14 luglio 2022

BALZAC ANTICIPA MARX

 



Il racconto dell’uomo proletarizzato

Ultimo racconto della “Storia dei Tredici”, la trilogia che comprende “Ferragus” e “La duchessa di Langeais”, la piccola serie giallo-gotica di Balzac, primi anni 1830, non ancora “Commedia umana”, ma l’agitarsi già frenetico di uno che si vuole filosofo e autore di teatro.

La storia c’è: una ragazza dagli occhi d’oro, una tigre, innamora un nobiluomo, e una serie di colpi di scena seguono. Per l’inevitabile allora incombere, più delle mafie nel giallume odierno, di una potente società segreta – potere e segretezza vanno insieme: “uomini abbastanza onesti da non tradirsi mai tra di loro, abbastanza diplomatici da dissimulare i legami sacri che li univano, abbastanza forti da mettersi al di sopra di tutte le leggi”.

Ma il racconto si legge più per le venti pagine iniziali, un attacco retorico molto costruito contro Parigi, paradigma dell’umanità inurbata che si agita senza senso. Si capisce che Bertolucci ne sia stato attratto (l’edizione Garzanti è tradotta da Attilio Bertolucci), anche per l’inventiva linguistica e sintattica: una sfida.

Singolare in questa lunga digressione iniziale la ricorrenza di termini e riferimenti che si sarebbero pensati entrati nel lessico qualche generazione dopo, con Marx: operaio, proletario, proletariato, borghese, borghesia, piccola borghesia, consumismo per imitazione (“dispotismo dell’io lo voglio aristocratico”). Con un residuo romantico, che anche questo si perpetuerà per l’Ottocento, e oltre: “Questi uomini, nati senza dubbio per essere belli, perché ogni creatura ha la sua bellezza relativa, si sono irreggimentati, dall’infanzia, sotto il comando della forza, sotto il regno del martello, delle cesoie, della filatura, e si sono prontamente vulcanizzati” – un vocabolo, questo, che non avrà fortuna, ma diceva bene, di “Vulcano, con la sua bruttezza e la sua forza”.


Honoré de Balzac, La ragazza dagli occhi d’oro, Garzanti, pp. LX + 128 € 9



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