Ringrazio l'amica Giuseppina Bosco che continua ad offrirci le sue schede di lettura di scrittrici siciliane poco note.
di Giuseppina Bosco
Livia De Stefani,scrittrice
palermitana, vissuta tra il 1913-1991, è una letterata che si è affermata nel
panorama italiano dei primi del Novecento. Il suo
esordio letterario avviene con la raccolta “Preludio” in cui si risente molto l'influenza di D’Annunzio, Pascoli e Gozzano.
Collabora a vari giornali e riviste e, successivamente, pubblica : La vigna di uve nere,
1953 (n. ed. 1968); Gli affatturati, 1955; Passione di Rosa, 1958; Viaggio di
una sconosciuta, 1963; La signora di Cariddi, 1971; La stella Assenzio, 1985; La mafia alle
mie spalle, 1991). Rcconti e romanzi che si riallacciano alla tradizione narrativa siciliana.
La sua
sicilianità si manifesta soprattutto ne La vigna di uve nere , considerato dalla critica un documento della sopravvivenza
di miti ancestrali, di simboli rituali in controtendenza con il Neorealismo di
quel periodo.
IL romanzo
parla di due ragazzi, Nicola e Rosaria
allevati lontano da
casa, ignari l' uno dell' esistenza dell' altra. Si ritrovano già adulti, e tra loro nascerà una passione incestuosa che culminerà nella tragedia. Infatti
il padre costringerà Rosalia al suicidio mettendo in salvo in tal modo Nicola
il quale, in quanto maschio, potrà garantire la continuazione del nome della
famiglia. La vicenda narrata ha come
sfondo la Sicilia del ventesimo secolo che però sin da subito si configura come
un' isola mitico-favolistica, ma con elementi descrittivi realistici.
In questa prima opera
della De Stefani diversi sono i riferimenti
alla cultura greca della colpa e della vergogna, per cui i peccati commessi da
Casimiro Badalamenti,coinvolto in loschi affari mafiosi,e della moglie
Concettina, ex prostituta,non possono che ricadere e segnare il destino dei
loro figli.
Come la stessa De
Stefani ha scritto in una lettera inviata da Roma il 10 novembre 19831
“Se nella vigna di uve nere è lampante il
riferimento al congegno della tragedia greca,è perché per decenni mi ero
dedicata alla ricerca del dove e del come applicare i contenuti di passioni
madri a individui e luoghi in cui esse potessero verosimilmente resuscitare nel
pieno vigore della loro rudimentale
logica originaria. Ricerca non facile,data la rarità d’un caso di loro
equivalenza motoria in almeno quattro consanguinei che ,vincolati l’uno
all’altro da un nodo di fatalità,debbano inevitabilmente precipitare,tutti
insieme nell’abisso.” “L’hamartia,dunque,investe gli esseri dall’interno e,come
una malattia contagiosa,si propaga ai loro discendenti,non dando spazio alla
catarsi.”2
Altra importante raccolta di racconti è quella che ha per titolo“Gli
affatturati3che ritraggono individui appartenenti a classi aristocratiche medio-alte affetti
da manie ossessive,vizi:sono morfinomani
e vivono separati dalla realtà. Nei racconti emerge soprattutto il carattere grottesco dei personaggi.
L’opera che ha reso Livia De Stefani una scrittrice moderna è
“Viaggio di una sconosciuta”4 pubblicato nel 1963.Si tratta di una
serie di racconti,i cui protagonisti sono per lo più personaggi femminili,vittime
della mostruosità della psicologia maschilista. La modernità della scrittrice si rivela, soprattutto, per il ricorso ad alcune tecniche narrative dal flashback al monologo interiore, ai flussi di coscienza.
Maggiore originalità si può
notare nel primo lungo racconto “Viaggio di una sconosciuta”,che dà il titolo
all’intera raccolta ,in cui si narra di una ragazza ,probabilmente una servetta
sedotta ed abbandonata la quale, aspettando un figlio dal suo approfittatore ,abortisce
custodendo il “macabro fardello” in una
valigetta, vagando disorientata per le vie di Roma. Non vi è una vera e propria trama
narrativa o un particolare intreccio. Gli eventi si susseguono attraverso la
coscienza della protagonista sin dall’incipit con il ricorso al monologo interiore
e all’indiretto libero della servetta, la quale associa il nome che avrebbe
voluto mettere al figlio Agostino a quello di Agostino Amirru, il quale
sosteneva che i nati ad agosto hanno carattere da leone “Su per la salita 5dell’Acqua Acetosa la valigetta si fece pesante. La
passò nell’altra mano. Con grande cautela. Agostino,l’avrei chiamato Agostino. Agostino
Amirru dice che i nati d’agosto sono leoni. Ma lui ha la faccia da
cavallo,lunga,lunga,i dentoni gialli .E il cuore di un cavallo”.
Un altro indiretto lo
troviamo nelle righe “Tutto quel sangue,nel
letto e a terra. Si partorisce così. Le donne ,le pecore,le cavalle,tutte
nello stesso modo”6.
Infine in un monologo
quasi surreale il flusso di coscienza è
evidente in questo passo “Jumbo, l’elefante
Jumbo. che ubbidisce agli ordini: Alberto gli mostra la carota poi comanda: Jumbo,in
ginocchio!L’elefante piega quelle due colonne di zampe,ci casca sopra come un
masso,poi si alza ed allunga la proboscide in cerca della carota […]”7.
In un altro indiretto
libero le associazioni di idee seguono il
ritmo delle onomatopee in posizione anaforica e notiamo frasi mono proposizionali ,sintatticamente
interrotte,per l’omissione dei segni di punteggiatura propri di un’interrogativa
. Si nota quasi uno sperimentalismo linguistico,
che sembra riecheggiare Gadda , “le voci della radio…conducevano…discorsi
incantati,come quelli che nascevano dai campanacci delle vacche pascolanti nel
pianoro,quando, fantasticava del mondo sotto il querciolo [… ]Don,don,don don.
Mentuccia,Rosina ,Badessa. Don don don. Il mare è tutt’acqua,dice zio Cosma.Ha
fatto il marinaio”8
“Lo sapevo che eri un maschietto .Dai calci,lo sapevo. Quanti calci mi
hai dato,Agostino. Tum. Tu tum. Tututum. Nessuno li vedeva. Nessuno poteva
sentirli. Io sola. Tum. Tutum Io ti parlavo da dentro. E tu mi rispondevi.
Dormi? Dimmi che dormi,Agostino”9
la ragazza nel voler
giustificare il suo atto orribile allude al dramma personale che è la
conseguenza della tipica mentalità
maschilista dell’uomo sposato che inganna una povera ragazza di campagna con
promesse di matrimonio e poi l’abbandona quando non vuole assumersi le sue
responsabilità.
La visione della città
con gli occhi della piccola serva è tutt’uno con la valigetta dal macabro contenuto e condiziona le relazioni con gli altri
uomini che incontra in questo suo peregrinare per Roma“Al raspio dell’unghie sulla valigetta,spalancò gli occhi e rimase
attonita… Attraversato il viale di Liegi si trovò tra gente che aspettava
l’arrivo dell’autobus. Sudava. La faccia,il collo,giù per il seno,la mano,che
sentì malferma intorno al manico della valigetta. Arrivava l’autobus,si portò
la valigetta contro il petto,fra le braccia incrociate a riparo;e salì il
gradino,piegata in due”10
Inoltre si può notare un
riferimento a Pirandello,soprattutto per quanto riguarda il tema dello specchio
e della doppia identità quando l’io della ragazza si sdoppia accusando “un qualcuno”, forse quell’Alberto
che è presente nei suoi ricordi, responsabile del mostro che è in lei, ma
rientrando nel suo ruolo di madre dialoga con il “macabro fardello” : “Depose la valigetta contro la parete[…]Fece ogni
cosa con grande precisione e sicurezza,sebbene ad ogni rialzarsi all’altezza
dello specchio vi si scorgesse stravolta
<<Assassino,assassino.Muori,crepa.Ei tuoi figli>>.Ogni parola una
esplosione nel petto,le scintille dello scoppio fin nelle unghie e nelle radici
dei capelli .Nello specchio due lame nere al posto degli occhi. Un gattino
bianco, sul davanzale della finestrella.<<eccomi,Agostino,ho
finito>>” 11.
Un’enumerazione dei
luoghi della città nel crescendo” dell’inner flux” rende meglio il dato
memoriale tra presente e passato: “Negozi,negozi.Questo
col vaso di tuberose in cima alla
scaletta di cristallo. C’è un reggiseno su ogni gradino.<<una pensione
rispettabile,vedrai. Entriamo e buona notte al secchio>> Piumini di
cipria. Occhiali e binocoli <<Allora a casa mia. E’ fresca,sentirai
quanto è fresca>>l’acqua sgorga dal palazzo,scende fra statue e
alberi di pietra […]<<Buttaci
dieci lire. E perché non ci vorresti tornare a Roma? Ma a che fare in Sardegna .A
sprecare ‘sta grazia di Dio di ciccia e gioventù? a’scema.>> Quest’altra
fontana con quattro donne sdraiate nude.<<Belle ciccion come te .Che c’è
di male? Pure i ciechi ce lo sanno come so fatte le belle femmine sotto ai
vestiti>> 12
Attraverso i dati memoriali la protagonista ripercorre il
trauma dello stupro subìto e vede un nemico in ogni uomo anche in quello con il
cappotto marrone che tenta di avere un rapporto sessuale con la sconosciuta (la
servetta).lei però non si concede e tenta
di sfuggirgli. Trascina in ogni
istante, nei luoghi e nelle varie
situazioni ,la sua ombra fino all’epilogo finale: l’annullamento di se e della
sua colpa contenuta nella valigetta “La
nebbia si ricompose tra i rovi, discese sul fiume e invase la riva,cancellando
ogni cosa. Rimase soltanto il silenzio,reso più profondo dal fruscio dell’acqua
invisibile che lo attraversava e lo avvolgeva,rimanendo immobile. Che pace. Non
vedeva e non udiva più nulla,credette di dormire”13.
G. Bosco
1 Da “Letteratura
siciliana al femminile:donne scrittrici e donne personaggio” a cura di Sarah
Zappulla Muscarà,Salvatore Sciascia editore
2 Gisella Padovani
in “Letteratura siciliana al femminile:donne scrittrici e donne personaggio” a
cura di Sarah Zappulla Muscarà,Salvatore
Sciascia editore, pg.269.
3 “Gli
affatturatturati”, Medusa, Mondadori, 1995,1^Edizione.z
4 Livia De Stefani,in “Viaggio di una
sconosciuta”,Mondadori,1963.
5 Livia De Stefani,in op. cit.pag. 9
6 Livia De Stefani,in op. cit.pag10
7 Ivi Pag. 11
8 Ivi pag.15
9 ivi pag.28
10 Ivi pagg 17-18
11 Ivi pag .39
12 ivi pag45
13 ivi pag51
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