La Via Lattea e le sue
leggende. Una galassia nata dal latte fuoriuscito dal seno della dea
Era, per i greci e della Madonna, per i cristiani. Il liquido si
sparse nel cielo e fu così che le anime poterono dissetarsi lungo il
tragitto.
Claudio Corvino
Passeggiate
interstellari
In tutte le culture
umane ritroviamo dettagliate descrizioni di
viaggi compiuti in sogno, in estasi o dopo la morte.
Esplorazioni di mondi misteriosi la cui durata
è ignota e il ritorno incerto. In questa geografia
dell’altrove la stessa idea di viaggio è stata plasmata
nei millenni per rendere familiare ciò che per
definizione è oscuro e inconoscibile.
Così come nella sua vita reale l’uomo costruisce strade,
ponti, palazzi, così fa per l’altro mondo, nei viaggi dell’anima
fuori dal corpo, creando una sorta di topografia
dell’aldilà che ha il doppio scopo di delimitare
e ridefinire l’ignoto e rassicurare
l’esistenza di coloro che sopravvivono.
Bruce Chatwin nel
suo Le vie dei canti ha mostrato come anche per gli
aborigeni australiani il territorio non
fosse solo un luogo geografico ma un insieme di storie,
di canti, di ricordi: nel loro ciclico walkabout per
i monotoni deserti percorrevano i luoghi
impregnandoli di miti e di significato,
compiendo una sorta di deambulazione insieme
musicale, religiosa e geografica.
Guardando il cielo notturno, tutti noi veniamo presi da un ineffabile senso di smarrimento molto più potente di quello provato di fronte a una pianura, un mare o un deserto, per quanto sconfinati essi siano. Le costellazioni, sorta di mitici «unisci i puntini» enigmistici, bastano appena a narrare qualche rassicurante storia dalle lontane origini greche. Ma l’intera nostra galassia è un gigantesco walkabout narrativo ancora oggi vivente nelle culture umane, soprattutto italiane.
Quel meraviglioso
tappeto di luce che vediamo sopra le nostre teste di notte è un
gigantesco disco stellare dal diametro di
centomila, centocinquantamila anni
luce, illuminato da miliardi di stelle: duecento,
forse quattrocento. Immaginando un modellino
in scala della Via Lattea, di diametro di
centotrenta chilometri, il nostro sistema
solare occuperebbe appena due millimetri.
Rubens, Origine della Via Lattea
La porta dei due mondi
La Via Lattea non è solo bella da vedere, ma anche buona da pensare. Per la scienza, così come anche per Christopher Nolan nel suo ultimo film, Interstellar, può anche essere un enorme wormhole, un Ponte di Einstein-Rosen in grado di trasportare da un punto all’altro dell’Universo con una velocità superiore a quella della luce. È su questa teoria, infatti, che si basa il viaggio degli astronauti protagonisti del film, alla disperata ricerca di una nuova casa per l’umanità.
Che la Via Lattea
sia un ponte non l’ha ipotizzato né Einstein né il
fisico teorico Kip Thorne (consulente e produttore
di Interstellar), ma lo narravano secoli prima
tante culture umane, dotte e popolari, che
l’immaginavano come una strada, una porta o un ponte che il
defunto avrebbe dovuto attraversare per giungere alla
sua dimora eterna.
Ne parlava Macrobio
nel V secolo nel suo Commentarius in
Somnium Scipionis, là dove descriveva la Via
Lattea come una strada che «tagliava» i due tropici,
del Capricorno e del Cancro: «i fisici li
chiamarono porte del sole… Attraverso queste
porte si crede che le anime passino dal cielo sulla terra
e risalgano dalla terra al cielo». Mille anni prima anche
la religione zoroastriana conobbe un ponte «del
discernimento» il Cinvat peretu, sul quale
passavano le anime dei defunti: quelle dei giusti più
facilmente, visto che il ponte si allargava al loro
incedere.
Le diverse tradizioni
«galattiche» sembravano concordare su
di una cosa: le anime, insieme agli dei, vivono in uno spazio
siderale fatto di latte, alimento primario per
entrambi. Ecco perché gli uomini lo cercano appena nati:
perché le loro anime, prima di incarnarsi nei corpi, si
nutrivano di questa bianca sostanza «galactica». Ne
è certo Pitagora, che «chiama Ade la Via Lattea ed
il luogo delle anime» e sostiene che «presso alcuni popoli il
latte era offerto come libagione agli dèi purificatori
delle anime, e il latte è il primo nutrimento di
coloro che cadendo vengono generati».
Pellegrinaggio
di san Giacomo
La stessa galassia nacque dal latte fuoriuscito dal seno di Hera. Soltanto chi avesse bevuto dal suo seno, infatti, avrebbe ottenuto l’immortalità, pur non avendo origini completamente divine. Così Zeus riuscì con l’inganno a far bere al seno della dea il figlio Herakles ma, quando questa se ne accorse, allontanò con violenza il piccolo (o in altre versioni l’eroe oramai adulto) e il suo latte si sparse per tutto il cielo formando la Via Lattea.
Era inevitabile che questo nucleo mitico si iscrivesse nel leggendario cristiano e in particolare nel ciclo nato intorno a Maria: una leggenda abruzzese racconta che un giorno il piccolo Gesù andò al tempio a disputare con i dottori, mentre la Madonna lo cercava per ogni dove, versando il latte del suo seno lungo il tragitto. Da questa bianca striscia di latte ebbe origine la galassia.
Sempre in Abruzzo,
ma in realtà con un areale di portata europea, il nostro
ammasso stellare è anche conosciuto come «la strade
de san Giacume de Halizie», con riferimento
a san Giacomo, fratello maggiore di Giovanni
e figlio di Zebedeo e Salomé. Festeggiato il 25
luglio, giorno della traslazione delle sue ossa da
Gerusalemme in Galizia, nel medioevo fu considerato
patrono dei pellegrini e per questo
raffigurato con un lungo bastone e un largo
cappello, per difendersi dalla pioggia. Altro
fondamentale attributo iconografico
è la conchiglia, simbolo di coloro che si
recavano in pellegrinaggio al suo
santuario di Compostela.
Il legame tra il santo
e la bianca via celeste è antico, se già ne parla
Dante nel Convivio: «quello bianco cerchio che lo
vulgo chiama la via di Sa’ Iacopo»; e il contemporaneo
Giordano da Pisa in una delle sue prediche: «Quelle
stelle che volgarmente i laici chiamano la via di
San Iacopo». Il pellegrinaggio al santuario
in Galizia, a nord-ovest della Spagna, era uno dei più
noti e affollati nell’Europa medievale, così come
lo è ancor oggi.
La sua leggenda comincia a diffondersi a tappeto soprattutto nel XII secolo, quando apparve il Liber S. Jacobi, un’imponente opera di propaganda contenente inni, panegirici, sermoni e miracoli del santo, oltre una vera e propria Guida per il pellegrino e la Cronaca di Turpino (un monaco dell’VIII secolo), piena di elementi tipici delle chansons de geste.
Qui si racconta di
un famoso sogno di Carlo Magno: san Giacomo gli appare
incitandolo a liberare dai musulmani la sua
tomba in Galizia e gli indica la direzione da seguire:
un cammino di stelle. Fu in quel periodo che la piccola
cittadina cambiò il nome da Iria a Campus
stellae, Compostela. Toccò a Carlo ristabilire
la via interrotta tra Oriente e Occidente, unificare
il mondo cristiano ma anche il mondo dei vivi e quello dei
morti. Un programma impegnativo che vedrà
protagonisti tutti i paladini della
Chanson de Roland, il poema nazionale francese. Lo
stesso Turpino divenne l’archetipo del monaco combattente,
caduto a Roncisvalle accanto al paladino Orlando.
S. Maria del Piano a Loreto Aprutino
Viaggi ultramondani
Dal Medioevo la fama del pellegrinaggio e di san Giacomo, la sua protezione sui viaggi, terreni e non, si sono diffuse dappertutto nonostante, racconta una leggenda, un giorno il santo si lamentasse col Signore che il suo santuario in Galizia fosse poco conosciuto. Dio allora gli rispose di non preoccuparsene: “chi non ti visiterà da vivo, ti visiterà morto”. Da allora, da una piccola porta che è nel santuario si sente battere continuamente: sono i morti che vi entrano ed escono.
Ogni anima cristiana, dopo la morte deve, se non andare a Compostela almeno attraversare il «Ponte di san Giacomo», quello di cui parlavamo poc’anzi conosciuto anche come Ponte del capello: un ponte ultramondano che si allarga o si restringe a seconda delle azioni buone o cattive del defunto, fino a diventare sottile come un rasoio o un capello. I bambini percorrerebbero tutta un’altra strada, più facile, luminosa e allegra: l’arcobaleno.
Un esemplare
stupendo di questo ponte è visibile a Loreto
Aprutino (Pescara), negli affreschi della chiesa di Santa
Maria del Piano. Nella grandiosa raffigurazione
del Giudizio delle anime, risalente al Quattrocento,
nella parte inferiore sinistra si vedono anime nude che
attraversano il «Ponte del capello».
In alcune tradizioni
popolari italiane, questo attraversamento
avverrebbe a mezzanotte, segnalato da uno
scricchiolìo avvertito nella camera del defunto. In
quel momento tutto tace e il silenzio piomba tra amici
e familiari riuniti per «vegliarlo». Nessuno
deve parlare o anche piangere, perché le lacrime
bagnerebbero le vesti del morto e renderebbero
meno agevole il suo muoversi.
Il passaggio sul
ponte è un momento di portata cosmica che deciderà
il futuro eterno del defunto; è un momento anche faticoso
e doloroso, come dimostrano l’ultimo sudore
o l’ultima lacrima del cadavere: sono il risultato
dello sforzo e delle ferite prodotte dal taglio dei rasoi
dello strettissimo ponte.
Attraversatolo,
o attraversata la Via Lattea, l’anima riposerà
in pace, ma potrà ancora, eccezionalmente, ritornare
dagli spazi siderali per rassicurare i propri
cari o, al limite per aiutarli ancora, magari suggerendo
qualche numero da giocare al lotto.
Il Manifesto – 6 agosto
2015
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