01 agosto 2015

STORIE VERE TRA SICILIA E AMERICA




«Storia vera e terribile tra Sicilia e America» di Enrico Deaglio per Sellerio. L’avvincente ricostruzione del linciaggio degli italiani nella citta di Tellulah in Louisiana alla fine dell’Ottocento. Uccisi dopo un diverbio per dare una «lezione» ai migranti.

Niccolò Nisivoccia

Cinque «dagos» con il cappio al collo


Enrico Dea­glio è sem­pre stato, nei suoi libri, in equi­li­brio fra il gior­na­li­smo, la Sto­ria e la nar­ra­zione. Il bel­lis­simo Patria 1978 – 2008, ad esem­pio, rac­con­tava gli ultimi trent’anni di vicende ita­liane sro­to­lan­doli come un lungo tele­gior­nale: un libro di Sto­ria a tutti gli effetti, dun­que, ma sot­to­forma di «cro­naca a scop­pio ritar­dato». Dea­glio, in altre parole, si è sem­pre pro­po­sto con la mode­stia del cro­ni­sta, ma forte di una pro­fon­dità da sto­rico, ed è uno scrit­tore tout court, come ora con­ferma Sto­ria vera e ter­ri­bile tra Sici­lia e Ame­rica, appena pub­bli­cato da Sel­le­rio (pp. 214, euro 14).

Siamo negli Stati Uniti: a Tel­lu­lah, nella con­tea di Madi­son, estremo nord-est dello Stato della Loui­siana. È il 20 luglio 1899, una cal­dis­sima sera d’estate. Cin­que immi­grati ita­liani ven­gono lin­ciati dalla folla, mediante impic­ca­gione. Sono i tre fra­telli Defatta (Giu­seppe, Fran­ce­sco e Pasquale), Rosa­rio Fiduc­cia e Gio­vanni Cirami; hanno fra i ven­ti­tre e i cin­quan­ta­quat­tro anni. Tutti e cin­que ven­gono dalla Sici­lia, da Cefalù, e sono com­mer­cianti di frutta e ver­dura; sono dun­que cin­que dagos, come veni­vano chia­mati gli immi­grati sici­liani, forse da dag­ger, che signi­fica «sti­letto», o più vero­si­mil­mente (quan­to­meno secondo Dea­glio) da una ver­sione spor­cata dell’espressione as the day goes, che indi­cava chi veniva assunto come lavo­rante «a giornata».

Tutto nasce da un epi­so­dio pic­colo, appa­ren­te­mente, e tutto dura meno di ven­ti­quat­tro ore: una capra di uno dei Defatta ha bru­cato l’erba, quella mat­tina molto pre­sto, dove non doveva, nel prato dell’ufficiale sani­ta­rio del paese, il dot­tor Hodge, il quale per que­sto la uccide con un colpo di pistola. Cosa suc­cede dopo? Secondo la ver­sione uffi­ciale, il gruppo dei sici­liani avrebbe deciso di ven­di­carsi e, quella sera stessa, uno di loro avrebbe aggre­dito il dot­tore; ne sarebbe deri­vata una lite vio­lenta, dalla quale il dot­tore sarebbe uscito gra­ve­mente ferito. E qui un folto gruppo di cit­ta­dini ini­zia una cac­cia all’uomo (per­ché que­sto è il lin­ciag­gio, da dizio­na­rio: un’esecuzione som­ma­ria per­pe­trata da un gruppo di cit­ta­dini nei con­fronti di una per­sona colta in fla­grante o rite­nuta col­pe­vole di un delitto molto grave), alla fine della quale i cin­que sici­liani ven­gono cat­tu­rati e subito dopo impic­cati, men­tre un sesto, sici­liano di Cefalù a sua volta, rie­sce a scappare.

Quando viene a cono­scenza dei fatti, Dea­glio intui­sce che «la sto­ria era molto più grande di così», e cioè «più orrenda, più infame, più miste­riosa, ma anche più avven­tu­rosa e quasi fia­be­sca»; e il libro, che da que­sta intui­zione nasce, ne costi­tui­sce la spie­ga­zione del per­ché. Non c’entra la capra, secondo Dea­glio.
C’entra invece l’emigrazione dei sici­liani, che era ini­ziata pochi anni prima, verso l’America, dove i sici­liani avreb­bero dovuto pren­dere il posto dei «negri» nelle pian­ta­gioni di cotone, per­ché i «negri» ave­vano perso parte della loro affi­da­bi­lità; e c’entra il «vento freddo» che accom­pa­gnava quell’emigrazione. C’entrano la disil­lu­sione che indu­ceva alla par­tenza (per­ché Gari­baldi era stato una pro­messa di libertà non man­te­nuta), l’illusione del riscatto che l’America doveva essere, la nuova disil­lu­sione che per molti ne sarebbe seguita, l’ostilità degli ame­ri­cani nei con­fronti dei nuovi arri­vati, la con­vin­zione che fos­sero una «razza infe­riore», non dei «negri» ma dei «negroidi» da trat­tare come i primi erano stati sem­pre trat­tati, e c’entrano dun­que anche le teo­rie raz­zi­ste dell’epoca, tanto ita­liane quanto ame­ri­cane; c’entra però anche il timore dell’ascesa di una nuova classe sociale, per­ché pur fra stenti e fati­che i sici­liani si sta­vano facendo valere. C’entra tutto que­sto insieme.

Dea­glio indaga, rac­co­glie docu­menti e prove e sco­pre la fra­gi­lità della ver­sione uffi­ciale dei fatti, poi cerca ancora, si con­fronta, si inter­roga, e alla fine la sua ver­sione è diversa: il dot­tor Hodge era stato sem­pli­ce­mente un «con­sa­pe­vole, freddo, agente pro­vo­ca­tore usato da chi voleva eli­mi­nare i sici­liani dalla par­roc­chia» e il lin­ciag­gio di Tel­lu­lah uno dei primi casi ame­ri­cani di «uso della folla per motivi politico-economici».

Oggi, a distanza di tanti anni, potremmo dire che i cin­que sici­liani da Cefalù, nel loro ruolo di vit­time, e nel loro essersi tro­vati «al cen­tro di una par­ti­co­lare con­giun­zione astrale, fatta di geo­po­li­tica, schia­vitù, grandi cal­coli eco­no­mici», rap­pre­sen­ta­rono un sim­bolo invo­lon­ta­rio. E nello sguardo di uno di loro, tra­man­da­toci da una foto, a Dea­glio sem­bra di rive­dere il mede­simo sguardo dell’ignoto ritratto da Anto­nello da Mes­sina, nel quale secondo qual­cuno sarebbe rac­chiusa l’espressione di un vero e pro­prio «uni­ver­sale carat­tere italiano».


Il manifesto – 3 luglio 2015

Nessun commento:

Posta un commento