Scoperta una nuova
serie di inediti salgariani. Una storia romanzesca che sembra fatta
su misura per un personaggio come Emilio Salgari incapace di
distinguere tra realtà e finzione, tra narrazione e vita.
Èuna storia romanzesca e
avventurosa, una storia del tutto salgariana. Lo è a dispetto del
luogo in cui è cominciata: un edificio di Bologna che, nella
primavera inoltrata del 1994, stava ospitando un convegno bancario.
Durante una pausa della riunione uno dei partecipanti, Vittorio
Sarti, lombardo di Casalbuttano (Cremona), lettore accanito dei
romanzi di Emilio Salgari fino a diventarne un cultore appassionato,
fu avvicinato da un usciere. Gli spiegò che nell' atrio c' era una
persona che desiderava parlargli.
Racconta Sarti: «Vidi un
signore con una cartelletta tra le mani. Mi disse: "So che lei è
interessato alle cose di Salgari e che non ci specula sopra".
Aprì allora il contenitore, mostrandomi che cosa c' era dentro: si
trattava di manoscritti di appunti e di lettere. In uno appariva
anche la firma di Emilio Salgari. Mi sembrarono carte autografe
autentiche dello scrittore veronese. Il signore che avevo davanti a
me, forse un ex libraio, aggiunse: "Le prenda. Se le studi con
comodo. Poi mi farà sapere se le vuole". Un po' stupito della
fiducia che mi aveva dato, visto che non mi aveva mai incontrato
prima di quel giorno, ritornai a Milano, dove vivo tuttora, e avvisai
subito l' amico Vittoriano Bellati, che purtroppo nel frattempo è
morto. Era un valente studioso salgariano e ogni anno, all'
anniversario della morte del romanziere, portava un mazzo di fiori
sulla sua tomba al cimitero di Verona.
Fatto sta che io e
Vittoriano non ci pensammo troppo su. I manoscritti erano davvero di
Salgari. Decidemmo perciò di comprarli. Ricordo che io feci un
assegno di 700mila lire». Quasi "vent' anni dopo", per
restare nel segno del romanzesco e dell' avventura, le carte vergate
febbrilmente da Capitan Emilio d' ora in avanti arricchiranno la sala
salgariana del Museo della scuola e del libro per l' infanzia di
Torino. Fondato da Pompeo Vagliani, studioso della letteratura per
ragazzi, e ospitato grazie alla Fondazione Tancredi di Barolo nel
seicentesco Palazzo Barolo, conserva già 350 tavole originali e 450
volumi, prime edizioni e di interesse storico, di opere del creatore
del Corsaro Nero e di Sandokan.
Autore di una pregevole
bibliografia salgariana e di un imponente dizionario dei personaggi,
della flora e della fauna, dei luoghi geografici, che affollano i
romanzi dello scrittore che si uccise per disperazione e per mancanza
di denaro il 25 aprile del 1911, Vittorio Sarti ha voluto donare i
manoscritti all' ente museale anche per onorare la memoria di
Bellati. Conosciuti solo da qualche studioso, i documenti vengono
esposti adesso per la prima volta e oggi, alle 17, saranno presentati
a Palazzo Barolo.
Così, in virtù del nuovo fondo, il museo torinese, l' unico nel mondo dedicato a Salgari, si avvicina a quello che in Francia celebra Jules Verne. Che cosa contiene la donazione Sarti, rilevante in quanto gli autografi di Salgari sopravvissuti, o se non altro di cui è risaputa l' esistenza, sono pochi e rari? Intanto c' è una lettera di quattro pagine alla moglie Ida, che Emilio chiamava verdianamente Aida, risalente all' otto agosto del 1903. Ci sono degli appunti di una pagina e tre righe relativi alla trama di un romanzo, indicato con il titolo Sindhia il feroce; altri appunti dal titolo Piante americane delle praterie e Stati Uniti, di sei pagine, e ulteriori scritti, di due pagine, intitolati Malesia. Completano il prezioso fondo gli appunti sui Parsi, di una pagina e dieci righe; una lettera a Salgari dell' editore fiorentino Bemporad, del 28 marzo 1911, poco prima del suicidio del romanziere,e una ricevuta a firma Emilio Salgari, dell' 11 ottobre del 1906, allo stesso Bemporad. Altri tre manoscritti, frammenti del romanzo sulle avventure di Testa di Pietra, sono stati regalati alla Biblioteca Civica di Verona.
Le carte, secondo
Vittorio Sarti, sarebbero state in possesso del musicista genovese
Emilio Firpo, amico di Salgari all' epoca del suo soggiorno nella
città ligure. In seguito, per vie misteriose o quantomeno ignote,
sarebbero finite nelle mani del fantomatico libraio di Bologna. Il
nome di quest' ultimo, però, resta sconosciuto, dato che nemmeno
Sarti lo rammenta: «È possibile che l' abbia segnato da qualche
parte, ma sono molto disordinato e non saprei dove cercarlo».
È dunque una «vicenda
molto salgariana, molto sua, questa dei manoscritti che riemergono
fortunosamente dai gorghi della storia», come nota lo scrittore
Ernesto Ferrero. Oltre ad avere scritto un bel romanzo su Capitan
Emilio, il direttore del Salone del libro, d' altronde, è stato
destinato da una trama del fato o da un caso realmente singolare ad
abitare nello stesso caseggiato di Torino, in corso Casale, che fu l'
ultimo domicilio terreno di Salgari. Lo straordinario creatore di
avventure mirabolanti, conclude Ferrero, «vive sempre la sua
maledizione: la sua scrittura non vuole fermarsi mai, eppure nello
stesso tempo sembra che non voglia lasciare traccia di stessa». Fino
a quando un personaggio salgariano di nome Vittorio Sarti, bancario
in pensione, che non appare nei romanzi ma è come se fosse presente,
fa riapparire dai fondali del tempo la penna che non si spezza di
Emilio.
(Da: La Repubblica del 28
novembre 2013)
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