale "modello di sviluppo". E non basta neanche rifiutare tale “modello di sviluppo”. Bisogna rifiutare lo “sviluppo”. Questo ”sviluppo”: perché è uno sviluppo capitalista. Esso parte da principi non solo sbagliati ( anzi, essi non sono affatto sbagliati: in sé sono perfetti, sono i migliori dei principi possibili), bensì maledetti. Essi presuppongono trionfanti una società migliore e quindi tutta borghese. I comunisti che accettano questo “sviluppo”, considerando il fatto che l'industrializzazione totale e la forma di vita che ne consegue, è irreversibile, sarebbero indubbiamente realisti a collaborarvi, se la diagnosi fosse assolutamente giusta e sicura. E invece non è detto - e ci sono ormai le prove - che tale “sviluppo” debba continuare com'è cominciato. C'è anzi la possibilità di una “recessione”. Cinque anni di “sviluppo” hanno reso gli italiani un popolo di nevrotici idioti, cinque anni di miseria possono ricondurli alla loro sia pur misera umanità. E allora- almeno i comunisti- potranno far tesoro dell'esperienza vissuta: e, poichè si dovrà ricominciare daccapo con uno “sviluppo”, questo “sviluppo” dovrà essere totalmente diverso da quello che è stato. Altro che proporre nuovi “modelli” allo “sviluppo” quale esso è ora!
Pier Paolo #Pasolini
📚 Da "Appunto per una poesia in lappone" in "Tetro entusiasmo" in "La meglio gioventù" (1974)

CANETTI CONTRO GLI STORICI CORTIGIANI

 


«Odio il rispetto degli storici per qualsiasi cosa, per il solo fatto che è accaduta, i loro metri falsati, postumi, la loro impotenza che striscia dinanzi a ogni forma di potere. Questi cortigiani, questi adulatori, questi giuristi sempre interessati. […]. La storia scritta, che con i suoi modi impertinenti assume le difese di tutto, rende ancora più disperata la situazione comunque disperata dell’umanità dinnanzi a tutte le tradizioni menzognere. […]. Non c’è passato, per ripugnante e odioso che sia, dal quale un qualsiasi storico non ricavi l’immagine di un qualsiasi futuro. Le loro prediche, a quanto essi credono, consistono di antichi fatti, le loro profezie sono già confermate prima di potersi avverare».

(E. CANETTI, Massa e potere, Adelphi)