SEI RACCONTI PER L’ESTATE
di Matteo Moca pubblicato venerdì, 29 Luglio 2022 da https://www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/sei-saggi-per-lestate/
Azar Nafisi, Quell’altro mondo. Nabokov e l’enigma dell’esilio (Adelphi)
Azar Nafisi, scrittrice iraniana costretta a lasciare l’Iran per trasferirsi negli Stati Uniti, in La Repubblica dell’immaginazione, un libro dedicato a raccontare il valore dei libri e ciò che essi veicolano, scrive commentando la tecnocratizzazione delle scuole e della società: «Io sostengo che la conoscenza immaginativa è indispensabile – in termini molto pratici – per la formazione di una società democratica, per la sua concezione di sé stessa e del proprio futuro, e che riveste un ruolo importante nella tutela dell’ideale democratico». C’è da credere ciecamente a quello che scrive Nafisi che, costretta a licenziarsi dall’università di Teheran a seguito dei continui controlli del regime, scelse di fare lezione privatamente a casa sua (esperienza da cui nacque Leggere Lolita e Teheran) e Quell’altro mondo. Nabokov e l’enigma dell’esilio (tradotto da Valeria Gattei) è un’ulteriore prova del potere e l’aiuto della letteratura nella costruzione e comprensione della propria esperienza individuale dentro la collettività. Per rintracciare questo valore della letteratura Nafisi non può che rivolgersi all’amato Nabokov a cui è legata da innegabili analogie (l’esilio prima di tutto) che le danno la possibilità di arricchire sia il suo percorso biografico che l’interpretazione dell’opera di Nabokov, in un duplice procedimento che ben emerge dalla citazione in esergo al volume tratta da La gloria: «Ma un giorno, infrangendo strati di pensiero e immergendomi alla sorgente, vidi riflesso, oltre a me stesso e al mondo, altro, altro, altro». Attraverso i capitoli di questo libro, ognuno dedicato a una o più opere dello scrittore russo (da Parla, ricordo a Il dono, da Invito a una decapitazione a Pnin, da Fuoco pallido a Lolita), Nafisi non solo legge e commenta Nabokov, ma illustra anche le motivazioni per cui Nabokov possa essere significativo per chi vive nella Repubblica islamica, l’importanza della letteratura russa per lei e per altri intellettuali iraniani, in un continuo percorso tra dentro e fuori (la sua vita, l’opera e la vita di Nabokov, la situazione dell’Iran, gli iraniani, ma anche i dispotismi di ogni luogo) che vive attraverso un pensiero che si avvicina a Nabokov, «alla sua celebrazione dell’individualità e della dignità individuale, al suo impegno nei confronti della vita dell’immaginazione, alla sua presa di posizione senza compromessi contro qualunque forma di totalitarismo, non solo a livello di Stato ma anche nelle relazioni personali». Nafisi scrive di come la confisca della storia iraniana a opera di Khomeini la facesse «sentire orfana, senza una casa, nell’amato paese dove ero nata. Non era solo una questione politica, era ormai esistenziale»: Quell’altro mondo è la prova plastica e concreta di come la letteratura aiuti a sopravvivere e a riconoscere l’assurdità di ciò che accade.
Goffredo Fofi, Cari agli dèi (Edizioni E/O)
La scomparsa di amici, donne e uomini, che sono stati compagni di viaggio, maestri, più giovani sodali o punti di riferimento sembra in qualche modo poter essere smussata, seppure in nessuna misura rispetto al dolore dell’assenza, dal ricordo e dal tentativo di provare a continuare discorsi interrotti, progetti intrapresi o solo immaginati, perseverare alla luce di una presenza fievole ma costante camminando sulla strada tracciata e percorsa insieme. Cari agli dèi è un libro dove Goffredo Fofi, che ha conosciuto grandi intellettuali italiani almeno dal dopoguerra in poi, costruisce una galleria di questi amici scomparsi mettendo a punto un’autobiografia di traverso, dove proprio attraverso chi non c’è più emergono relazioni, eredità e ricordi che fanno dell’autore ciò che è e che consegnano al lettore la possibilità di solcare itinerari poco battuti riconoscendo l’importanza di figure più o meno celebri. Da Aldo Capitini (a cui non solo il libro è dedicato, ma a cui Fofi è anche debitore rispetto al titolo del suo saggio La compresenza dei morti e dei viventi) a Rocco Scotellaro, da Raniero Panzieri a Danilo Dolci, da Fabrizia Ramondino a Piergiorgio Bellocchio, sono molti gli esponenti culturali che abitano queste pagine, ma ancor più toccanti e commosse appaiono le pagine dedicate a morti meno conosciuti o comunque dimenticati (i quaranta che furono uccisi a Gubbio in una rappresaglia dai nazisti, Alceste Campanile o anonimi rappresentati di un’Italia marginale che Fofi ha conosciuto nei suoi continui pelleginaggi per il paese delle “cento città” per usare il titolo di un altro suo libro) e il capitolo finale dedicato ad Alessandro Leogrande, la scomparsa più recente e dolorosa per Fofi. Cari agli dèi è quindi un libro che costruisce una storia culturale dell’Italia del Novecento attraverso le immagini e i ricordi di Fofi, una storia diversa, fatta di tanti personaggi noti, ma anche di altri, decisivi, che questa notorietà non la hanno, marginali rispetto al racconto maggioritario e anche per questo ancor più importanti da scoprire e conoscere. Come da ogni libro di Fofi, anche Cari agli dèi offre l’opportunità di conoscere, imparare e avere la misura di quella che l’autore definisce «la mia irrequietezza in anni irrequieti», un mai soddisfatto desiderio di muoversi, fare rete e comprendere; un segnavia importante per tempi in cui generazioni confuse desiderano capire.
Aa. Vv., Bazleniana (Acquario)
Provare a disegnare i contorni di una figura fumosa e fluttuante come Bobi Bazlen, imprendibile nella sua essenza, potrebbe porsi come impresa quasi impossibile perché pochi sono gli appigli concreti. Ma questo fa parte della magia di un personaggio come Bazlen, figura che assume i contorni della leggenda nel mondo editoriale, tra le menti di Adelphi, tra i primi divulgatori della letteratura mitteleuropea allora poco conosciuta in Italia (Musil su tutti), della cultura orientale, vicino a Montale e scopritore di Svevo: sono questi solo alcuni dei meriti e delle attività che hanno segnato l’esistenza di Bazlen e i radi punti di appoggio sono anche dovuti al poco che Bazlen ha effettivamente scritto (raccolto in un volume unico per Adelphi), ma d’altronde, come Calasso racconta nel libro a lui dedicato, fu lo stesso Bazlen a dargli un importante suggerimento: «Se qualcuno mi chiedesse quale fu, in quei primi mesi, l’effetto maggiore che provocò in me Bazlen, dovrei dire: mi dissuase dallo scrivere». Ma come accade con tutte le esperienza straordinarie, l’eredità di Bazlen è qualcosa che si può avvertire e in cui ci si può immergere, sicuri che si tratterà di un’esperienza in cui sarà possibile ritrovare, per dirlo con una sua perifrasi, «la prima voltità», l’emozione e lo stupore che solo un primo incontro, che può voler dire anche vedere le stesse cose con occhio diverso, può generare. Si tratta di ciò che accade leggendo lo splendido Bazleniana, volume collettaneo pubblicato in un’edizione molto curata da Acquario, una raccolta di saggi che dà misura delle varie e centripete direzioni che hanno preso il lavoro e l’eredità del critico triestino corredato da piccoli disegni di Bazlen, evocativi, leggeri e imprendibili, com’era nella sua natura. Tra i vari contributi si trova un saggio di Edoardo Camurri che insegue il fantasma di Bazlen, maestro a cui non si dovrebbe pensare ma con cui si dovrebbe pensare, un articolato resoconto dei rapporti di Bazlen con Einaudi e alcuni dei suoi protagonisti scritto da Marco Belpoliti, il ricordo di tempi in sua compagnia di Chiara Mattioni o una splendida lettera per Bazlen scritta da Anna Foà. Un volume prezioso, un’operazione che non si ferma assolutamente all’omaggio infruttuoso a un autore ma si pone piuttosto come un imprescindibile punto di partenza per muoversi e viaggiare tra gli itinerari spalancati da Bazlen, tutti da scoprire e frequentare.
Mark Fisher, Desiderio postcapitalista. Le ultime lezioni (minimum fax)
Provare a intuire quali direzioni avrebbe potuto prendere il pensiero di Mark Fisher a partire da quella introduzione alle nuove linee del suo ragionamento contenuta in Comunismo acido (saggio che si legge in Il nostro desiderio è senza nome. Scritti politici sempre pubblicato da minimum fax) espone da un lato a una vertigine derivata dal fatto di immaginare i sorprendenti percorsi ermeneutici fisheriani, dall’altro alla tristezza per ciò che sarebbe potuto essere e non si è compiuto. Desiderio postcapitalista (volume curato da Matt Colquhon e tradotto in italiano da Vincenzo Perna) aiuta in parte a provare a completare il percorso teorico fisheriano anche se la trascrizione delle lezioni che il teorico inglese tenne alla Goldsmith University nell’anno accademico 2016/2017 si interrompe improvvisamente a causa del suicidio di Fisher e così delle lezioni che seguono la sua scomparsa possiamo leggere solo nel programma del corso (ma il libro è arricchito anche da una preziosa bibliografia, strumento eccezionale per conoscere ciò a cui avrebbe fatto riferimento Fisher). Certo è che la trascrizione fedele delle lezioni con gli interventi degli studenti rende bene la misura sia dei processi mentali che caratterizzano il pensiero di Fisher nel suo farsi (che si muove spesso attraverso analogie e improvvisi, e illuminanti, paragoni) sia il rapporto alla pari con gli studenti, come testimonia l’attenzione ai loro interventi o il dialogo continuo con loro. Il titolo dato al corso indica bene l’argomento scelto da Fisher che riflette sullo statuto del desiderio, su come questo abbia assunto forme diverse nel corso del tempo, sulle varie forme di accelerazionismo, su come la macchina capitalistica plasmi i pensieri e su quali possono essere le vie per immaginare futuri ulteriori. Proprio all’interno di questo spazio prende piede una riflessione, forse non del tutto compiuta ma di estremo interesse e ben puntellata nei suoi nodi principali, sulla psichedelia come strumento di conoscenza in un percorso interpretativo che unisce, come sempre accade nei suoi ragionamenti, musica e filosofia, arte e letteratura.
Alfonso Fasano, Pep Guardiola, il calcio come rivoluzione infinita (66thand2nd)
I lettori si sono ormai abituati, o comunque dovrebbero farlo, alla qualità della collana di 66thand2nd “Vite Inattese”, racconti di vite e momenti di sport in cui l’elemento precipuo si mescola sempre con aspetti sociali, culturali e, semmai possano essere slegati dal resto, politici. Non sfugge a questo spazio dorato il libro di Alfonso Fasano su Pep Guardiola, oggi allenatore del Manchester City, che già dal titolo mette in luce il carattere continuamente in movimento, instancabile nei suoi processi, del gioco del calcio per l’allenatore spagnolo. Parlare di Guardiola non è una sfida facile perché, come bene sottolinea Fasano nelle prime pagine del libro, si tratta di un personaggio che più di ogni altro incarna la dialettica che caratterizza il gioco moderno, quella tra gli allenatori “giochisti”, che credono agli aspetti teorici e teoretici del calcio, e quelli “risultadisti”, per i quali l’unica cosa che conta è il risultato. Detrattori, adulatori, nemici, allievi sono le polarizzazioni che genera l’allenatore, suo malgrado verrebbe forse da aggiungere, ma se si osserva Guardiola al lavoro, a bordo campo o nelle conferenze stampa, appare nitida l’immagine di un uomo che crede ciecamente nelle sue convinzioni e nella sua verità come «una trascendenza che si è manifestata ai suoi occhi». Dopo una prima breve parte dedicata alla nascita e crescita di Guardiola come giocatore (in cui Fasano descrive bene, con rapidi tratti, anche gli aspetti più puramente politici del Barcellona, della Catalogna e di chi, come Guardiola, è nato da quelle parti), il libro si snoda attorno alle vicende del Guardiola allenatore, descrivendo con minuzia le sue varie esperienze (Barcellona appunto, e poi Bayern Monaco e Manchester City) attraverso momenti topici in cui sembra rivelarsi agli occhi dell’allenatore «teologo» nuovi possibili sviluppi del suo gioco e del calcio più in generale e ponendo attenzione alle tecniche di allenamento e comunicazione messi a punto da Guardiola. Dal gioco posizionale (incarnato nella definizione di tiqui-taca) alla rapidità verticale inglese, la rivoluzione di Guardiola sembra in continua costruzione e sarà divertente vedere dove andrà a posizionarsi la sua creatura in perpetua mutazione.
Reza Negarestani, Tortura concreta. Jean-Luc Moulène e il protocollo dell’astrazione (TLON)
Autore di Cyclonopedia (tradotto in italiano da LUISS University Press), libro oscuro in cui una pseudo-narrazione letteraria (la storia di una ragazza americana che a Istanbul ritrova uno strano manoscritto e di un archeologo cacciato dall’università) si sfilaccia in un puro e articolato percorso teoretico sul potere del petrolio, la «petropolitica», che avvinghia inconsapevolmente ogni società occidentale, il filosofo iraniano Reza Negarestani nel 2014 ha scritto questo breve libro (dove la lunghezza limitata è inversamente proporzionale alla complessità e profondità dei ragionamenti) come una speculazione sull’opera dell’artista francese Jaun-Luc Moulène. Ma come ben sottolinea l’introduzione di Gioele P. Cima, anche traduttore del volume, indispensabile e approfondita per comprendere non solo la nascita di questo scritto ma anche l’opera di Negarestani, questo saggio è certamente minore rispetto ad altre opere, eppure è «fondamentale per legare in senso pratico la questione dell’umano con quella della ragione e della sua apertura all’inumano». Partendo dalle forme delle installazione di Moulène, oggetti bizzarri come fiori metallici o nodi di bronzo, in cui la materia sovrasta le decisioni dell’artista, Negarestani si sofferma sul concetto di astrazione che spinge la mente verso nuove possibilità attraverso «una forza in grado di lacerare la materia e imprimere a ciò che è inerte uno slancio noetico in grado di definire la traiettoria del pensiero e dell’immaginazione». Tra le pagine di Tortura concreta il concetto chiave per la storia dell’arte dell’astrazione viene rivisto e ripensato, tanto che Negarestani vede nel lavoro di Moulène la trasformazione dell’astrazione in un protocollo universale (secondo la stessa definizione dell’artista di protocollo come sistema performativo) che governa la creazione dell’artista rappresentando alla perfezione «la ramificazione dei transiti tra il pensiero e la materia», momento topico in cui tutte le modalità attraverso le quali si muove il pensiero confluiscono in un unico, decisivo, zenit.
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