21 luglio 2022

SPES CONTRA SPEM ***

 


Speranze

Gustavo Esteva
20 Luglio 2022

Come generare speranza in mezzo al disastro che dilaga intorno a noi? Gustavo Esteva se lo chiedeva in un articolo scritto poco meno di dieci anni fa. Il sistema che ci ha dominati fin qui è al collasso, i segnali che lo indicano sono ogni giorno più evidenti. La sopravvivenza stessa di molte specie del pianeta, a cominciare dalla nostra, affronta minacce letali e inedite. Non ci salveranno i governi. Anzi, non c’è niente di più pericoloso di un governo in preda al panico, diceva Gustavo. Intanto, alla normalità non siamo affatto tornati. Tutt’altro. Il mondo che va in rovina continua a sgranare il rosario delle emergenze, una dopo l’altra. Non sa far altro. Eppure siamo qui a parlare di speranze. La nostra speranza comincia, con le parole di John Berger, dal chiamare per nome quel che è intollerabile. Non possiamo che metterci accanto a coloro per i quali questo mondo è diventato intollerabile e ascoltarli. Le parole di Berger vengono citate dall’articolo del 2013 di Esteva che ripubblichiamo sotto l’essenziale introduzione di Aldo Zanchetta. Un articolo che sembra scritto ieri, come molti altri tra gli oltre cento che Gustavo Esteva ci ha regalato fino al marzo scorso. La speranza va coltivata e difesa perché, spiegava, è l’essenza dei movimenti e del fare comune. Non può basarsi, come molti di noi hanno creduto in passato, sull’annuncio di terre promesse e astri dell’avvenire. Ed è cosa molto diversa dall’aspettativa. Comporta il riconoscimento dei limiti della condizione umana e la capacità di aprirsi alla sorpresa, al fascino dell’inatteso. Implica, ad esempio, prendere coscienza che la «società nel suo insieme» è il risultato di una infinità di fattori e di condizioni interamente imprevedibili. È da quella speranza, cosciente dei propri limiti e delle sue potenzialità, che oggi dipende la nostra sopravvivenza

Gustavo Esteva, foto tratta da https://www.esperanzaproject.com

Quando è morto, Gustavo Esteva stava lavorando, fra molte altre cose, su due temi prioritari: il così chiamato acervus, la pubblicazione completa su internet, in spagnolo, degli scritti e delle conferenze di Illich e poi un libro sulla speranza, tema caro a Ivan, suo maestro, che egli aveva ripreso più volte nei suoi scritti. Due anni or sono, con gli amici di Mutus Liber, l’editore italiano del suo Ripensare il mondo con Ivan Illich, gli avevamo chiesto di affrontare organicamente questo tema in un libro a ciò finalizzato ed egli aveva accettato. Prima, però, aveva programmato di impiegare un intero anno a riordinare gli scritti di una vita in una antologia. Si era reso conto che la vita ha le sue leggi e che il termine per lui si avvicinava. Riteneva, senza false modestie, di dover lasciare fruibile il suo lungo lavoro.

Verso la fine dello scorso anno, mi comunicò che questo impegno stava terminando e che ne aveva fatto tre selezioni diverse: la prima, la più urgente, doveva essere consegnata entro il 15 dicembre a un editore di Hong Kong che la attendeva per la pubblicazione. La seconda era destinata a un editore internazionale con cui aveva siglato un contratto, mentre una terza l’avrebbe destinata specificamente alla diffusione in Italia, promettendo che sarebbe stata pronta entro pochissime settimane. Intanto aveva cominciato a lavorare al libro sulla speranza. In realtà, aveva preso a lavorarci fin dal momento della nostra richiesta, prevedendo un testo in tre capitoli del quale aveva affidato i primi due a una amica argentina e a un amico messicano che li elaborarono in pochi mesi. Con Gustavo ci scambiammo alcune riflessioni e chiedemmo agli autori alcune modifiche. Uno dei due, in particolare, era troppo “accademico”, mentre noi avevamo pensato a un testo per la “gente comune”,  naturale destinataria di questa “risorsa vitale” così essenziale in tempi tanto bui.

Nel suo PC non è stato trovato alcun inizio del capitolo che aveva riservato per sé, però sì una voluminosa cartella di documenti che aveva raccolto e sui quali pensava di lavorare, in particolare testi di altri pensatori, appartenenti o no alla tradizione culturale occidentale, alcuni – pochi – indicatigli da chi scrive (ad es. Giulio Girardi), assieme alla raccolta dei molti suoi testi in cui aveva nel tempo affrontato il tema.

Questo il “legado” (compito) che Esteva ci ha lasciato e che spero sarà adempiuto nel corso del prossimo anno. Mi è chiaro che sarebbe presuntuoso e non onesto se pensassi di scrivere al posto suo il capitolo mancante, tentando magari di interpretare il suo pensiero. Però una selezione di questi scritti, alcuni così ampi da poter già costituire da soli il capitolo mancante, è più che esauriente. Intanto mi fa piacere condividere un suo breve ma denso articolo, pubblicato nel 2013 sul giornale messicano La Jornada, da me allora tradotto pubblicato nel mio sito di allora e ritrovato casualmente fra le mie carte. Vi è enunciato chiaramente il ruolo che egli attribuiva alla speranza come forza sociale di lotta per riprendere in mano il destino di noi, “gente comune”. (A. Z.)

Felice Pignataro, GRIDAS. Mural al Liceo Scientifico ‘F. Brunelleschi’ di Afragola (Napoli), 10-20 maggio 1987.

Speranze

di Gustavo Esteva

In mezzo al disastro che dilaga intorno a noi, devo ricorrere ancora una volta a una riflessione significativa di John Berger: «Nominare l’intollerabile è già di per sé la speranza. Quando qualcosa viene percepito come intollerabile è necessario fare qualcosa. L’azione è soggetta a tutte le vicissitudini della vita. Però la pura speranza risiede in primo luogo, in forma misteriosa, nella capacità di nominare l’intollerabile in quanto tale: e questa capacità viene da lontano, dal passato e dal futuro. Questa è la ragione per la quale la politica e il coraggio sono inevitabili».

Berger si riferisce chiaramente alla politica, all’azione cosciente e organizzata che si occupa del bene comune, non al gioco politichese dei partiti e del governo che sono parte dell’intollerabile. E si riferisce al coraggio, allo sforzo impetuoso dell’animo, al valore, alla degna rabbia, come direbbero gli zapatisti, non ad esplosioni irrazionali di ira che stanno creando situazioni ugualmente intollerabili.

Come generare speranza? Come fare perché la constatazione dell’intollerabile non porti alla paralisi o alla disperazione? Quale è il cammino misterioso al quale Berger allude?

Si conferma sempre più che «la speranza radicale è l’essenza dei movimenti popolari», come sosteneva Douglas Lummis. Ogni movimento sociale si costruisce a partire dalla speranza che l’azione comune potrà ottenere ciò che si sta cercando. Però è necessario distinguere con chiarezza la speranza dall’aspettativa. L’aspettativa esprime l’arroganza di pretendere che si possa pianificare e controllare il futuro, ciò che si tramuta spesso in meccanismo di manipolazione e controllo.

Negli anni Quaranta si parlava della «rivoluzione delle aspettative crescenti», per alimentare i desideri collettivi con promesse di miglioramento proprie del consumismo che consentì l’espansione capitalista. È una «rivoluzione» che si auto-distrusse. Un’espressione attuale dell’intollerabile è la frustrazione che produce il fallimento di aspettative lungamente accarezzate e alimentate, la frustrazione del giovane diplomato che non trova lavoro nel campo per il quale ha studiato, quella del lavoratore che ha impegnato la vita intera nell’aspettativa di una vecchiaia serena che oggi gli viene erosa…

Felice Pignataro, GRIDAS. Mural a Sant’Anastasia, Napoli. Luglio 1995

La speranza è altra cosa. Suppone il riconoscere i propri limiti, quelli che sono propri della condizione umana, ed aprirsi alla sorpresa, al fascino dell’inatteso. Implica, ad esempio, prendere coscienza che la «società nel suo insieme» è il risultato di una infinità di fattori e di condizioni interamente imprevedibili. Sbaglieremmo se, per metterci in movimento, esigessimo di disporre di un progetto perfetto di società che contribuiremo a creare con la nostra azione. Però questa speranza radicale, cosciente dei propri limiti ma anche della sua potenzialità, è la speranza dalla quale oggi dipende la sopravvivenza dell’umanità.

Come suggeriva Illich più di quarant’anni or sono, abbiamo la necessità di riscoprirla come forza sociale in un momento in cui alla base della società ribollono inquietudini e quando un numero crescente di persone giunge al momento radicale che porta a dire: «Non obbedisco più, non mi sottometto, non sono disposto ad accettare passivamente questo destino atroce che ci viene imposto».

Siamo incalzati da una molteplicità di poteri diffusi, di carattere mafioso, che ci tolgono ogni tranquillità e non ci lasciano vivere in pace. Viviamo sotto la minaccia costante che quanto desideriamo e abbiamo svanisca nell’aria, che alcuni di questi poteri ci tolgano l’impiego, la casa, la terra, i diritti e le garanzie consacrate dalla legge, la sicurezza, la salute, la vita stessa…

Gustavo Esteva alla prima festa di Comune-info il 13 aprile del 2013

Contro tutto questo leviamo in alto la speranza, che non è, come diceva Vaclav Havel, la convinzione che qualcosa accadrà secondo certe modalità, bensì la convinzione che qualcosa abbia un senso, indipendentemente da ciò che avverrà.

La speranza radicale è alimentata dalla convinzione, solidamente fondata sull’esperienza storica, che nessun potere può rendere impossibile ciò che speriamo quando si strappa il filo della storia e un popolo dice con fermezza: Ora basta! Non tollereremo oltre!

(da La Jornada del 10 giugno 2013 – traduzione di Aldo Zanchetta – su www.kanankil.it)


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