Un riscaldamento cosmico
Alberto CastagnolaIl fuoco divampa ovunque e l’intero pianeta è in fiamme. Dalla Sardegna alla Siberia, dal Canada alla Grecia, impazza la stagione dei roghi più estrema e più lunga degli ultimi 50 anni, alimentata – naturalmente – da lunghi periodi di caldo estremo e dalla mancanza di piogge. Varrebbe la pena, tuttavia, di provare ogni tanto a sfuggire alla tentazione di considerare queste tragedie come emergenze episodiche (o annuali) e calamità “naturali” (o comunque inevitabili) solo nei due o tre giorni in cui le loro drammatiche immagini conquistano i titoli di apertura dei tg e dei quotidiani web. Anche a questo serve la lettura “a distanza di tempo” che periodicamente ci invia Alberto Castagnola. Non si basa mai sul grido del momento ma prende in esame, in questo caso, soprattutto i dati relativi al 2020. Di più: leggere che tra il 1994 e il 2017 il pianeta ha perso 28mila miliardi di tonnellate di ghiaccio, vuol dire allontanarsi dall’ultimo disastro “della settimana” e forse riuscire a comprendere meglio – magari però esageriamo, chissà – la portata di quel che sta accadendo e il suo carattere progressivo
I dati relativi all’anno 2020 non lasciano dubbi e la tendenza è piuttosto chiara. L’aumento della temperatura media rispetto al 1981-2010 è di 1,6 gradi centigradi, analoga a quella registrata nel 2016, l’anno più caldo dell’ultimo quinquennio. È però da tenere presente che durante quell’anno record era attiva la corrente calda de El Nino, mentre nell’anno 2020 è stata registrata una Nina, che ha un effetto rinfrescante. Rispetto al periodo preindustriale, l’aumento della temperatura è stato del 1,25%.
Le emissioni complessive di CO2 sono aumentate del 2,3 %, malgrado la riduzione del 7% nelle zone colpite dalla pandemia a partire dal mese di marzo 2020. Se qualcuno si era illuso che la riduzione delle attività industriali avrebbe inciso molto sulle emissioni climalteranti, questi dati dovrebbero aver fatto capire che l’inquinamento atmosferico è causato da una serie di componenti che permangono attivi anche in presenza di milioni di morti e malati in forte aumento. Nell’Artico sono state immesse nell’atmosfera 244 mega tonnellate di C02, un terzo in più rispetto al 2019.
In diverse regioni la situazione può essere diversa dalla media: in Europa si registra un +0,4% nella temperatura, in Siberia invece si sono superati i 6 gradi centigradi a causa della presenza di grandi incendi. Nel Nord Atlantico si è verificato un numero record di tempeste tropicali, mentre sul monte Fiji in Giappone le neve non è mai stata così scarsa.
Il ghiaccio continua a scomparire. Tra il 1994 e il 2017 il pianeta ha perso 28mila miliardi di tonnellate di ghiaccio. La banchisa artica ne ha persi quasi 8mila miliardi di tonnellate, mentre il ghiaccio marino antartico si è ridotto di oltre 6mila miliardi di tonnellate, e la stessa quantità è scomparsa nei ghiacciai montani. <altre forti perdite si sono registarte in Groenlandia e nell’Antatrtide continentale.
Le rilevazioni via satellite confermano che lo scioglimento sta accelerando e dagli anni ’90 è aumentato del 57%. Lo scioglimento dei ghiacci sulla terraferma ha fatto aumentare di 35 millimetri il livello dei mari, mentre quello dei ghiacci marini riduce la capacità di riflettere i raggi solari, rafforzando la tendenza al riscaldamento del pianeta. Yn’altra fonte rende noto che in India è crollato un ghiacciaio nel fiume Dhanliganga e ha invaso una intera valle nello stato di Uttarakhand, causando 32 morti e 170 dispersi.
Ogni tanto si sente parlare del permafrost, in italiano si potrebbe tradurre “permagelo”, cioè un qualunque geo-materiale (detriti, terreno, roccia o suolo), e non necessariamente con acqua ghiacciata, che si trva ad una temperatura di 0 gradi o inferiore, per almeno due anni consecutivi.
Lo stato superficiale di permafrost è il più sensibile ai cambiamenti climatici. E può sciogliersi nel periodo estivo sia nelle regioni artiche che su monti più alti di 2600 metri nelle Alpi.
Circa la metà del carbonio organico sotterraneo del mondo si trova nelle regioni settentrionali del permafrost, però rappresenta circa il doppio della quantità di cabonio presente nell’atmosfera sotto forma di gas serra, biossido di carbonio e gas metano.
Quindi sono chiari i motivi della preocupazione che circonda lo scioglimento del permafrost a causa del riscaldamento globale, anche perchè potrebbe rilasciare nell’atmosfera grandi quantità di gas metano rimasto intrappolato nel terreno per millenni.
In Siberia il permafrost arriva anche alla profondità di 1500 metri, e questo strato non ha subito alcun decongelamento dall’ultima era glaciale, cioè diecimila anni fa. Sempre in Siberia, nel 2009 è stata scoperta la carcassa di un puledro risalente molto probabilmente all’Olocene. L’altra preoccupazione riguarda la possibilità di trovare negli strati profondi di permafrost dei microrganismi, virus e batteri, che potrebbero anche ritornare attivi e quindi pericolosi. Nell’agosto del 2016, nella penisola di Yamal, in Siberia, un ragazzo di 14 anni mori di antrace e una ventina di persone furono contagiate.
Antichi microorganismi intrappolati nel ghiaccio e nel permafrost potrebbero in effetti liberarsi nell’aria e riattivarsi con conseguenze imprevedibili. Nel permafrost delle Alpi Svizzere sono stati individuati un migliaio di microorganismi, buona parte sconosciuti.
Nei pressi di luoghi di sepoltura siberiani è stato scoperto un virus intatto dell’influenza spagnola del 2018 e si teme che ciò possa accadere anche per il vaiolo o addirittura per la peste bubbonica.
Sono disponibili dei nuovi e più accurati dati relativi alla temperatura degli oceani, elaborati da 13 istituti di ricerca di tutto il mondo. Il contenuto di calore complessivo dei mari è stato stimato in 21 zettajoule. Per far meglio comprendere questa unità di misura, nota solo agli scienziati del settore, la ricerca suggerisce di pensare a 630 miliardi di asciugacapelli tenuti accesi per un anno. Inoltre viene segnalato che in ciascuno degli ultimi decenni il mare è risultato più caldo del precedente e che i 5 anni più caldi sono quelli che iniziano nel 2015. I ricercatori fanno tuttavia notare che le rilevazioni non si sono spinte oltre i 2000 metri di profondità e che quindi queste primi indicazioni andranno riviste man mano che saranno disponibili altri dati, specie quelli riguardanti le correnti dei mari più profondi.
Sempre in relazione all’anno 2020, una grande società di assicurazioni, la Munich Re, ha reso noto il valore dei danni causati da disastri naturali, 210 miliardi di euro, dei quali 17 in Cina, e 13 negli Stati Uniti a seguito dell’uragano Laura, mentre il ciclone Amphan ne ha causati 14 in Thailandia, Bangladesh, India e Srilanka. In questi calcoli non sono incluse le vittime umane.
Gli eventi estremi continuano a verificarsi
Nel corso del 2020, la tempesta Chalane ha colpito il Mozambico e poi il Madagascar e lo Zimbabwe, gli incendi in Brasile sono stati 222.798, metà dei quali in Amazzonia, con un aumento del 12,7 rispetto al 2019, e facendo registrare il dato più elevato degli ultimi 10 anni.
Le frane, in genere a seguito di piogge torrenziali hanno colpito il sud della Norvegia, Papua-New Guinea e la Colombia, mentre le valanghe si sono verificate in Iran, con undici sciatori morti sui monti Elburz e altri in Svizzera e a Norilsk in Russia. Dati sempre più impressionanti riguardano le foreste, secondo il Wwf sono a rischio 43 milioni di ettari in 24 aree più esposte, mentre sono 8400 i chilometri quadrati coperti da vegetazione distrutti nel 2020, anche se questo dato è inferiore del 8% rispetto al 2019. Infine, anche la barriera corallina di Taiwan è a rischio per almeno un terzo della sua estensione a seguito del riscaldamento dei mari.
Dati più recenti riguardanti la grande barriera corallina nel nord-est dell’Australia evidenziano una volta di più i danni arrecati dal riscaldamento globale, che si accompagnano a quelli legati al deflusso degli scarichi agricoli, allo sviluppo urbano costiero e alla pesca. La lunghezza della barriera è di 2300 chilometri, l’area coperta misura 344.400 chilometri quadrati.
Le specie che vivono sulla barriera: più di 3000 molluschi, 2000 spugne, 1625 pesci, 1300 crostacei, 720 tunicati, 630 echinodermi, 500 vermi, 450 coralli duri, 150 coralli molli, 133 squali e razze, più di 100 meduse, 40 anemoni di mare, 31 mammiferi marini e più di 45 specie tra insetti marini, serpenti marini, tartarughe marine e ragni marini.
Come è noto, i coralli sono degli animali, ogni corallo è una colonia di numerosi piccoli polipi. Il gruupo include gli organismi costruttori, anemoni di mare e coralli molli. I coralli producono carbonato di calcio sotto forma di calcite e formano il tipico scheletro calcareo.
Le barriere sono colpite da una molteplicità di fenomeni climatici. Il riscaldamento degli oceani causa stress termico e spiancamento del corallo, l’innalzamento dei mari aumenta le sedimentazioni e causa il soffocamento dei coralli e ambedue questi fenomeni aumentano le malattie infettive.
Le variazioni delle tempeste, sempre più violente e frequenti, distruggono le strutture coralline; le variazione nelle precipitazioni aumentano il deflusso delle acque pulite e dei sedimenti inquinanti e causano la riduzione della luce per fioritura delle alghe e intorbidimento.
E ancora, le modifiche nelle correnti cambiano tutti gli equilibri ambientale e causano dispersione delle larve e carenza di cibo; l’acidificazione degli oceani riduce il livello di ph e causa riduzione dei tassi di crescita e e della integrità delle strutture. In sostanza i pesci della barrira corallina danno da mangiare a miliardi persone ma la pesca eccessiva e sregolata e i danni ambientali incidono in misura gravissima sulla sopravvivenza delle barriere coralline.
Un ampio articolo, apparso su Internazionale, a firma di D. Quammen, l’autore dei testi fondamentali per la conoscenza dello “spillover”, cioè il passaggio dagli animali all’uomo di virus come il Covid 19, descrive in modo magistrale il ruolo dei pipistrelli, che a loro volta sono oggi colpiti da un virus per loro letale diffuso da esseri umani.
La dinamica delle pandemie di questo tipo dovrà essere studiata con molta attenzione anche dopo la fine di quella che stiamo cercando di debellare da oltre un anno e mezzo, con perdite e sofferenze che colpiscono tutte le generazioni oggi presenti sul pianeta.
Fenomeni economici dannosi per l’ambiente
E’ sempre impegnativo evidenziare singoli meccanismi economici che dovrebbero essere modificati profondamente per poter finalmente cominciare a incidere su danni che ormai da molti anni continuiamo a infliggere al pianeta. Però i dati e le analisi resi disponibili negli ultimi tempi forniscono preziose indicazioni, non più trascurabili.
Un primo meccanismo da descrivere comprende tutte le produzioni di prodotti alimentari, che contribuiscono per oltre un terzo al flusso delle emissioni inquinanti e sulle quali sarà necessario intervenire anche in presenza di politiche incisive sulle fonti di energia fossile (delle quali al momento non vi è traccia), poichè scalderanno il pianeta di oltre 1,5 gradi nei prossimi 30-40 anni e di oltre 2 gradi entro il 2100. I ricercatori sottolineano il fatto che il settore alimentare è quello che ha visto i minori interventi di cambiamento verso una maggiore tutela ambientale, e sollecitano quindi una attenzione molto maggiore verso questa consistente fonte di inquinamento.
Un secondo settore finora piuttosto trascurato è quello del traffico navale, anzi l’Agenzia dell’Onu per la navigazione marittima ha di recente autorizzato di fatto un aumento delle emissioni del 15% nei prossimi 10 anni.
Per la precisione, un inquinamento di queste dimensioni era la stima fatta dai tecnici, e l’IMO l’ha portata al 14% per i prossimi dieci anni, in pratica un via libera alla crescita del settore, che rappresenta circa il 3% delle emissioni globali.
Un dato relativo all’anno 2018 stima in 8,7 milioni di morti le vittime dei fossili derivati del petrolio; in Italia la cifra arriva a 89.000, circa un quinto dei morti registrati in quell’anno, in gran parte causando rilascio di polveri sottili.
Negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno, l’acqua è quotata in borsa, con la sigla NQH20. Il prezzo base è fissato in relazione al costo dell’acqua per irrigazione in California, in realtà è un derivato finanziarioche può essere venduto e comprato a seconda dei livelli della siccità e della pioggia, ma può diventare oggetto di qualunque speculazione.
Non si può inoltre dimenticare che almeno un miliardo di persone nel mondo già oggi soffre per la scarsità d’acqua e sono almeno otto milioni ogni anno le vittime dovute alla carenza di acqua.
Non possiamo nemmeno dimenticare un traffico illegale, che incide in misura spesso sottovalutata sugli equilibri ambientali, il commercio di animali selvatici. Secondo uno studio condotto dall’Università di Sheffield, in Inghilterra, il mercato miliardario del contrabbando di animali selvatici è la principale ragione dell’estinzione delle specie.
I metodi adottati per far passare uova ed esemplari attraverso le varie dogane e la vita spericolata di un noto trafficante, J. Zillinger, ora pentito e che sta progettando uno zoo, sono descritti in un altro numero di Internazionale, ma ciò che impressiona di più sono le cifre altissime di questo mercato così trascurato.
Un meccanismo economico e sanitario piuttosto interessante, quello dei livelli di inquinamento di certe città, riguarda l’Italia e precisamente la città di Brescia, seguita da Bergamo, Vicenza e Saronno. Sono comprese tra le 10 città europee dove si muore per eccesso di polveri sottili, le Pm 2,5, che presentano un’elevata capacità di penetrazione nelle vie respiratorie.
La fonte è Lancet, che pubblica un rapporto sulla Salute del Pianeta 2021, che ha elaborato i dati relativi a circa un migliaio di città europee. Da alcuni mesi è in corso una ricerca condotta da Istituto Superiore di Sanità e e Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente che ha lo scopo di verificare se l’aria fortemente inquinata abbia reso il sistema respiratorio umano più suscettibile all’infezione e alle complicazioni del coronavirus.
Continua la corsa al litio, un materiale essenziale per le batterie delle auto elettriche e per i Pc portatili. Si è scoperto che il Portogallo dispone di importanti giacimenti, stimati in 280 mila tonnellate di questo metallo alcalino. Finora il 55% degli scambi relativi proviene dall’Australia.
Metà delle riserve mondiali si trova ad Atacama, in Cile, euna parteè anche in Argentina, dove però i giacimenti sono in salamoia e quindi deve prima essere eliminata l’acqua. L’Unione Europe ha deciso che cercherà di aumentare l’offerta di litio di 18 volte entro il 2030. Si parla anche di come recuperare il litio già utilizzato, in quanto almeno mezzo milione di tonnellate è già impiegato in diversi settori industriali, però i costi di queste operazioni di riutilizzo sono ancora piuttosto elevati.
Alcuni studi hanno rivelato che la crisi climatica incide anche sulla fertilità umana, per l’inquinamento e le radiazioni, i telefonini, l’alcool, la dieta, il fumo e le droghe, la plastica specie in microparticelle, i pesticidi ancora largamente utilizzati, imetalli pesanti, gli additivi e i conservanti.
La concentrazione di spermatozoi si è molto ridotta, da 90 a 47, cioè del 52,4%. In Italia risulta diminuità del 30%. Quindi la riduzione delle nascite, oltre che da fattori sociali ed economici, è fortemente influenzata da meccanismi ambientali.
Una notizia interessante riguarda i cavi sottomarini. Sembra che il 90% dipenda da Facebook, e quindi anche dalle grandi multinazionali della comunicazione, mentre Google controlla il cavo Dunant tra Virginia Beach e Nantes, e Orange sta coscruendo un cavo verso l’India, attraversando l’Arabia Saudita ed israele.
Infine, una notizia “cosmica”. Sembra che la sparizione dei dinosauri 66 milioni di anni fa, sia dovuta non ad un meteorite ma ad una cometa che ha colpito lo Yucatan creando un cratere dove recenti scavi hanno scoperto della “condrite carboniosa”, sostanza tipica delle comete.
Articolo ripreso da https://comune-info.net/un-riscaldamento-cosmico/
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