20 luglio 2022

SUL DISPERATO LAVORO CULTURALE DI LUCIANO BIANCIARDI

 


Si terrà ad Andria, dal 20 al 27 luglio, il Festival della Disperazione (sic!): l’appuntamento dedicato al sentimento più letterario per eccellenza. Con il tema “Che fatica sopravvivere”, insieme agli ospiti, si scenderà oltre ogni sconforto in un’esplorazione culturale e antropologica della disperazione alla ricerca dei risvolti seri e ironici della stessa.

DISPERATO LAVORO CULTURALE. UN VIAGGIO NEGLI SCRITTI DI LUCIANO BIANCIARDI

Sette giorni di appuntamenti in compagnia di tantissimi protagonisti: da Luca Barbarossa a Ilaria Gaspari, da Beatrice Schiros alla coppia di filosofi Maura Gancitano e Andrea Colamedici. E poi Stefania Maurizi, Enrica Tesio, Andrea Mirò, Guido Catalano, Roberto Mercadini, Luca De Gennaro, Antonio Losito e molti altri che dibatteranno sulla complessità del nostro quotidiano. Tra gli ospiti sarà presente anche l’attore Vittorio Continelli: venerdì 22 luglio alle ore 21:15 terrà infatti l’incontro “Non mi pagano abbastanza per leggere Pasolini, accontentatevi di Bianciardi” dove, attraverso la lettura di alcuni brani dello scrittore grossetano, affronterà l’annosa questione del lavoro in ambito culturale.

di Vittorio Continelli

Quando si pensa a Bianciardi, quelle volte in cui capita di leggere di lui o di sentirne parlare, lo si associa spesso a Pasolini. Il caso vuole che i due condividano anno di nascita – relative celebrazioni – e morti premature, morti maturate in ambiti e contesti assai diversi ma segnate dalla ferocia del destino. 

Si dice e si legge spesso di un Bianciardi anticipatore di alcuni dei temi pasoliniani, primo fra tutti quello della critica alla società dei consumi. 

Credo si tratti di una semplificazione, giustificata da alcuni punti di contatto tra i due, che non tiene però conto dell’aspetto che li distingue maggiormente: il loro atteggiamento rispetto alla sconfitta.

Se il poeta, regista, saggista, polemista, romanziere di Casarsa la sconfitta l’ha cantata, estetizzata, esaltata, Bianciardi l’ha fatta sua, l’ha vissuta fino in fondo, l’ha trasformata suo malgrado in vita vissuta. Soprattutto l’ha odiata con tutte le forze. Ha odiato la sconfitta così come ha detestato il successo, non credo si possa dire altrettanto per Pasolini.

Bianciardi è l’alfiere della sconfitta, sconfitta rovinosa e dimenticata. Tra le peggiori che possano investire la vita di chiunque. Una sconfitta che nel suo caso nasce e matura nella società italiana post bellica per poi esplodere nel suo rapporto di provinciale con la metropoli, con la famiglia abbandonata e con ciò che egli stesso definì nel titolo di un suo romanzo lavoro culturale.

Riscopriamo Bianciardi con La vita agra, il suo romanzo manifesto, e Non leggete i libri, fateveli raccontare. Quest’ultimo volume è una raccolta di scritti apparsi nel 1967 sulla rivista Abc, una guida in sei puntate per diventare intellettuali di primo piano nell’Italia degli anni ‘60, un vademecum destinato a chi tra i giovani privi di talento volesse intraprendere una carriera di sicura visibilità e successo in quel campo di attività umane, non essenziali peraltro alla vita dell’uomo, che vanno sotto il nome complessivo e vago di “cultura”.

Bianciardi riprende i tratti e il disincanto di alcuni suoi lavori precedenti – Il lavoro culturale, naturalmente, del 1957 e La vita agra del 1962 – e mette sul piatto, a disposizione dei suoi giovani lettori, i propri errori di gioventù, non pochi, al fine di dispensare consigli preziosi sul da farsi. Consiglia chi sposare e quando divorziare, chi scegliersi come padrone e chi far licenziare (frustare) dallo stesso, come gesticolare, cosa non leggere, quale università non frequentare e molte altre cose che i più giudicano erroneamente. La cosa più importante da capire è che una carriera in ambito culturale non deve contemplare per nessuna ragione al mondo l’apprendimento di un mestiere. Informarsi è molto più utile che formarsi, quindi, per esempio,  meglio non pensare a fare gli scrittori o i giornalisti che sono mestieri seri e faticosi!

La trattazione è ironica e sfrontata, ognuno può riconoscere i tratti tipici di chi ancora oggi muove e lavora in ambito culturale, nelle redazioni, negli uffici stampa, nelle case editrici o di produzione, ma è allo stesso tempo, e non potrebbe essere altrimenti, impietosa. 

Se il protagonista de La vita agra era un alter ego dell’autore, quello anagraficamente più giovane della solenne cavalcata nel campo della cultura è un vero e proprio anti-Bianciardi, è il tipo umano che Luciano non è mai diventato e che non poteva in alcun modo diventare, pur provenendo dal suo stesso contesto socio-culturale. Il giovane medio e mediocre cui si rivolge Non leggete i libri, fateveli raccontare è un provinciale piccolo-borghese, cresciuto in una famiglia normale, in regola con gli studi ma a differenza dell’autore è un vincente. Qui sta la frattura insanabile.

Non che Bianciardi abbia sempre e soltanto perso. È stato un autore di successo, i suoi romanzi e racconti sono diventati sceneggiature cinematografiche negli anni in cui il cinema rappresentava il miglior approdo economico per chi si occupasse di scrittura o di cultura. Di sicuro però Bianciardi ha perso molto più di quanto abbia mai vinto o guadagnato in vita sua. Ha sperperato, Bianciardi. Ha perfino rinunciato al successo e alla vittoria. E non è così semplice, una cosa di questa portata non avviene certo per capriccio o per vocazione.

Cos’è che spinge un uomo, a un certo punto, a rifiutare il successo? L’essere scontento di se stesso? Forse. Magari però nel caso di Bianciardi la domanda si può ribaltare, può diventare: cos’è che spinge un uomo ad accettare il successo? E cosa lo spinge poi a suicidarsi perché incapace di sopportarne il carico, le luci? A suicidarsi lentamente, giorno dopo giorno, bicchiere dopo bicchiere. È difficilissimo.

Questa frattura raccontano le opere di questo scrittore storto e dottissimo e la raccontano in prima persona, senza sconti, in aperta, sfrontata, talvolta ingiustificata polemica con quanti invece riescono a prosperare e a sentirsi a proprio agio nel mondo feroce della cultura.

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