La rivoluzione sovietica del 1917 è fallita anche perchè non ha saputo comprendere e proteggere i poeti di quel tempo. (fv)
“No,
mai di nessuno fui contemporaneo,\ non mi conviene tanto onore”.
Peggio: “Il mio omonimo, quanto mi disgusta”. È il 1924, a
ridosso dello smascheramento della rivoluzione sovietica –
Mandel’stam è impedito di pubblicare da un anno, e lo sarà ancora
per un decennio, per nessuna colpa. Già pessimista nel 1923: “Il
fragile calendario della nostra epoca si avvicina alla fine”.
Stalin non perdona, Mandel’stam come gli altri poeti suoi
contemporanei, Majakovskij compreso e Pasternak –
retrospettivamente, sembra impossibile che ci sia stata una
persecuzione dei poeti, occhiuta, perseverante, si penserebbe che il
potere ha altro di cui occuparsi, eppure… L’epigramma celebrato
del ’33 contro il dittatore sarà uno sfogo solo naturale, anche se
sancirà la fine del poeta al confino solitario.
Remo
Faccani riprende la prima traduzione di Mandel’stam, “Cinquanta
poesia”, e la allarga. Aggiornando la raccolta e la traduzione con
la filologia mandel’stamiana specialmente fertile da qualche anno.
Col recupero di alcuni componimenti delle prime raccolte, “Pietra”
e “Tristia”, di “fraseggio lapideo” (Serena Vitale): Di un
poeta attratto dall’ellenismo, dalla “vastità omerica”, e
quindi dall’“intellettualismo dantesco”. Sono poesie di maniera
giovanile, di saggezza acquisita, degli elementi,
dei
fremiti adolescenziali, l’anima, la notte, la fragile conchiglia,
Pietroburgo. Ma già con “la casa degli Usher” e “l’arpa di
Edgar” (Allan Poe). E lo sguardo libero: “Pesante fardello dello
snob settentrionale\ è il vecchio spleen di Onegin”.
Osip
Mandel’štam, Ottanta
poesie,
Einaudi, pp. XXXIV + 278 € 16
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