03 gennaio 2014

ADORNO E CANETTI: METAMORFOSI E POTERE

Teseo e il minotauro


Una intervista radiofonica diviene il punto di avvio di un serrato dialogo sulla modernità e su una possibile «resistenza alla dominazione». 

Ubaldo Fadini,

Microfono aperto tra Theodor Adorno e Elias Canetti

Almeno due grandi temi emer­gono dal com­plesso di que­stioni affron­tate nella con­ver­sa­zione del marzo del 1962 tra Theo­dor W. Adorno ed Elias Canetti, che sta al cen­tro dell'intrigante ed eccen­trico lavoro di Fabri­zio Denun­zio: Meta­mor­fosi e potere. Il con­flitto vitale tra Canetti e Adorno (Ombre corte). Pos­sono essere rias­sunti, dalla parte del "vitale" e pro­iet­tato sull'autore di Massa e potere, in que­sti ter­mini: il rag­giun­gi­mento dell'autonomia con­creta del sog­getto muove non dalla paura rispetto a ciò che è arcaico e che abi­tual­mente viene letto come desti­na­zione dell'umano nel senso della regres­sione; accanto a ciò, la con­si­de­ra­zione dell'«io» come pos­si­bi­lità di libe­ra­zione, di dive­nire, sulla base di un apprez­za­mento delle sue capa­cità meta­mor­fi­che (sullo sfondo delle aper­ture «dif­fi­cili» della «Grande Vienna»: da Karl Kraus a Robert Musil, arri­vando poi alle «penul­time» pagine di Inge­borg Bachmann).

Lo spa­zio della soddisfazione

Que­sti temi sono stati recen­te­menti ripresi da inter­preti attenti a riflet­tere sul rap­porto tra paura, aggres­si­vità e vio­lenza oppure sulle dia­gnosi più radi­cali del potere e del comando (penso qui soprat­tutto a Danilo Zolo e Gia­como Mar­ra­mao) e l'orizzonte teo­rico che li acco­muna è quello deli­neato da una com­pren­sione dell'opera com­ples­siva di Canetti come occa­sione di sti­molo, ancora oggi attuale, per l'elaborazione di una teo­ria sociale e poli­tica all'altezza della rile­va­zione dell'accentuarsi dei carat­teri di vul­ne­ra­bi­lità e di incer­tezza pro­pri della sog­get­ti­vità con­tem­po­ra­nea. In que­sta pro­spet­tiva, si sono appro­fon­diti e fatti sem­pre più sofi­sti­cati i son­daggi cri­tici nel «corpo» dell'analisi di Massa e potere, anche con l'idea di ritro­vare in que­sto «grande libro» indi­ca­zioni impor­tanti per ripen­sare pro­fi­cua­mente la misura della presa di distanza, del limite, della rea­liz­za­zione di uno spa­zio di even­tuale sod­di­sfa­zione per ciò che si esprime nelle dina­mi­che di rela­zione, di incon­tro tra i soggetti.

Elias Canetti

















Una vitale performance

Anche Denun­zio punta sull'originalità della teo­ria sociale deli­neata da Canetti, su base «antro­po­lo­gica», ridi­se­gnan­done il carat­te­ri­stico pro­filo mediante il con­fronto con le posi­zioni di un'altra teoria sociale d'indubbio peso con­cet­tuale e per­so­ni­fi­cata, nella con­ver­sa­zione del '62, da Adorno. Ed è pro­prio da un'analisi della per­for­mance ador­niana all'interno della tra­smis­sione radio­fo­nica nella quale la con­ver­sa­zione si svi­luppa che Denun­zio muove per cogliere l'apparentemente para­dos­sale – e però «vin­cente» — uti­lizzo di un mezzo di comu­ni­ca­zione di massa da parte di uno stu­dioso par­ti­co­lar­mente ostile nei con­fronti di una moda­lità espres­siva dell'industria cul­tu­rale (messa a tema nella Dia­let­tica dell'Illuminismo), con il suo effetto di dila­gante e mas­sivo «instupidimento».

Il con­dut­tore dell'intervista/conversazione (Adorno) con­trolla l'intervistato (Canetti) in modo tale da defi­nirne i limiti della sua per­for­mance, nel senso di pre­sen­tare al radioa­scol­ta­tore un testo paral­lelo al vero e pro­prio Massa e potere, sotto forma di una sin­tesi inte­res­sata a sot­to­li­neare gli aspetti di cri­ti­cità del testo rispetto alla ricon­ferma degli assunti fon­da­men­tali della «tra­di­zione» fran­co­for­tese, lasciando ai mar­gini ciò che avrebbe potuto rap­pre­sen­tare un segnale di discon­ferma, dalla parte di Canetti, della pre­tesa di soli­dità di tale linea di ricerca. Ma c'è di più: impor­tanti sono anche le con­ti­nue inter­ru­zioni, che ren­dono del tutto natu­rale che la que­stione del comando sia appunto rele­gata nella parte finale della con­ver­sa­zione, con poco tempo a dispo­si­zione, oltre che l'esibizione cal­co­lata di una «indif­fe­renza» sostan­ziale nei con­fronti della figura-chiave della metamorfosi.

In que­sta sua rico­stru­zione, Denun­zio fa leva su stru­menti pre­ziosi della più avan­zata socio­lo­gia dei pro­cessi comu­ni­ca­tivi e nello stesso tempo si richiama ad autori «clas­sici» come Erving Gof­f­man (che gli per­mette di vedere l'intervista come un «sistema situato di atti­vità») e Wal­ter Ben­ja­min, al quale già in pas­sato ha dedi­cato una signi­fi­ca­tiva e costante atten­zione, non dimen­ti­cando di sot­to­li­neare, nei con­fronti di tutto que­sto, il rilievo d'accordare ad alcune intui­zioni di Gram­sci a pro­po­sito del rap­porto tra pro­cessi di tra­sfor­ma­zione del lin­guag­gio e cre­scita dell'influenza dei «media» (della radio­fo­nia in particolare).

Ciò che però più col­pi­sce, anche in rela­zione ai primi inter­preti ita­liani dell'opera canet­tiana (penso qui soprat­tutto a Furio Jesi), è la sot­to­li­nea­tura da parte di Denun­zio del carat­tere posi­tivo e pro­dut­tivo, ben spen­di­bile oggi, di una serie di prese di posi­zione ope­rate da Canetti e sot­til­mente – e ine­vi­ta­bil­mente: dal suo punto di vista – con­te­state da Adorno. Ciò che impres­siona sfa­vo­re­vol­mente (sul piano appunto teo­rico) il cri­tico fran­co­for­tese, cioè la «sog­get­ti­vità dell'approccio», il fatto che ci sia «troppa imma­gi­na­zione in un trat­tato socio-antropologico», il che ren­de­rebbe il tutto non per­fet­ta­mente com­pa­ti­bile con una ela­bo­ra­zione scien­ti­fica coe­rente, è invece da con­si­de­rarsi come un punto di forza di Massa e potere, anche in virtù del suo regi­stro «nar­ra­tivo». Quel regi­stro che può essere affer­rato lad­dove si colga il vero e pro­prio motivo di con­tra­sto teo­rico tra i due inter­lo­cu­tori, vale a dire la diversa let­tura del mito, dell'«arcaico», che per lo stu­dioso fran­cor­for­tese rap­pre­senta qual­cosa di essen­zial­mente nega­tivo anche e soprat­tutto lad­dove entra a far parte, come «ci» spiega Canetti, dello sta­tuto di espres­sione piena dell'esperienza delle masse.

Theodor W. Adorno





















Ulisse va in società

Imma­gi­na­zione e arcai­cità por­tano in fondo ad una pre­va­lenza della rap­pre­sen­ta­zione sui con­cetti e alla com­parsa di sin­tomi di regres­sione: così Adorno (e poi più tardi Alex Hon­neth), men­tre invece per Canetti vale l'idea che il mito sia «pieno di meta­mor­fosi», che possa dun­que essere anche com­preso come vei­colo, meglio: vet­tore, di meta­mor­fosi, di pos­si­bile «resi­stenza alla dominazione».

La figura-chiave, in que­sta dire­zione, è Ulisse, del quale Canetti e Adorno (e Max Hor­khei­mer) danno appunto due illu­stra­zioni radi­cal­mente diverse. Deci­siva è allora – e in effetti fer­tile ancora oggi – l'idea di meta­mor­fosi rife­rita agli assetti di una sog­get­ti­vità pro­ces­suale come quella con­tem­po­ra­nea, da col­lo­carsi all'interno di un qua­dro di società dove ciò che viene banal­mente spac­ciato come arcaico può anche rive­lare, a ben vedere, quell'invariante dell'umano (la meta­mor­fosi) che rimane se stessa diven­tando altro.
il manifesto | 03 Gennaio 2014
Fabri­zio Denun­zio
Meta­mor­fosi e potere.
Il con­flitto vitale tra Canetti e Adorno
Ombre corte, 2013
13 euro

Nessun commento:

Posta un commento