Ballarò, Palermo
Vivere di crack nei vicoli di Ballarò
Federico Annibale
«No, no, non buttare la
cenere, mettila lì, sul collo della bottiglia, sopra la stagnola»,
mi dice frettolosamente Gaspare mentre prepara il crack. La cenere
gli serve per evitare che i cristalli, una volta messi sopra la
stagnola, prendano fuoco e diventino inutilizzabili.
Giovani palermitani
fumano eroina e crack seduti sulle scale di una delle biblioteche
comunali di Ballarò, storico quartiere nel centro di Palermo.
Antonio, ventidue anni, è un altro di loro. Si trascina tutto il
giorno senza meta per le stradine del quartiere in preda a tic
nervosi: l’astinenza da eroina gli fa immaginare polveri bianche
sul pavimento. «Quelli che si fanno come me non sono di Ballarò,
vengono da fuori; quelli di qui non prendono ‘sta roba, anzi molti
sono anche infastiditi, e spesso bande di picciotti – ragazzini di
massimo 16 anni – vanno in giro a dar fastidio ai drogati e a volte
a picchiarli: qui farsi le pere non è visto bene, c’è un codice,
un’etica da rispettare», mi dice con foga da astinenza mentre
camminiamo veloci verso un locale nigeriano: ha bisogno della sua
fumata d’eroina. «Adesso ti faccio vedere quanto è facile
comprarla». Chiede alla ragazza al bancone se ha una dose, lei
annuisce, lui gli dà quindici euro ed esce con la roba. «Vedi, è
semplice, e costa anche poco».
Il cuore nero di
Palermo
Geograficamente Ballarò
è il centro perfetto, culturalmente rappresenta l’anima e il cuore
delle tradizioni cittadine. Il nome deriva dallo storico mercato che
da secoli arricchisce e vizia gli occhi dei palermitani, e
recentemente di turisti e varie comunità di migranti. È un
quartiere multiforme e variegato per via di questa miscellanea
multiculturale composta di diverse etnie e nazionalità che lo
animano. Non mancano esempi d’interazione tra comunità di migranti
e italiani; ma allo stesso tempo è un territorio difficile, dove la
presenza della mafia di quartiere è palpabile, la dispersione
scolastica forte, lo spaccio diffuso, la disoccupazione elevata, il
pizzo una pratica comune. In questo contesto, una nuova
organizzazione criminale nigeriana si sta facendo largo nelle
cronache. Da qualche anno il quartiere è stato invaso da crack ed
eroina: palazzi abbandonati sono diventati luogo di ritrovo dei
drogati, casi di giovani tossici trovati morti per overdose si
susseguono, e non c’è nessuna associazione che lavori al problema.
«Negli ultimi anni crack
ed eroina stanno andando forte in città», conferma Giampaolo
Spinnato, responsabile del Sert2 di Palermo, «e noi abbiamo
sicuramente riscontrato un aumento. Soprattutto è cresciuto l’uso
dell’eroina fumata, specialmente da parte di ragazzi giovani e ciò
è dovuto al fatto che i prezzi sono più bassi. Queste due sostanze
sono ora l’emergenza qui a Palermo».
Esiste un trend globale
che permette di comprendere l’aumento della diffusione di queste
sostanze in città. Eroina e cocaina sono scese notevolmente di
prezzo; oggi, “farsi”, costa assai meno di dieci anni fa. E, come
evidenzia il World Drug Report 2016 dell’Onu, negli ultimi dieci
anni i consumatori di crack ed eroina sono aumentati ovunque nel
mondo.
L’Italia non fa
eccezione, spiega il medico tossicologo Salvatore Giancane,
professore all’università di Bologna, responsabile di uno dei Sert
(Centro Servizi per le tossicodipendenze) del capoluogo emiliano e
autore del libro Eroina. La malattia da oppioidi nell’era
digitale (edizioni Gruppo Abele, 2014). «Se 25 anni fa un grammo
di eroina costava 150 mila lire a fronte di uno stipendio medio di un
operaio di 1 milione e 200 mila, oggi con trenta euro a Bologna
compri un grammo di eroina pura a fronte però di 1.200 euro di
stipendio: il rapporto è passato da 1 a 8, a 1 a 40: farsi è
diventato notevolmente meno caro.
Dal 2011 in poi, l’annata
record del raccolto di oppio in Afghanistan, i prezzi sono scesi e in
Italia la diffusione dell’eroina è aumentata». Ma questo non è
sufficiente, da solo, a spiegare l’aumento vertiginoso di queste
sostanze a Palermo. La storia è più complicata.
«Cinque anni fa non era
così», mi dice S. un ragazzo africano che vive a Palermo da tempo.
«Mi ricordo che non era facile trovare il crack, adesso è
facilissimo, troppo».
Lo seguo mentre andiamo
in un palazzo di Ballarò a prendere la roba. «Tu però aspettami
fuori, non salire con me».
Attendo nel cortile, lui
sale, e dopo cinque minuti è giù con la sua cocaina pura. Finiamo
in un posto appartato dove S. può tranquillamente cucinare il suo
crack e farsi una fumata (in gergo cucinare significa rendere
fumabile la cocaina in polvere, tramite un procedimento detto “di
basatura”). Iniziamo a parlare, e mi conferma quanto avevo già
dedotto parlando con altre persone del quartiere.
L’eroina non viene
venduta dagli italiani, e il crack viene in maggioranza cucinato
dagli africani dentro alcune case di Ballarò. Uno degli attori
principali dietro tutto questo è la mafia nigeriana, la Black
Axe, scesa a patti con Cosa Nostra. Una delle spiegazioni
dell’aumento della diffusione di crack ed eroina è la presenza
oramai stabile a Palermo di questa organizzazione criminale.
Il patto con Cosa
Nostra
L. un ragazzo italiano di
Palermo, con molta schiettezza mi spiega come funziona questo
mercato. «Prima di tutto, se gli africani vendono questa roba è
perché la mafia glielo permette. A Ballarò non puoi fare affari
loschi se non hai il permesso di Cosa nostra, o se non conti
abbastanza da avere la forza di poter scendere a patti con loro, come
ha fatto la Black Axe. Per capire la diffusione di crack ed eroina,
devi entrare nella logica del codice mafioso locale. L’eroina non
la vendono gli italiani, perché la considerano una merda. Qui la
chiamano: consumare figli di madre -, dice L. divertito. - Dunque nel
codice mafioso locale è condannata. Ma non la ostacolano. Non
vogliono essere l’ultima mano che passa quella roba. Queste cose le
fanno fare ai turchi, come chiamano gli stranieri qui a Palermo».
Arrivati gli africani, la
mafia ha constatato che quello del crack e dell’eroina era un
business remunerativo, e ha dunque tollerato la presenza della Black
Axe perché portava profitti e pagava il pizzo. Una ricostruzione
confermata, in una recente intervista a Sky, anche dal procuratore
nazionale antimafia, Franco Roberti. La Black Axe, ha spiegato,
«convive in una sorta di equilibrio precario, ma comunque un
equilibrio con le organizzazioni mafiose italiane, che tollerano la
presenza dei nigeriani e in qualche modo li sfruttano pure perché
prendono spesso delle percentuali sui loro traffici illeciti e quindi
ne ammettono la presenza».
La Black Axe ha
un’organizzazione criminale complessa e gerarchizzata, con ruoli
ben definiti al suo interno: riti voodoo, atroci punizioni corporali
per chi non segue le regole interne e le indicazioni dei capi,
affiliazioni in cui i neofiti sono costretti a bere sangue umano.
La Black Axe è
un’organizzazione originale e spietata. In Italia è prima arrivata
al Nord – Torino, Brescia, Padova – poi è scesa al Sud, dove ha
creato la sua roccaforte a Castel Volturno. Solo intorno al 2014,
sempre secondo la procura di Palermo, è riuscita a trovare terreno
fertile a Ballarò, dove ha iniziato prima a gestire la prostituzione
per poi accaparrarsi il monopolio dello spaccio di eroina e una buona
fetta dello spaccio di crack.
Le rotte adriatiche
Partita su iniziativa dei
magistrati palermitani, l’operazione “Black Axe” del novembre
2016 ha portato all’arresto di 17 persone su tutto il territorio
nazionale. I magistrati sono riusciti a ricostruire la cupola mafiosa
e i ruoli a livello italiano. La polizia ha potuto così mettere
sotto custodia i vari boss sparsi in Italia, arrecando un duro colpo
alla mafia nigeriana, che mostra di essere sempre meglio organizzata
e radicata sul territorio.
Gli arresti però non
hanno fermato il flusso di stupefacenti verso Palermo. «I sequestri
di cocaina sono aumentati notevolmente negli ultimi anni, e quindi
indirettamente il crack, mentre per l’eroina la situazione è
sostanzialmente stabile», dice a pagina99 Agatino Emanuele,
responsabile della sezione antidroga della squadra mobile di Palermo.
Esiste una spiegazione alla stagnazione dei sequestri di eroina.
«L’eroina non viene fornita da Cosa Nostra, che non ha il
monopolio del business», afferma il professor Giancane. «Certamente
i boss mafiosi autorizzano i nigeriani a spacciarla nel loro
territorio. Tuttavia, i grossi carichi di eroina arrivano
nell’Adriatico, tramite gli albanesi, e poi si espandono a macchia
di leopardo nel resto d’Italia».
Per incidere sul flusso,
i grandi sequestri di eroina da parte delle autorità non dovrebbero
avvenire in Sicilia, quanto piuttosto nelle regioni adriatiche. «In
effetti questa potrebbe essere una chiave di lettura plausibile», si
limita dire al riguardo Emanuele.
Esiste un mix letale tra
nuove mafie provenienti dall’estero, che travalicano tabù
nostrani, e l’aumento della produzione di cocaina e oppio
globalmente. «In mezzo ci siamo noi, che viviamo come cani nei
palazzi abbandonati per farci in libertà; e i ragazzini di 16 anni
che fumano eroina», dice S. il ragazzo africano. «I nigeriani sono
furbi e forti, ma è ancora la mafia quella che controlla tutto. Non
ci sono italiani che lavorano per gli africani, solo il contrario».
Se un giorno si arriverà a questo sovvertimento gerarchico, alla
rottura di quel “precario equilibrio” fra mafie di cui parlava il
procuratore nazionale, Franco Roberti, sarà difficile prevedere cosa
potrebbe accadere.
da Pagina 99, 1 aprile 2017
Nessun commento:
Posta un commento