Il margine è il luogo
dove la società colloca i "diversi". Ma guardare il mondo
dal margine aiuta a comprendere il senso vero delle cose.
Alberto Asor Rosa
Elogio del marginale
vero centro della vita
Nel corso delle ultime
settimane sono apparsi in Italia due libri che portano nei propri
titoli la parola "margine". Si tratta di "Al margine",
di Francesco Magris (Bompiani) e di "Margini d'Italia", di
David Forgacs ( Laterza). Naturalmente si tratta di una combinazione.
Ma anche le combinazioni, se guardate bene,possono riserbare delle
sorprese. "Al margine" (ma forse si potrebbe leggere anche
"sul margine", ovvero, latinamente, " de margine")
è un agile libretto, in cui l'autore investiga aspetti diversi di
una parola – e delle realtà che di volta in volta le corrisponde –
ricchissima di valenze di ogni genere, sia positive sia negative.
Ma Magris, se non erro,
segue di preferenza il percorso positivo. Ossia va sfogliando, di
capitolo in capitolo, come sia possibile (e sia avvenuto, e possa
avvenire) che, trovandosi o addirittura mettendosi ai margini, si
scoprano potenzialità e forze nascoste che, restando cocciutamente
ancorati al centro, non si sarebbero mai neanche sospettate.
In virtù di una cultura
poliedrica Magris può, nella sua elaborazione, fornire dati e
riprove da letterati e artisti di ogni tempo e paese (il libro si
apre nel nome del «grande poeta gradese» Biagio Marin, ma va avanti
con quelli di Saba, Hawthorne, Pirandello, Carver, Kafka, Robert
Walser, Bukowski), oppure discutere le impostazioni economiche della
scuola marginalista e concludere con una riflessione su pregi e
limiti della democrazia occidentale. Non si andrebbe troppo lontani
dal vero, segnalando la straordinaria rilevanza che, nell'ottica di
Magris, occupa il punto di vista della sua città di origine,
Trieste; la «frontiera» per eccellenza (ovvero il «margine
estremo», anche nel senso letterale del termine) nell'immaginario
italiano degli ultimi due secoli, forse proprio oggi drammaticamente
rilanciata dalla sua contiguità con il potenziale inferno balcanico.
Margini d'Italia è un
ponderoso volume di storia italiana contemporanea. L'autore, David
Forgacs, è uno di quegli storici inglesi e americani (o, talvolta,
le due cose insieme), cui si devono assaggi così rilevanti – da
un'ottica opportunamente spostata rispetto alla nostra – del nostro
modo d'essere e della nostra identità. Il sottotitolo spiega forse
meglio contenuti e obiettivi dell'opera. Recita: L'esclusione sociale
dall'Unità a oggi .
Per Forgacs, dunque, il
«margine » è il luogo (ideale, politico, culturale, antropologico)
su cui le classi italiane dominanti, sia pure variamente motivate,
hanno collocato (dal punto di vista ideologico, ma anche pratico e
fattuale, spesso pesantemente fattuale) i subalterni, i diversi, gli
alieni, i «marginalizzati», appunto.
Forgacs ne descrive
cinque fondamentali esempi: le Periferie urbane ; le Colonie (Forgacs
ha fatto un lungo soggiorno in Abissinia per documentarsi); il Sud ;
i Manicomi; i Campi nomadi . Se si esclude l'ultimo capitolo, forse
più marginale rispetto agli altri, si tratta di un lavoro di
solidissimo impianto, ed esiti inequivocabili, che apre orizzonti sul
modo di «essere italiani» meno scontati di quanto si potrebbe
pensare.
Per uno come me, vedersi
messo sotto gli occhi un quadro così preciso di ciò che ha
significato per Roma e la (un tempo) leggendaria «campagna romana»
la realizzazione, a varie tappe e per il corso di più di un secolo,
dei mostruosi quartieri popolari a Sud e a Est della città (poi
anche, inesorabilmente, a Nord e a Ovest), ha consentito di
ripercorrere con evidenza assoluta le tappe di una storia individuale
e collettiva, le cui ultime battute sono sotto gli occhi di tutti (io
non ho dubbi che anche i processi corruttivi nascano, come nel nostro
caso, da una lunga, lunghissima storia).
Dunque, i due libri,
nonostante le loro incancellabili diversità, ci mettono di fronte
alle prospettive inedite che «guardare ai margini» (l'espressione è
di Forgacs) consente di acquisire e che, restando cocciutamente al
centro, non riusciremmo mai neanche a intuire da lontano.
La bibliografia su
«margine» e «marginalità» è sterminata, e i due autori ce ne
danno più di un esempio. Difficile aggiungere qualcosa. E tuttavia:
la dinamica che questa suggestiva alternanza fra centro e periferia,
fra periferia e centro, suggerisce, è in molte situazioni un
criterio ermeneutico pressoché permanente. Ossia: in molti casi,
invece di «leggerla », una volta che sia stata interpretata e
sistemata nei libri, essa è un dato del nostro vissuto,
un'esperienza senza la quale non potremmo capire non solo quanto ci è
accaduto intorno ma neanche ciò che è accaduto dentro di noi.
Faccio un solo esempio,
ma rilevante: l'Italia. L'Italia vive da qualche anno un processo di
marginalizzazione crescente. Cioè: sta scivolando al margine (e
finora su quel margine non ha trovato la carica diversamente positiva
che, ad esempio, nelle prospettive di Magris si potrebbe costruire
anche «al margine»).
Se ho qualcosa da
rimproverare ai due autori è di non aver inserito nelle loro
potenziali tabelle di valutazione (forse qualche accenno solo nel
capitolo Margine, povertà e dissenso del libro di Magris) il più
gigantesco processo di marginalizzazione che abbia riguardato
l'Italia nel corso degli ultimi cinquant'anni, e cioè quello
sperimentato e vissuto dalla sua classe operaia, processo perseguito
con implacabile perseveranza e in taluni casi una dose molto elevata
di ferocia: dall'innegabile centralità degli anni Sessanta – fatta
di forza e presenza politica e sociale – alla condizione appartata
e spesso subalterna, in continua discussione e ridiscussione, di
oggi.
È un esempio di cosa
significhi stare dentro il flusso delle scelte e degli eventi, e
spesso rendersene poco conto, o niente. La mia opinione è che la
crescente marginalizzazione della classe operaia – che, in altri
termini, giustifica e incrementa la crescente marginalizzazione del
lavoro in quanto tale, nei suoi vari aspetti, sia economici sia
culturali – determini e spieghi la crescente marginalizzazione
dell'Italia rispetto al resto del mondo. Ma è ovvio che di questo si
dovrebbe discutere.
La Repubblica – 18
agosto 2015
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