25 agosto 2015

QUANDO LE DONNE HANNO LA LUNA




L'astro mutevole per eccellenza ha anche un genere sessuale incerto in molte culture. E data la sua natura di continue metamorfosi, forgia licantropi e vampiri, che poi non sono altro che figure della vita e della morte.

Claudio Corvino

Lunatici per scelta


Tra i ghiacci del grande Nord, quando per gli Inuit le cose non ave­vano ancora una forma distinta, Luna (Taq­quiq) e Sole (Siqi­niq), fra­tello e sorella, si uni­rono in matri­mo­nio e ben pre­sto lei rimase incinta. Chiusa nell’iglù desti­nato alle par­to­rienti, ogni notte subiva la visita di uno sco­no­sciuto nel suo letto. Decisa a sma­sche­rare quell’essere impu­dente, Sole si sporcò le mani di fulig­gine e quando costui riandò a tro­varla, gli sporcò il viso. Andato via, Sole lo seguì fino all’iglù delle feste, dove si riu­ni­vano gli Inuit, e sco­prì che quell’insolente era pro­prio suo fra­tello Luna. Così senza pen­sarci troppo entrò e davanti a tutti si tagliò i seni, get­tan­do­glieli ai piedi e dicendo: «desi­deri tanto il mio corpo, e allora man­gia­telo!». Dopo­di­ché prese una lam­pada a olio e fuggì via nella notte artica. Luna la inse­guì, ma nella fretta fece spe­gnere la sua lam­pada. Si inse­gui­rono a lungo, fino a che non giun­sero al cielo, dove rima­sero per l’eternità come Siqi­niq e Taq­quiq, il sole e la luna.

Que­sta sto­ria, rac­colta dall’antropologo Franz Boas nel 1888, mostra l’origine dei due astri agli «inizi del tempo» inuit, in quella notte eterna dove uomini, ani­mali e per­sino gli astri ave­vano uno sta­tuto oscil­lante e si scam­bia­vano ruoli, genere e spe­cie: un uomo poteva diven­tare un orso, oppure una donna, e vice­versa. Ana­lo­ga­mente l’offerta ses­suale diven­tava ali­men­tare quando Siqi­niqoffriva le sue carni al fra­tello, in un’antica con­fu­sione tra antro­po­fa­gia e incesto.

In cop­pia for­zata

La luna è il più mute­vole dei feno­meni cele­sti, il suo genere ses­suale è incerto: un maschio potente come il Toro del Cielo (ancora oggi in tede­sco Mond, luna, è di genere maschile) che accu­di­sce e pro­tegge le sue muc­che, le stelle, una fem­mina cac­cia­trice con l’arco o un cre­scente di luna in mano, o un bises­suale come tra le isole Anda­mane, dove la luna cre­scente è maschile e quella calante fem­mi­nile. La ragione di que­sta dif­fe­renza di generi la spie­gava Pla­tone nel Con­vi­vio, descri­vendo il genere maschile, figlio del sole, quello fem­mi­nile, figlio della terra e un terzo sesso figlio della luna, par­te­cipe di entrambi, che anche nel nome ricorda le due divi­nità Her­mes e Afrodite.

Nella mito­loga euro­pea abi­tual­mente il sole è maschio e la luna fem­mina e, ovvia­mente, non si uni­scono mai. Il per­ché lo spiega una sim­pa­tica leg­genda nor­manna: un giorno, men­tre il sole per­cor­reva l’universo incon­trò Dio, che lo salutò calo­ro­sa­mente e gli chiese come andasse. Il sole rispose che le cose non anda­vano benis­simo e che negli ultimi tempi aveva delle eru­zioni piut­to­sto imba­raz­zanti. Dio gli fece: «spo­sati, che aspetti?». «Con chi?», richiese il sole per­plesso e Dio, sicuro di sé, «ma con la luna!». Il sole replicò con­tra­riato: «Spo­sarmi con la luna? Una sco­stu­mata che dorme tutta la notte, cam­bia fase tutte le set­ti­mane e che è piena ogni mese… O Signore, non pen­sa­teci proprio!».

Nel loro biso­gno di dare ordine alle cose del mondo, gli umani hanno ela­bo­rato un sistema di paren­tela astrale che ha visto nella luna di volta in volta una madre, una figlia, una moglie, un marito, dei gemelli, dove l’altro ele­mento della cop­pia era imman­ca­bil­mente il sole. Ma men­tre que­sto è sem­pre uguale a se stesso, la luna cam­bia con­ti­nua­mente forma, posi­zione, colore, luce: rap­pre­senta il ritmo stesso delle cose secondo natura, fedele a quei ritmi cosmici che si con­trap­pon­gono all’umano e all’urbano. La luna ci ha inse­gnato a scan­dire i periodi: dopo il giorno e la notte è stata la prima misura natu­rale del tempo. Non è un caso se month, monat, mese, deri­vino tutti dallo stesso etimo, che rimanda sem­pre alla luna, come lunari furono i primi calen­dari greci, meso­po­tami, indiani, ebrei.

La sua cicli­cità l’ha resa amica del ciclo ripro­dut­tivo fem­mi­nile e quindi patrona di quelle divi­nità che sovrin­ten­dono alla nascita come Hera, Arte­mide o Luci­nia, pro­tet­trici del matri­mo­nio o del parto.

Con­ce­pi­menti facili

Nel medioevo le stre­ghe, prima di diven­tare quelle banali schiave del demo­nio che cono­sciamo, erano donne che vola­vano perio­di­ca­mente di notte al seguito di miste­riosi esseri dai nomi lunari come Diana, Berta, Per­chta, il cui nome con­serva tutto il fascino dell’antico tede­sco perhata naht, «lumi­nosa notte». Gli stessi ritmi bio­lo­gici dell’uomo dipen­de­vano dalle fasi di que­sto astro: si cre­deva che il suo desi­de­rio ses­suale fosse più forte durante la luna piena, men­tre il midollo spi­nale, sede dell’energia vitale, era più debole durante la luna calante. In que­sta stessa fase dimi­nuiva la pro­du­zione di sperma: si pen­sava così che i bam­bini fos­sero con­ce­piti più facil­mente durante i tre giorni della luna nuova.

La sua ciclica «assenza» del novi­lu­nio ha pre­pa­rato gli uomini a gestire la morte, a viverla come una scom­parsa tem­po­ra­nea cui sarebbe seguita una nuova esi­stenza: ha inse­gnato loro a spe­rare e a cre­dere in una rinascita.

La luna stessa è diven­tata un luogo dove ripo­sano le anime: i Campi Elisi dei pita­go­rici o il paese dei morti chia­mato pitriyana dagli Indiani. L’astro not­turno è una tappa impor­tante di un cam­mino dei morti che con­duce al sole e poi alla luce infi­nita di Ahura Mazda nella reli­gione zoroa­striana.

Per Plu­tarco dopo la morte le anime vagano nello spa­zio sub­lu­nare per puri­fi­carsi dai mia­smi pro­dotti dal corpo e infine appro­dare sull’astro lucente. Non tutte rie­scono a giun­gervi: alcune ne ven­gono cac­ciate, tra gemiti e lamenti, men­tre altre, quelle dei puri, fanno un giro d’onore inco­ro­nate di piume, come atleti vit­to­riosi: l’anima a poco a poco per­derà coscienza della pro­pria iden­tità e si dis­sol­verà nella luna, da dove ne nascerà una nuova pronta per la rein­car­na­zione.

Non solo le anime sono custo­dite sul suolo lunare, ma anche le cose per­dute alla terra, come il senno di Orlando recu­pe­rato da Astolfo.

Mostri che ingur­gi­tano

Un astro che spa­ri­sce per poi riap­pa­rire, diviene natu­ral­mente meta­fora e tutore delle ceri­mo­nie di ini­zia­zione degli uomini e al tempo stesso inse­gna loro che la morte è la con­di­zione prin­ci­pale di ogni cam­bia­mento di stato, di ogni rige­ne­ra­zione. I ragazzi o le ragazze che par­te­ci­pano a una ceri­mo­nia ini­zia­tica sanno che dovranno sim­bo­li­ca­mente «spa­rire» (nella fore­sta, nella capanna delle ini­zia­zioni, nella pan­cia di un orso o di una balena, come Giona e Pinoc­chio) per un breve periodo, per poi ritor­nare nella civiltà con forma e sostanza mutate. Per le ragazze spesso l’iniziazione coin­cide con il menarca, la prima mestrua­zione. Que­sto deli­cato momento della vita verrà per­ciò indi­cato con la peri­frasi Quando le donne hanno la luna, come titola il libro dell’antropologa Gian­franca Rani­sio.

L’iniziazione spesso pre­vede che il neo­fita venga sim­bo­li­ca­mente inghiot­tito da un mostro. Diver­sa­mente può acca­dere che quest’ultimo ingoi la luna e quindi, secondo molte cul­ture popo­lari, avvenga un’eclissi. È inte­res­sante allora osser­vare come sia esat­ta­mente spe­cu­lare la rea­zione rituale degli esseri umani verso due feno­meni lon­tani anni luce (nel senso pro­prio del ter­mine), eppure miti­ca­mente e inti­ma­mente legati: eclissi e matrimonio.

In molte cul­ture, quando un’unione matri­mo­niale non è accet­tata o con­si­de­rata «ano­mala», si rea­gi­sce con un ceri­mo­niale popo­lare che con­si­ste essen­zial­mente nel far bac­cano con stru­menti improv­vi­sati, soprat­tutto con pen­tole e padelle (ulti­ma­mente abbiamo assi­stito a una coe­rente rifun­zio­na­liz­za­zione del rituale in chiave poli­tica per pro­te­stare con­tro il decreto «la buona scuola» del governo Renzi). Que­sta ceri­mo­nia popo­lare viene deno­mi­nata scam­pa­nata, cha­ri­vari, rough music, Katzen­mu­sik, cen­cer­rada, cace­ro­lazo (famoso quello del 13 marzo 2004 a Madrid, con­tro il governo di José Maria Aznar) e in vari altri modi.

Lican­tropi e vam­piri

In modo paral­lelo, quando avviene un’eclissi di luna, in varie parti della terra si pro­duce un bac­cano infer­nale per scon­giu­rare la scom­parsa dell’astro, rite­nuto in peri­colo di essere divo­rato da un mostro cosmo­lo­gico. Esi­stono varie teo­rie che spie­gano antro­po­lo­gi­ca­mente entrambi i ceri­mo­niali. Ten­tando una spie­ga­zione comune, potremmo dire che in entrambi i casi il rumore segnala, rende mani­fe­sta, un’anomalia: una rot­tura dell’ordine cosmico cau­sato dall’eclissi o un infran­gersi dell’ordine socio­lo­gico umano a causa di un’unione «non orto­dossa», non con­di­visa dalla «pub­blica morale».

Ovvia­mente, un astro che pre­siede ai muta­menti sarà rite­nuto respon­sa­bile di infi­nite forme di tra­sfor­ma­zione, com­prese quelle zoo­morfe in vam­piro o in lican­tropo. Il primo inne­stato sulla rap­pre­sen­ta­zione popo­lare della morte – si diviene vam­piro post mor­tem –, il secondo su quella della nascita – diviene lican­tropo il neo­nato o il feto espo­sto alla luna piena – entrambe le figure nascondo l’idea che l’ambivalenza insita nella con­di­zione umana, il male che è den­tro di noi e che si mani­fe­sta inces­san­te­mente in forme «mostruose», possa in qual­che modo tro­vare ori­gine e spie­ga­zione in quel lon­tano astro not­turno che influenza ogni momento del nostro vivere.
Un po’ come l’Otello di Sha­ke­speare: «È tutta colpa della luna, quando si avvi­cina troppo alla Terra fa impaz­zire tutti».

Il manifesto – 13 agosto 2015

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