Il bel Paese affonda nel fango.
Ma i cittadini italiani sono diventati ormai impermeabili e indifferenti a tutto.
Non si indigna più nessuno e sono rimaste inascoltate le voci dei profeti:
«[…] I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto benessere si è speso in tutto fuorché nei servizi pubblici di prima necessità […] I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta civiltà tecnologica si siano compiuti così selvaggi disastri edilizi, urbanistici, paesaggistici, ecologici […] I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto laicismo l’unico discorso laico sia stato quello, laido, della televisione […]”
(Pier Paolo Pasolini da “Perché il Processo” Corriere della Sera, 28 settembre 1975)
***
CALAMITÀ MORALE
di Franco Arminio
il manifesto 27.10.2011
Sospeso sulle argille/ di una vecchia collana,/ il paese perde le sue perle,/frana. Può essere ottobre o maggio, può essere la Liguria o la Calabria, la scena si ripete e la pioggia porta via i muri, le macchine e qualche volta anche le persone. Ogni volta si leva il lamento sull'assenza di prevenzione, poi cala il silenzio, in attesa della prossima sciagura. E invece la sciagura è sempre in corso, la frana non finisce mai, lo smottamento è perenne e quando non porta via le case, comunque apre crepe, distende altri fili nella ragnatela delle faglie. L'Italia è un paese fragilissimo che scompare mano a mano che viene costruito. Ogni volta che vedo una betoniera mi viene un dolore allo stomaco, sento che quel cemento va a coprire un altro poco di terra. Ormai siamo una penisola di cemento in mezzo al mare. La terra in certe zone sembra avere le ore contate. E l'acqua batte ovunque, può essere la capitale o il paese più sperduto dell'Appennino: il risultato è sempre lo stesso: fango nelle cantine, alberi in gita lontano dalle loro radici, un paesaggio rotto, incapace di ricordarci che non è questione di piccole inadempienze, ma di un modo di abitare il mondo che qui da noi ha i tratti conclamati del delirio. Certo, ce la possiamo prendere coi cittadini che si fanno le case in zone pericolose e con chi glielo permette, possiamo immaginare che lo Stato si faccia avaro e non rimborsi i danni, ma comunque non si risolve molto. E piuttosto che dichiarare lo stato di calamità naturale, che va ad alimentare la sempre fertile economia della catastrofe, bisognerebbe dichiarare lo stato di calamità morale. Ed è uno stato ormai perenne, con o senza piogge fa i suoi danni ogni giorno. E li fa nella civilissima Liguria allo stesso modo che nelle terre delle mafie.
L'Italia è divisa su tutto, ma è unita dalla frane. Le frane di cui
parliamo fanno scalpore perché ci sono vittime, perché un paese in
bilico è a suo modo spettacolare. La frana più grande è stata la fuga
degli abitanti dall'Appennino e la discesa a valle dei paesi. Come se
chi fosse rimasto avesse bisogno di abitare un luogo che in qualche modo
scimmiottasse la città. Praticamente ogni paese alto ha sempre una
periferia lungo la strada nazionale. I paesi si sono duplicati. E quello
in alto è quasi sempre un museo delle porte chiuse, un gioiello
dell'agonia. Oltre alle case, è vuota anche la terra intorno.
Gli italiani hanno fatto di tutto per non essere più contadini e ci sono riusciti. Lo sanno tutti che la terra coltivata attenua l'impatto delle piogge, ma oggi coltivare la terra è un lusso per ricchi. E l'attenzione della politica ai problemi dell'agricoltura è testimoniata dalla nomina del ministro attuale che nella sua vita si è occupato di ben altro. Il panorama è ugualmente desolante se pensiamo alle politiche sui piccoli paesi. Ormai da anni viene approvata una leggina in un ramo del parlamento e poi puntualmente si ferma per strada. L'anno scorso la Camera ne ha approvate due, ma lo stanziamento complessivo è di soli cento milioni di euro. Non mi risulta che il Senato abbia affrontato l'argomento. Nell'italietta televisiva una legge sui paesi non fa gola a nessuno. Sarebbe ora che gli abitanti che sono rimasti sui paesi si sollevassero per reclamare misure a difesa del territorio, ma i paesi sono governati dalle stesse logiche che hanno i dinosauri del parlamento. Una piccola borghesia fangosa che imbratta con furbizie e intrallazzi ogni cosa.
Sarebbe il momento di reclamare alcune semplici norme, prima fra tutte lo stop al consumo di suolo agricolo. Una norma che suona inconcepibile ai tromboni dello sviluppo e della crescita che abitano tutte le contrade politiche. E allora le frane, come gli incidenti stradali e altri disastri ordinari, fanno parte di questa apocalisse diluita che chiamiamo società civile. Nessuno si illuda di essere a riparo, oltre alle frane che muovono la terra, ci sono le frane mediatiche che hanno portato nelle nostre case la poltiglia di un consumismo cieco e avvilente. Non servono solo geologi e opere di ingegneria naturale, serve passione per il bene comune, ardore politico, serve l'ammissione che ogni giornata in un mondo del genere è un fallimento. La pioggia diventa una sorta di marker tumorale, rivela impietosamente che il nostro paesaggio è malato, è malato il nostro modo sempre più autistico di abitarlo. Siccome non possiamo chiedere alle acque di placarsi, siccome non possiamo addomesticarle, allora è il caso di non prendersela coi metereologi che sbagliano le previsioni, dobbiamo prendercela con le leggi che consentono anche a chi non è agricoltore di farsi la casa in campagna. Nei piccoli paesi è rimasta poca gente e se ne vede pochissima in giro perché abitano quasi tutti in campagna, nelle case sparse. Il lavoro nei campi è stato abbandonato, ma la piantagione delle villette non accenna a diminuire."
il manifesto 27.10.2011
Gli italiani hanno fatto di tutto per non essere più contadini e ci sono riusciti. Lo sanno tutti che la terra coltivata attenua l'impatto delle piogge, ma oggi coltivare la terra è un lusso per ricchi. E l'attenzione della politica ai problemi dell'agricoltura è testimoniata dalla nomina del ministro attuale che nella sua vita si è occupato di ben altro. Il panorama è ugualmente desolante se pensiamo alle politiche sui piccoli paesi. Ormai da anni viene approvata una leggina in un ramo del parlamento e poi puntualmente si ferma per strada. L'anno scorso la Camera ne ha approvate due, ma lo stanziamento complessivo è di soli cento milioni di euro. Non mi risulta che il Senato abbia affrontato l'argomento. Nell'italietta televisiva una legge sui paesi non fa gola a nessuno. Sarebbe ora che gli abitanti che sono rimasti sui paesi si sollevassero per reclamare misure a difesa del territorio, ma i paesi sono governati dalle stesse logiche che hanno i dinosauri del parlamento. Una piccola borghesia fangosa che imbratta con furbizie e intrallazzi ogni cosa.
Sarebbe il momento di reclamare alcune semplici norme, prima fra tutte lo stop al consumo di suolo agricolo. Una norma che suona inconcepibile ai tromboni dello sviluppo e della crescita che abitano tutte le contrade politiche. E allora le frane, come gli incidenti stradali e altri disastri ordinari, fanno parte di questa apocalisse diluita che chiamiamo società civile. Nessuno si illuda di essere a riparo, oltre alle frane che muovono la terra, ci sono le frane mediatiche che hanno portato nelle nostre case la poltiglia di un consumismo cieco e avvilente. Non servono solo geologi e opere di ingegneria naturale, serve passione per il bene comune, ardore politico, serve l'ammissione che ogni giornata in un mondo del genere è un fallimento. La pioggia diventa una sorta di marker tumorale, rivela impietosamente che il nostro paesaggio è malato, è malato il nostro modo sempre più autistico di abitarlo. Siccome non possiamo chiedere alle acque di placarsi, siccome non possiamo addomesticarle, allora è il caso di non prendersela coi metereologi che sbagliano le previsioni, dobbiamo prendercela con le leggi che consentono anche a chi non è agricoltore di farsi la casa in campagna. Nei piccoli paesi è rimasta poca gente e se ne vede pochissima in giro perché abitano quasi tutti in campagna, nelle case sparse. Il lavoro nei campi è stato abbandonato, ma la piantagione delle villette non accenna a diminuire."
il manifesto 27.10.2011
Per quanto riguarda le responsabilità delle classi dirigenti, sottoscrivo le parole di un carissimo amico:
RispondiElimina"l'Italia non ha scampo. La classe dirigente che occupa tutte le posizioni, sia che si tratti di società civile che di rappresentanza politica, dall'alta alta burocrazia ministeriale alla dirigenza degli enti locali, dal parlamentare al consigliere di circoscrizione, questo enorme 'blocco storico' è composto, per larghissima parte, da persone mediocri sul piano umano, massimamente ignoranti su tutto ciò che non riguardi il loro specifico campo di competenze tecniche, sensibili solo al denaro e al potere, dediti alle cordate politiche, massoniche, rotariane. Una borghesia senza alcuna luce di studi, di riflessioni proprie, di coscienza sociale, di solidarietà, di schiettezza, di slanci autonomi dal servilismo. Una borghesia portatrice di egoismi piccini, livori, interessi di bottega, sempre forte con i deboli e debole con i forti. Una borghesia di maiali (scusandomi con questi ultimi, animali che rispetto ed a cui voglio bene) che rotolano nel loro fango. Che Iddio ce ne scampi." (Rosso Malpelo)
RispondiEliminaMariangela Pace: un paese alla deriva...hanno fatto scempio della cultura, dell'etica, dell'ambiente,dei diritti
Non mi piace più · 1 · 4 h