«Sono uno degli
ultimi Mohicani nel senso che credo di essere tra i pochi
sopravvissuti tra quelli che hanno lavorato con André Breton,
conosciuto la maggior parte dei pittori che presento in questa
mostra, partecipato all’esaltante avventura surrealista e vissuto
una stagione profondamente coinvolgente ed emozionante». Così
Arturo Schwarz, l'ultimo degli intellettuali militanti con Trotsky e
Breton.
Fabio Francione
Arturo Schwarz, novant’anni di
festa surrealista
A dar retta ad un
«insistente pettegolezzo» gli ultimi rigurgiti
del Surrealismo si ebbero nel 1969, l’anno
dell’allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin e di
Woodstock, il primo raduno rock mediatico segnato
dall’isterismo soul-blues di Joe Cocker e dalla «sua»
With a Little help from my Friends e gli slogan
della maggior parte delle «fantasie al potere»,
salite alla ribalta solo l’anno precedente, erano già
tinte, come si vedrà, di un posticcio futuro.
Tre anni prima era morto
il suo «papa», André Breton. Dunque non pare un caso che
Il Surrealismo. Ribellione e immaginazione
di Paola Décina Lombardi chiuda i giochi di Breton
e compagnia tra il 1919 e il 1969.
Ma, a scompaginare
le carte dalla metà del ‘900 c’è un uomo, Arturo Schwarz
che indomitamente a 90 anni più che suonati
continua l’avventura surrealista: «Sono
uno degli ultimi Mohicani nel senso che credo di essere tra
i pochi sopravvissuti tra quelli che hanno lavorato
con André Breton, conosciuto la maggior parte dei
pittori che presento in questa mostra, partecipato
all’esaltante avventura surrealista e vissuto
una stagione profondamente coinvolgente
ed emozionante». Il campione privato è uno
dei tanti che innerva l’ultima produzione di Schwarz.
Il prelievo arriva
dalla mostra «Max Ernst e i suoi amici surrealisti»,
anno 2002, e il testo d’ingresso s’intitola Il
Surrealismo, una filosofia della vita: «Mi
si permetta una nota personale: sono nato nel 1924, 78
anni fa, ad Alessandria d’Egitto nel mese di febbraio,
e cioè lo stesso mese di nascita di André Breton, mentre
fu proprio nel 1924 che venne pubblicato il primo
Manifesto del Surrealismo. Ho iniziato
a corrispondere con Breton, che allora
risiedeva a New York, nel 1944.
Diego Rivera, Trotsky e Breton
Gli inviai le mie poesie
e gli espressi la mia ammirazione per il poeta
e l’uomo che, negli anni in cui imperversava lo
stalinismo più acceso, si era schierato, sin dal
1936, in difesa di Léon Trotsky (l’ortografia è quella
dei suoi biglietti da visita, uno dei quali, con il suo autografo
che doveva servirmi da lasciapassare, conservo
tutt’ora). Breton ci ha lasciato nel 1966, in seguito a una
crisi d’asma, ma non per questo il Surrealismo
è morto con lui».
Tutto ristabilito?
Quasi. «Il Surrealismo e’ morto? Come movimento
forse, certamente non come stato d’animo». Schwarz
cita Apollinaire, uno dei precursori del
Surrealismo, dato già per defunto nel 1930 e ai
«coccodrilli» del tempo Breton con sarcasmo
scriveva che il movimento non correva «alcun serio
rischio d’aver termine, fin quando l’uomo sarà in grado di
distinguere un animale da una fiamma e da una
pietra». E in Italia? Un vero e proprio
surrealismo italiano non è esistito,
pochi i nomi, tutti in ambito artistico, Giorgio De
Chirico e il fratello Andrea «Alberto Savinio»,
più che altro arruolati nella wunderkammer
surrealista. Di questi anni è un
tentativo malconcio di individuare un
«surrealismo padano». In letteratura
da registrare il tentativo jacobbiano di
storicizzare un «surrealismo
all’italiana».
Fenomeni, peraltro
estranei, alla ricerca di Schwarz che, oggi, come detto, ha
passato i 90 anni e per celebrare il
ragguardevole traguardo esistenziale,
ha voluto tirar le somme della sua lunga fedeltà a Breton
e al suo movimento dando alle stampe Il Surrealismo.
Ieri e oggi. Storia, filosofia, politica
(Skira, Milano, 2014, pp. 546 + pp. 856 su cd, euro 59).
Questa autentica
festa surrealista, tre libri in uno, i primi due
contengono una lunga introduzione e una
geografia antologica del Surrealismo
mappata per testi inviati da tutto il mondo per l’occasione,
il terzo tassonomico su cd a indicizzare
bibliografie e riviste, periodici, fogli
surrealisti dal 1919 al 2000 e esposizioni
dal 1924 al 2010, tracciate nella discontinuità
Breton vivo, Breton morto.
Marcel Duchamp e Arturo Schwarz
E proprio
seguendo le tracce dell’autore di Nadja si piastrella
l’avventura surrealista di Schwarz. Circa
trent’anni fa durante una conferenza sull’eredità
culturale di Jung, il nostro lasciava un altro spicchio
personale: «Mi accorgo ora di un fatto singolare:
le opere che ebbero maggior influenza sulla mia formazione
furono pubblicate nel 1924, l’anno della mia nascita, se
a quelle ora ricordate di Freud, Rank e Ferenczi
vogliamo aggiungere anche Oriente e Occidente di René
Guénon, Letteratura e rivoluzione
di Lev Trotsky e, fra tutte per me determinante, il
Manifesto del Surrealismo di André
Breton». Ai quali va aggiunto anche Il manifesto del
Partito Comunista di Marx ed Engels, curiosamente
mai citato da Schwarz come non va dimenticata la sua
provenienza da una città che diede i natali
a filosofi e matematici come Euclide
e Ipazia e nella modernità a poeti
‘esoterici’ come Kavafis, Marinetti
e Ungaretti, e in tempi recenti a musicisti
come Georges Moustaki e Demetrio Stratos.
Una singolare coincidenza o come la
chiamerà tanto per riprendere la terminologia
bretoniana «un caso di hasard objectif»?
Sta il fatto che il
«padre adottivo» guiderà la sua formazione di
poeta bilingue (pubblicò per anni in francese con lo
pseudonimo di Tristan Sauvage), editore
(talvolta pentito per la pubblicazione di
alcuni libri stalinisti), scrittore, critico,
gallerista e mercante d’arte, curatore
di mostre (le sue punte di diamante furono «Arte e Alchimia»
alla Biennale del 1986 e sopratutto «I
surrealisti» a Milano tre anni dopo), studioso
di Alchimia e di Kabbalah, di dottrine
indiane e di psicoanalisi.
Scriverà sul suo
essere ebreo (sottolineato dall’iconico «quasi»
surrealista), apolide per costrizione,
italiano per scelta, milanese per adozione; amico di
Man Ray e Max Ernst, lui stesso pittore per diletto, sue
opere si fermano agli anni sessanta, e di Duchamp, con
cui giocava a scacchi oltre a vendergli
le opere o a convincerlo ad esporre; non ebbe timore,
nella difesa oltranzista della memoria di Trotsky,
mancò l’appuntamento con lui di due settimane, di
prendere a calci in culo il «muralista»
messicano Siqueiros e di schiaffeggiare
in pubblico il padre del dadaismo Tristan Tzara.
Essenziale la sua
produzione memorialistica, anche per
procura: L’avventura surrealista. Amore
e rivoluzione, anche e Breton e Trotsky.
Storia di un’amicizia. Al 2007 risale la raccolta di
Tutte le poesie, quasi 1941–2007. Raffinatissimo
esegeta e divulgatore, compila schede,
annota, traduce e pubblica tra le tante l’Antologia
dei poeti surrealisti di Benjamin Peret,
altro «genitore adottivo» e maestro, poi rifusa
nel catalogo Mazzotta de I surrealisti.
Superbi i volumi usciti per Garzanti negli «anni zero»:
Cabbalà e Alchimia e La donna e l’amore
ai tempi dei miti. Quest’ultimo ricognizione
«iniziatica ed erotica del femminile» che
si chiude con un capitolo dedicato alla «visione
surrealista dell’amore folle» e della donna,
carico di futuro e non pienamente compreso.
Così il discorso
artistico politico e filosofico si riapre
e i vent’anni di lavoro de Il Surrealismo ieri
e oggi sembrano sommare tutte le esperienze nella
volontà e nel desiderio di comprendere se
stessi per cambiare il mondo.
Il Manifesto – 8 agosto 2015
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