Riprendiamo dal sito http://www.nazioneindiana.com/ questi bellissimi versi di un poeta friulano che abbiamo conosciuto e di cui torneremo a parlare prossimamente:
In principio era la parola
I
Credo che la parola sia perduta,
tanta fatica costa pronunciarla.
Credo che noi siamo perduti
senza la sua stella.
Allora ognuno, vinto dal panico,
getterà le armi e s’arrenderà
al dolce clemente nemico.
II
Vi è nelle cose un senso più profondo
che sfugge, come nelle conchiglie il mare.
Arrendersi, ora, è morire
della morte che questo secolo ci può dare,
come il diritto al benessere, alla macchina,
agli strumenti del demonio,
i feticci alienanti della merce,
dove gli idoli di plastica
dominano l’uomo di carne.
Ma non deve e non può perdersi
LA PAROLA.
Essa è il segno significante dell’esistere
nella preistoria, dai favolosi regni
della spinosa necessità agli alti,
umani e solari regni della libertà.
III
Dalle vecchie fiabe leva la radice quadrata.
Ricordi le due parole di Alì che aprivano il monte
dentro il quale il migliore dei mondi possibili
esisteva per ogni possibile mercante?
Ricordi i sassolini lucenti e bianchi di Pollicino,
lo splendore d’aurora dell’uccello di fuoco,
l’acciarino del baldo soldato che tornava dalla guerra,
la vecchia lampada polverosa di Aladino?
Nella stanza cava del tempo
una parola è la chiave per l’ingresso.
Un segno, in apparenza minuto, ridicolo, meschino,
passato di moda, scartato dai consumi,
carico della profonda tensione delle cose.
IV
Questa parola non è perduta: è ancora il sasso,
la chiave, lo stivale, l’acciarino, la lampada
della nostra storia.
PERCHÉ IO NON SIA PIÙ MORTO, PERCHÉ NOI NON SIAMO PIÙ MORTI.
non basta il coraggio, la sapienza, la costanza:
È IL NOME CHE DÀ ALLE COSE LA FORZA DELLE COSE
da
Una sorta di ira, 1968
Ecco la mano che sorregge i pensieri
Ecco la mano che sorregge i pensieri
Ecco la mano che porta ai confini del mondo
i desideri del mondo
Ecco la mano che vola come una colomba
e s’appoggia al ramo che stilla l’umida notte
Ecco la mano che cerca nel buio la mano
Ecco la morte che prende in mano la mano
Ecco la commedia è finita ringraziate l’attore
da
Le vette del tempo, 1971 (Premio Cittadella 1972)
VIII
E quando i pesci iniziarono il loro lento volo
si sedette a pensare chiuso in un bozzolo d’argento
avendo paura della sera astuta che calava
lunghe reti di stelle davanti alla finestra
Egli non aveva che una rigida penna
per difendersi dal ragno
Lo aiutasse almeno la memoria che serba
in scatole comuni le ceneri del tempo
da
Le vette del tempo, 1971 (Premio Cittadella 1972)
RICORDI DI UN VECCHIO PIANETA
Ci sono ancora osterie sommerse dagli ontani ricchi di gazze
dove i rami accecano le basse finestre e battono nervosi
sui tegoli sdruciti nelle sere del forte vento che lucida le stelle
che strade infangate ad angoli curvi chiusi dagli umidi gelsi
riconducono per colline e brughiere ai viandanti serali
azzurrati dai filtri delle nubi che volano stridendo
in forma d’oche selvatiche ai loro bei tempi
Osterie dai tavoli vecchi dove gorgheggia ricama flauteggia
contralta tenoreggia baritona nei chiusi cerchi vetrati
il tenero vino friulano che cauto accompagna
la pannocchia al suo finale viaggio e la morte acuta del porco
Osterie lontane allontanate asteroidi d’alberi e vigneti
dove sorge e muore il canto del gallo?
Ci sono ancora osterie ci sono sommerse dagli ontani?
da
Una luce generale, 1973 (Medaglia d’oro Gabicce mare 1975)
SPUNTA L’AURORA SUL PIANETA
Spunta l’aurora sul pianeta ma la sua ombra inganna gli sfruttatori
che così camminano nella luce come nelle tenebre
I galli sono morti nei campi le uova sono ricordi di cristallo
Le fabbriche gemono nelle campagne e producono acido fumo
e ruscelli scintillanti di plastica vanno da tutto il mondo
alla torre sulle montagne che non teme le lingue
perché parla per nastri perforati
e nessuno di nessuno
verrà più a confondere i costruttori
verrà mai a
da
Una luce generale, 1973 (Medaglia d’oro Gabicce mare 1975)
…
Anche dentro le discipline umane
la morte
non è la fine ché sempre si ricomincia
o si suppone
di
ma il fine
che compone e intreccia corollelungo freddi ruscelli da trote
ed ecco il rosmarino e questo è per la rimembranza
ed ecco delle viole queste per i pensieri
e se i pensieri fossero viole
la morte avrebbe sempre un profumo di primavera
ma i pensieri sono tali perché
così li affila instancabilmente la dura mola della mente
capite signore
li affila e li fa aguzzi
e più aguzzi diventano
e più sono taglientemente inutiliChe fare dei pensieri se non girarli e rigirarli
come una frittata esangue sulla fumante e nera padella?
E nel girarli il rovello scorre fino alle dita
che bianche su bianchi polsini
sfogliano e fermano fermano e sfogliano
Ma mentre questo colorato autunno
che chiamiamo vita
ha in sé la natura di appassire
nella sua arrendevole comprensione della morte
il pensiero s’adagia sul calar delle foglie
su di esse meditando rovescia la melanconia
nell’affilata considerazione dell’infelicità
sì che pare infelice chi felice non è
di esistere
ma tale è nel pensarsi infelicecosì la contraddizione nelle sue ricorrenti e violente maree
è la felice constatazione dell’imperfezione
che giunta a quel punto conduce il corpo
all’infelicità del moto fra gli uomini
e del parlar con essi
tanto che il pensiero che nello stesso tempolo precede e fatalmente lo segue
senza concludere se non per sé e sol per sé
arriva al punto di non ritorno
quando meditando davanti al liquido argento d’uno specchio
dice che se davvero dormire è un bene
e il risvegliarsi un danno
pure quel danno
è tutto quanto si può portarefino alle regali porte della morte
dal poemetto
Gentiluomo nello studio, 1996
Kappa n. 52
annota diligente Kappa
su carta giallo pallido
14 X 17
nella lotta fra te e il mondoasseconda il mondo
se così farai sarai perduto
sarai perduto anche se non l’asseconderai
insomma
compagno
il gioco è truccatoda
Aforismi di Zürau di Kafka, 2006 (inediti)
Il viandante
Il viandante che tutto sa
s’agita alle novità
e come una farfalla
s’immerge nel nettare del fiore
è inutile
indicare il tramonto con il dito
se non hai il senso
della fine delle cose
da
Oltris, 2009
Al dondolio del ramo
Al dondolio del ramo
sog
giace
la scintillante rubra melanessun Newton montanaro
valuterà per gli infiniti giorni
la sua caduta
né un Watson campagnolo
misurerà l’attimo fuggente
in
scritto
nel Grande Libroquando e il peso
e il moto
e il caso
incideranno sul piccioloalla terra
tremula nell’arcobaleno di guazza
abbandonerà le spoglie
la rossa mela
o la mia vita
da
Oltris, 2009
Prima di partire per
Prima di partire per il capo del mondo
prima di partire si disse
voglio una sacca piena di moleskine
si disse Chatwin
per graffiare i segni dell’esperienza
prima che combusta
vada nella brezza dell’Ellesponto
come le ceneri di Patroclo
si disse Chatwin
attorcigliando il voglio
intorno al ferro del fattibil
ma
ma l’anonima madame della cartoleriain rue de l’Ancienne Comédie
afona
indifferente
rispose
messié Chatwìnle vrai moleskine n’est plus
n’est
da
Poesie per il XX secolo
Tito Maniacco è nato nel 1932 a Udine, dove ha compiuto gli studi e, presto, ha iniziato la sua intensa vita intellettuale, impegnandosi nella scrittura poetica e nelle arti figurative, senza trascurare l’appassionata attività di insegnante e la militanza politica. Morirà nel 2010.
Ha pubblicato numerosi libri di poesia. L’ultimo, postumo, è stato Il guardiano del faro (2014) [che sarà oggetto della terza parte di questo omaggio a lui dedicato].
Questa è la prima parte (di tre) della quarta tappa di un itinerario ideato da Danilo De Marco riguardante alcuni poeti friulani attuali non conosciuti dal grande pubblico, cominciato con Federico Tavan, e continuato con Ida Vallerugo (prima parte e seconda parte) e Novella Cantarutti. Con il suo consueto modo di operare/fotografare, e di concepire la fotografia, De Marco ha ritratto questi autori, non tutti facili da avvicinare, solo dopo averne una conoscenza intima, e con una grande empatia, seppure non priva forse di qualche venatura ironica. GS
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