“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
24 luglio 2015
I DANNATI DELLA TERRA DI F. FANON
Il 20 luglio 2015, Frantz Fanon avrebbe compiuto 90 anni. Lo ricordiamo con le conclusioni de “I dannati della terra”, che risuonano in modo profetico.
Su, compagni, è meglio decidere fin da ora di cambiar sponda. La grande notte nella quale fummo immersi, dobbiamo scuoterla e venirne fuori. Il giorno nuovo che già si leva deve trovarci fermi, preparati e risoluti.
Dobbiamo lasciar stare i nostri sogni, abbandonare le vecchie credenze e le amicizie di prima della vita. Non perdiamo tempo in sterili litanie o in mimetismi stomachevoli. Lasciamo quest’Europa che non la finisce più di parlare dell’uomo pur massacrandolo dovunque lo incontra, a tutti gli angoli delle stesse sue strade, a tutti gli angoli del mondo.
Sono secoli che l’Europa ha arrestato la progressione degli altri uomini e li ha asserviti ai suoi disegni e alla sua gloria; secoli che in nome d’una pretesa «avventura spirituale» soffoca la quasi totalità dell’umanità. Guardatela oggi altalenare tra la disintegrazione atomica e la disintegrazione spirituale.
Eppure, a casa sua, sul piano delle realizzazioni si può dire che è riuscita in tutto.
L’Europa ha assunto la direzione del mondo con ardore, cinismo e violenza. E guardate quanto l’ombra dei suoi monumenti si stende e si moltiplica. Ogni movimento dell’Europa ha fatto scoppiare i limiti dello spazio e quelli del pensiero. L’Europa si è rifiutata ad ogni umiltà, ad ogni modestia, ma anche ad ogni sollecitudine, ad ogni tenerezza.
Non si è mostrata parsimoniosa se non con l’uomo, gretta, carnivora, omicida se non con l’uomo.
Allora, fratelli, come non capire che abbiamo altro da fare che seguire quell’Europa.
Quell’Europa che non smise mai di parlare dell’uomo, di proclamare che non era preoccupata se non dell’uomo, noi sappiamo oggi con quali sofferenze l’umanità ha pagato ciascuna delle vittorie del suo spirito.
Allora, compagni, il gioco europeo è definitivamente terminato, bisogna trovare altro. Possiamo far tutto, oggi, a condizione di non imitare l’Europa, a condizione di non essere ossessionati dal desiderio di raggiungere l’Europa.
L’Europa ha acquisito una tale velocità, pazza e disordinata, che sfugge oggi a qualunque guidatore, a qualunque ragione e va in vertigine spaventosa verso abissi da cui è meglio allontanarsi il più rapidamente possibile.
E’ pur vero, tuttavia, che ci occorre un modello, degli schemi, degli esempi. Per molti di noi, il modello europeo è il più esaltante. Ora, si è visto nelle pagine precedenti a quali disdette ci portava questa imitazione. Le realizzazioni europee, la tecnica europea, lo stile europeo, devono cessare di tentarci e di squilibrarci.
Quando io cerco l’uomo nella tecnica e nello stile europei, vedo un susseguirsi di negazioni dell’uomo, una valanga di assassini.
La condizione umana, i progetti dell’uomo, la collaborazione tra gli uomini per mansioni che aumentano la totalità dell’uomo, son problemi nuovi che esigono vere invenzioni.
Decidiamo di non imitare l’Europa e tendiamo i nostri muscoli e i nostri cervelli in una direzione nuova. Cerchiamo d’inventare l’uomo totale che l’Europa è stata incapace di far trionfare.
Due secoli fa, un’ex colonia europea si è messa in testa di colmare il ritardo con l’Europa. Vi è così ben riuscita che gli Stati Uniti d’America son diventati un mostro in cui le tare, le malattie e l’inumanità dell’Europa hanno raggiunto dimensioni spaventose.
Compagni, non abbiamo dunque altro da fare che creare una terza Europa? L’Occidente ha voluto essere un’avventura dello Spirito. E’ in nome dello Spirito, dello spirito europeo si capisce, che l’Europa ha giustificato i suoi crimini e legittimato la schiavitù in cui teneva i quattro quinti dell’umanità.
Sì, lo spirito europeo ha avuto singolari fondamenti. Tutta la riflessione europea si è svolta in luoghi sempre più deserti, sempre più dirupati. Si è presa così l’abitudine d’incontrare sempre meno l’uomo.
Un dialogo permanente con se stessi, un narcissismo sempre più osceno non hanno cessato di preparare il letto a un semidelirio in cui il lavoro cerebrale diventa una sofferenza, non essendo le realtà per nulla quelle dell’uomo che vive, lavora e si fabbrica, ma parole, accozzamenti diversi di parole, le tensioni nate dai significati contenuti nelle parole. Si sono tuttavia trovati europei per invitare i lavoratori europei a spezzare questo narcissismo e rompere con questa srealizzazione.
In linea generale, i lavoratori europei non hanno risposto a quegli appelli. Il fatto è che i lavoratori si sono creduti, anch’essi, interessati dall’avventura prodigiosa dello Spirito europeo.
Tutti gli elementi d’una soluzione ai grandi problemi dell’umanità sono, in momenti diversi, esistiti nel pensiero dell’Europa. Ma l’azione degli uomini europei non ha realizzato la missione che le spettava e consisteva nel premere con violenza su quegli elementi, nel modificarne l’ordinamento, l’essere, nel mutarli, infine nel portare il problema dell’uomo a un livello incomparabilmente superiore.
Oggi, assistiamo a una stasi dell’Europa. Fuggiamo, compagni, quel movimento immobile in cui la dialettica, a poco a poco, si è mutata in logica dell’equilibrio. Riprendiamo la questione dell’uomo. Riprendiamo la questione della realtà cerebrale, della massa cerebrale di tutta l’umanità di cui occorre moltiplicare le connessioni, diversificare i reticoli e riumanizzare i messaggi.
Su, fratelli, abbiamo veramente troppo lavoro per trastullarci con giochi di retroguardia. L’Europa ha fatto quel che doveva fare e tutto sommato lo ha fatto bene; smettiamo di accusarla, ma diciamole fermamente che non deve più continuare a far tanto rumore. Non abbiamo più da temerla, cessiamo dunque d’invidiarla. Il Terzo Mondo è oggi di fronte all’Europa come una massa colossale il cui intento deve essere quello di cercare di risolvere i problemi ai quali quest’Europa non ha saputo recare soluzioni.
Ma allora, importa di non parlare di rendimento, di non parlare d’intensificazione, di non parlare di ritmi. No, non si tratta di ritorno alla Natura. Si tratta molto concretamente di non tirare gli uomini in direzioni che li mutilano, di non imporre al cervello ritmi che rapidamente l’ostruiscono e lo guastano. Non bisogna, sotto pretesto di colmare il distacco, malmenare l’uomo, strapparlo a se stesso, alla sua intimità, spezzarlo, ucciderlo.
No, noi non vogliamo raggiungere nessuno. Ma vogliamo camminare sempre, notte e giorno, in compagnia dell’uomo, di tutti gli uomini. Si tratta di non allungare la carovana, poiché, allora, ogni fila percepisce appena quella che la precede e gli uomini non si riconoscono più, si incontrano sempre meno, si parlano sempre meno.
Si tratta, per il Terzo Mondo, di ricominciare una storia dell’uomo che tenga conto al tempo stesso delle tesi a volte prodigiose sostenute dall’Europa, ma anche dei delitti dell’Europa, di cui il più efferato sarà stato, in seno all’uomo, lo squarcio patologico delle sue funzioni e lo sbriciolamento della sua unità; nel quadro d’una collettività, la rottura, la stratificazione, le tensioni sanguinose alimentate da classi; infine, alla scala immensa dell’umanità, gli odi razziali, la schiavitù, lo sfruttamento e soprattutto il genocidio esangue costituito dall’aver messo da parte un miliardo e mezzo di uomini.
Dunque, compagni, non paghiamo tributo all’Europa creando Stati, istituzioni e società che se ne ispirano. L’umanità aspetta altro da noi che quest’imitazione caricaturale e nell’insieme oscena.
Se vogliamo trasformare l’Africa in una nuova Europa, l’America in una nuova Europa, allora affidiamo ad europei le sorti dei nostri paesi. Sapranno farci meglio che i meglio dotati tra noi.
Ma se vogliamo che l’umanità avanzi d’un grado, se vogliamo portarla a un livello diverso da quello in cui l’Europa l’ha manifestata, allora occorre inventare, occorre scoprire.
Se vogliamo rispondere all’attesa dei nostri popoli, bisogna cercare altrove che non in Europa.
Inoltre, se vogliamo rispondere all’attesa degli europei, non bisogna rinviare loro un’immagine, anche ideale, della loro società o del loro pensiero per i quali essi provano saltuariamente un’immensa nausea.
Per l’Europa, per noi stessi e per l’umanità, compagni, bisogna rinnovarsi, sviluppare un pensiero nuovo, tentare di metter su un uomo nuovo.
Frantz Fanon
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