16 agosto 2021

PASOLINI E SCIASCIA: ULTIMI ERETICI

           Da https://mauriziodigiangiacomo.wordpress.com/2021/08/13/eretici-in-italia-non-ce-ne-sono-piu riprendo questo pezzo:

Filippo La Porta ha raccolto in “Pasolini e Sciascia – Ultimi eretici” gli interventi dei relatori dell’omonimo convegno: difficile accomunare PPP e lo scrittore siciliano, ancora più difficile trovare un loro erede nel nostro disperato paese

Uno dalla parte dei poliziotti, nel 1968, dopo gli scontri con gli universitari a Valle Giulia; l’altro contro i “professionisti dell’antimafia” nel 1987, per citare gli esempi più noti. Più eretici di così è difficile. Indicare Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia come “ultimi eretici” italiani e accomunarli, però, non è cosa facile. Ci hanno provato, e direi che ci sono riusciti, i relatori del convegno organizzato dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini. Gli interventi di Daniela Marcheschi, Andrea Cortellessa, Guido Vitiello, Bruno Pischedda, Ricciarda Ricorda, Giuseppe Traina, Roberto Andò e Roberto Chiesi sono stati raccolti da Filippo La Porta nel saggio intitolato appunto Pasolini e Sciascia – Ultimi eretici (Marsilio, 175 pagine).

Un servizio televisivo sul convegno

Certo è che Pasolini e Sciascia vissero e scrissero nella convinzione che la letteratura (quantomeno la loro) fosse verità: PPP pretende di conoscerla appunto perché scrittore e intellettuale, senza averne le prove (“Io so”); Sciascia ritiene d’interpretarla, pur rendendola più oscura, non con l’oscurità dell’ignoranza, dell’inespresso, bensì proprio con quella dell’espresso. Affermava Sciascia: “E che cos’è uno scrittore? Da parte mia ritengo che uno scrittore sia un uomo che vive e fa vivere la verità, che estrae dal complesso il semplice, che sdoppia e raddoppia – per sé e per gli altri – il piacere di vivere. Anche quando rappresenta terribili cose”. Come spiega nel volume Daniela Marcheschi, per Pasolini la verità è invece tutto ciò che è autentico, non alienato dall’ingranaggio dell’omologazione, arrivando a scrivere che “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”.

Leonardo Sciascia parla della morte di Pier Paolo Pasolini

Spiega Pischedda che quello tra Pasolini e Sciascia fu un sodalizio lungo e duraturo, nato negli anni Cinquanta, legato a questioni poetico-linguistiche. L’attenzione al dialetto prima lì unì, poi li divise: infatti, il poeta e cineasta di Casarsa della Delizia lo riteneva prerogativa dell’uomo delle origini, forma culturale non corrotta dal capitalismo e dal progresso e quindi meritevole di essere recuperato (e usato per le sue liriche); il romanziere di Racalmuto lo praticò agli esordi, lo amò e lo parlò spesso, ma ritenne presto inutile opporsi all’avanzata della lingua italiana, soprattutto nei riguardi dei giovani. Una lunghissima frequentazione, la loro, molto assidua anche per il tramite delle pagine della loro attività saggistica, con l’apogeo post mortem costituito dalla citazione da parte di Sciascia dell’articolo delle lucciole nell’introduzione a L’affaire Moro, peraltro commentatissima. Un’amicizia che superò momenti difficili, come quello provocato dal pregiudizio di Sciascia nei confronti dell’omosessualità, meglio, delle frequentazioni di Pasolini; e quello motivato da giudizi non sempre lusinghieri di PPP sulle opere del collega siciliano. Come sottolinea nel libro Giuseppe Traina, Sciascia nota che Pasolini “trovava adorabili quelli che inevitabilmente sarebbero stati strumenti della sua morte”.

Un altro servizio televisivo sul convegno

Ma torniamo alla tesi del convegno e della stessa raccolta di saggi: la qualità non solo di eretici di PPP e Sciascia, che ci pare indiscutibile (e raramente discussa), ma di ultimi tra gli intellettuali controcorrente italiani. Tra i relatori qualcuno ha azzardato i nomi di alcuni possibili eredi dei due intellettuali. A nostro avviso scrive bene invece Roberto Andò nel suo toccante intervento. Pasolini e Sciascia sono gli ultimi perché non hanno avuto eguali, perché nel nostro disperato paese “pure l’eresia, quell’eresia che fu il blasone della loro maniera di intendere la letteratura, sembra oggi non avere più cittadinanza. Come si vede, ai giorni nostri uno scrittore si professa eretico solo per assecondare una strategia di comunicazione”.

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