21 agosto 2015

A. SCHWARZ. L' ULTIMO SURREALISTA



«Sono uno degli ultimi Mohicani nel senso che credo di essere tra i pochi sopravvissuti tra quelli che hanno lavorato con André Breton, conosciuto la maggior parte dei pittori che presento in questa mostra, partecipato all’esaltante avventura surrealista e vissuto una stagione profondamente coinvolgente ed emozionante». Così Arturo Schwarz, l'ultimo degli intellettuali militanti con Trotsky e Breton.

Fabio Francione

Arturo Schwarz, novant’anni di festa surrealista

A dar retta ad un «insi­stente pet­te­go­lezzo» gli ultimi rigur­giti del Sur­rea­li­smo si ebbero nel 1969, l’anno dell’allunaggio di Neil Arm­strong e Buzz Aldrin e di Wood­stock, il primo raduno rock media­tico segnato dall’isterismo soul-blues di Joe Coc­ker e dalla «sua» With a Lit­tle help from my Friends e gli slo­gan della mag­gior parte delle «fan­ta­sie al potere», salite alla ribalta solo l’anno pre­ce­dente, erano già tinte, come si vedrà, di un postic­cio futuro.

Tre anni prima era morto il suo «papa», André Bre­ton. Dun­que non pare un caso che Il Sur­rea­li­smo. Ribel­lione e imma­gi­na­zione di Paola Décina Lom­bardi chiuda i gio­chi di Bre­ton e com­pa­gnia tra il 1919 e il 1969.

Ma, a scom­pa­gi­nare le carte dalla metà del ‘900 c’è un uomo, Arturo Sch­warz che indo­mi­ta­mente a 90 anni più che suo­nati con­ti­nua l’avventura sur­rea­li­sta: «Sono uno degli ultimi Mohi­cani nel senso che credo di essere tra i pochi soprav­vis­suti tra quelli che hanno lavo­rato con André Bre­ton, cono­sciuto la mag­gior parte dei pit­tori che pre­sento in que­sta mostra, par­te­ci­pato all’esaltante avven­tura sur­rea­li­sta e vis­suto una sta­gione pro­fon­da­mente coin­vol­gente ed emo­zio­nante». Il cam­pione pri­vato è uno dei tanti che innerva l’ultima pro­du­zione di Sch­warz.

Il pre­lievo arriva dalla mostra «Max Ernst e i suoi amici sur­rea­li­sti», anno 2002, e il testo d’ingresso s’intitola Il Sur­rea­li­smo, una filo­so­fia della vita: «Mi si per­metta una nota per­so­nale: sono nato nel 1924, 78 anni fa, ad Ales­san­dria d’Egitto nel mese di feb­braio, e cioè lo stesso mese di nascita di André Bre­ton, men­tre fu pro­prio nel 1924 che venne pub­bli­cato il primo Mani­fe­sto del Sur­rea­li­smo. Ho ini­ziato a cor­ri­spon­dere con Bre­ton, che allora risie­deva a New York, nel 1944.
 
 
 
 Diego Rivera, Trotsky e Breton
 
 
 Gli inviai le mie poe­sie e gli espressi la mia ammi­ra­zione per il poeta e l’uomo che, negli anni in cui imper­ver­sava lo sta­li­ni­smo più acceso, si era schie­rato, sin dal 1936, in difesa di Léon Tro­tsky (l’ortografia è quella dei suoi biglietti da visita, uno dei quali, con il suo auto­grafo che doveva ser­virmi da lascia­pas­sare, con­servo tutt’ora). Bre­ton ci ha lasciato nel 1966, in seguito a una crisi d’asma, ma non per que­sto il Sur­rea­li­smo è morto con lui».

Tutto rista­bi­lito? Quasi. «Il Sur­rea­li­smo e’ morto? Come movi­mento forse, cer­ta­mente non come stato d’animo». Sch­warz cita Apol­li­naire, uno dei pre­cur­sori del Sur­rea­li­smo, dato già per defunto nel 1930 e ai «coc­co­drilli» del tempo Bre­ton con sar­ca­smo scri­veva che il movi­mento non cor­reva «alcun serio rischio d’aver ter­mine, fin quando l’uomo sarà in grado di distin­guere un ani­male da una fiamma e da una pie­tra». E in Ita­lia? Un vero e pro­prio sur­rea­li­smo ita­liano non è esi­stito, pochi i nomi, tutti in ambito arti­stico, Gior­gio De Chi­rico e il fra­tello Andrea «Alberto Savi­nio», più che altro arruo­lati nella wun­der­kam­mer sur­rea­li­sta. Di que­sti anni è un ten­ta­tivo mal­con­cio di indi­vi­duare un «sur­rea­li­smo padano». In let­te­ra­tura da regi­strare il ten­ta­tivo jacob­biano di sto­ri­ciz­zare un «sur­rea­li­smo all’italiana».

Feno­meni, peral­tro estra­nei, alla ricerca di Sch­warz che, oggi, come detto, ha pas­sato i 90 anni e per cele­brare il rag­guar­de­vole tra­guardo esi­sten­ziale, ha voluto tirar le somme della sua lunga fedeltà a Bre­ton e al suo movi­mento dando alle stampe Il Sur­rea­li­smo. Ieri e oggi. Sto­ria, filo­so­fia, poli­tica (Skira, Milano, 2014, pp. 546 + pp. 856 su cd, euro 59).

Que­sta auten­tica festa sur­rea­li­sta, tre libri in uno, i primi due con­ten­gono una lunga intro­du­zione e una geo­gra­fia anto­lo­gica del Sur­rea­li­smo map­pata per testi inviati da tutto il mondo per l’occasione, il terzo tas­so­no­mico su cd a indi­ciz­zare biblio­gra­fie e rivi­ste, perio­dici, fogli sur­rea­li­sti dal 1919 al 2000 e espo­si­zioni dal 1924 al 2010, trac­ciate nella discon­ti­nuità Bre­ton vivo, Bre­ton morto.
    Marcel Duchamp e Arturo Schwarz

E pro­prio seguendo le tracce dell’autore di Nadja si pia­strella l’avventura sur­rea­li­sta di Sch­warz. Circa trent’anni fa durante una con­fe­renza sull’eredità cul­tu­rale di Jung, il nostro lasciava un altro spic­chio per­so­nale: «Mi accorgo ora di un fatto sin­go­lare: le opere che ebbero mag­gior influenza sulla mia for­ma­zione furono pub­bli­cate nel 1924, l’anno della mia nascita, se a quelle ora ricor­date di Freud, Rank e Ferenczi vogliamo aggiun­gere anche Oriente e Occi­dente di René Gué­non, Let­te­ra­tura e rivo­lu­zione di Lev Tro­tsky e, fra tutte per me deter­mi­nante, il Mani­fe­sto del Sur­rea­li­smo di André Bre­ton». Ai quali va aggiunto anche Il mani­fe­sto del Par­tito Comu­ni­sta di Marx ed Engels, curio­sa­mente mai citato da Sch­warz come non va dimen­ti­cata la sua pro­ve­nienza da una città che diede i natali a filo­sofi e mate­ma­tici come Euclide e Ipa­zia e nella moder­nità a poeti ‘eso­te­rici’ come Kava­fis, Mari­netti e Unga­retti, e in tempi recenti a musi­ci­sti come Geor­ges Mou­staki e Deme­trio Stra­tos. Una sin­go­lare coin­ci­denza o come la chia­merà tanto per ripren­dere la ter­mi­no­lo­gia bre­to­niana «un caso di hasard objectif»?
Sta il fatto che il «padre adot­tivo» gui­derà la sua for­ma­zione di poeta bilin­gue (pub­blicò per anni in fran­cese con lo pseu­do­nimo di Tri­stan Sau­vage), edi­tore (tal­volta pen­tito per la pub­bli­ca­zione di alcuni libri sta­li­ni­sti), scrit­tore, cri­tico, gal­le­ri­sta e mer­cante d’arte, cura­tore di mostre (le sue punte di dia­mante furono «Arte e Alchi­mia» alla Bien­nale del 1986 e sopra­tutto «I sur­rea­li­sti» a Milano tre anni dopo), stu­dioso di Alchi­mia e di Kab­ba­lah, di dot­trine indiane e di psi­coa­na­lisi.

Scri­verà sul suo essere ebreo (sot­to­li­neato dall’iconico «quasi» sur­rea­li­sta), apo­lide per costri­zione, ita­liano per scelta, mila­nese per ado­zione; amico di Man Ray e Max Ernst, lui stesso pit­tore per diletto, sue opere si fer­mano agli anni ses­santa, e di Duchamp, con cui gio­cava a scac­chi oltre a ven­der­gli le opere o a con­vin­cerlo ad esporre; non ebbe timore, nella difesa oltran­zi­sta della memo­ria di Tro­tsky, mancò l’appuntamento con lui di due set­ti­mane, di pren­dere a calci in culo il «mura­li­sta» mes­si­cano Siquei­ros e di schiaf­feg­giare in pub­blico il padre del dadai­smo Tri­stan Tzara.

Essen­ziale la sua pro­du­zione memo­ria­li­stica, anche per pro­cura: L’avventura sur­rea­li­sta. Amore e rivo­lu­zione, anche e Bre­ton e Tro­tsky. Sto­ria di un’amicizia. Al 2007 risale la rac­colta di Tutte le poe­sie, quasi 1941–2007. Raf­fi­na­tis­simo ese­geta e divul­ga­tore, com­pila schede, annota, tra­duce e pub­blica tra le tante l’Antologia dei poeti sur­rea­li­sti di Ben­ja­min Peret, altro «geni­tore adot­tivo» e mae­stro, poi rifusa nel cata­logo Maz­zotta de I sur­rea­li­sti. Superbi i volumi usciti per Gar­zanti negli «anni zero»: Cab­balà e Alchi­mia e La donna e l’amore ai tempi dei miti. Quest’ultimo rico­gni­zione «ini­zia­tica ed ero­tica del fem­mi­nile» che si chiude con un capi­tolo dedi­cato alla «visione sur­rea­li­sta dell’amore folle» e della donna, carico di futuro e non pie­na­mente com­preso.

Così il discorso arti­stico poli­tico e filo­so­fico si ria­pre e i vent’anni di lavoro de Il Sur­rea­li­smo ieri e oggi sem­brano som­mare tutte le espe­rienze nella volontà e nel desi­de­rio di com­pren­dere se stessi per cam­biare il mondo.


Il Manifesto – 8 agosto 2015
 

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