11 agosto 2015

LA SICILIA DI LIVIA DE STEFANI




Ringrazio l'amica Giuseppina Bosco che  continua ad offrirci le sue schede di lettura di scrittrici siciliane poco note.



LA SICILIA DI LIVIA DE STEFANI  TRA MITO E MODERNITA’

 di Giuseppina Bosco


Livia De Stefani,scrittrice palermitana, vissuta tra il 1913-1991, è una letterata che si è affermata nel panorama italiano dei primi del Novecento. Il suo esordio letterario avviene con la raccolta “Preludio” in cui si risente molto l'influenza di D’Annunzio, Pascoli e Gozzano.
Collabora a vari giornali e riviste e, successivamente,  pubblica  : La vigna di uve nere, 1953 (n. ed. 1968); Gli affatturati, 1955; Passione di Rosa, 1958; Viaggio di una sconosciuta, 1963; La signora di Cariddi, 1971; La stella Assenzio, 1985; La mafia alle mie spalle, 1991). Rcconti e romanzi che si riallacciano alla tradizione narrativa siciliana.
La sua sicilianità si manifesta soprattutto ne La vigna di uve nere , considerato dalla critica  un documento della sopravvivenza di miti ancestrali, di simboli rituali in controtendenza con il Neorealismo di quel periodo.
IL romanzo parla di due ragazzi, Nicola e Rosaria allevati lontano da casa, ignari l' uno dell' esistenza dell' altra. Si ritrovano già adulti, e tra loro nascerà una passione  incestuosa che culminerà nella tragedia. Infatti il padre costringerà Rosalia al suicidio mettendo in salvo in tal modo Nicola il quale, in quanto maschio, potrà garantire la continuazione del nome della famiglia.  La vicenda narrata ha come sfondo la Sicilia del ventesimo secolo che però sin da subito si configura come un' isola mitico-favolistica, ma con elementi descrittivi  realistici.
In questa prima opera della De Stefani  diversi sono i riferimenti alla cultura greca della colpa e della vergogna, per cui i peccati commessi da Casimiro Badalamenti,coinvolto in loschi affari mafiosi,e della moglie Concettina, ex prostituta,non possono che ricadere e segnare il destino dei loro figli.
Come la stessa De Stefani ha scritto in una lettera inviata da Roma il 10 novembre 19831Se nella vigna di uve nere è lampante il riferimento al congegno della tragedia greca,è perché per decenni mi ero dedicata alla ricerca del dove e del come applicare i contenuti di passioni madri a individui e luoghi in cui esse potessero verosimilmente resuscitare nel pieno vigore della loro rudimentale  logica originaria. Ricerca non facile,data la rarità d’un caso di loro equivalenza motoria in almeno quattro consanguinei che ,vincolati l’uno all’altro da un nodo di fatalità,debbano inevitabilmente precipitare,tutti insieme nell’abisso.” “L’hamartia,dunque,investe gli esseri dall’interno e,come una malattia contagiosa,si propaga ai loro discendenti,non dando spazio alla catarsi.”2
Altra importante raccolta di racconti è quella che ha per titolo“Gli affatturati3che ritraggono individui appartenenti a classi aristocratiche medio-alte affetti da manie ossessive,vizi:sono morfinomani  e vivono separati dalla realtà. Nei racconti emerge soprattutto il carattere grottesco dei personaggi.
L’opera che ha reso  Livia De Stefani una scrittrice moderna è “Viaggio di una sconosciuta”4 pubblicato nel 1963.Si tratta di una serie di racconti,i cui protagonisti sono per lo più personaggi femminili,vittime della mostruosità della psicologia maschilista.  La modernità della scrittrice si rivela, soprattutto, per il ricorso ad alcune tecniche narrative dal flashback al monologo interiore, ai flussi di coscienza.

Maggiore originalità si può notare nel primo lungo racconto “Viaggio di una sconosciuta”,che dà il titolo all’intera raccolta ,in cui si narra di una ragazza ,probabilmente una servetta sedotta ed abbandonata la quale, aspettando un figlio dal suo approfittatore ,abortisce  custodendo il “macabro fardello” in una valigetta, vagando disorientata per le vie di Roma. Non vi è una vera  e propria trama narrativa o un particolare intreccio. Gli eventi si susseguono attraverso la coscienza della protagonista sin dall’incipit con il ricorso al monologo interiore e all’indiretto libero della servetta, la quale associa il nome che avrebbe voluto mettere al figlio Agostino a quello di Agostino Amirru, il quale sosteneva che i nati ad agosto hanno carattere da leone “Su per la salita 5dell’Acqua Acetosa la valigetta si fece pesante. La passò nell’altra mano. Con grande cautela. Agostino,l’avrei chiamato Agostino. Agostino Amirru dice che i nati d’agosto sono leoni. Ma lui ha la faccia da cavallo,lunga,lunga,i dentoni gialli .E il cuore di un cavallo”.
Un altro indiretto lo troviamo nelle righe “Tutto quel sangue,nel letto e a terra. Si partorisce così. Le donne ,le pecore,le cavalle,tutte nello stesso modo”6.
Infine in un monologo quasi surreale il  flusso di coscienza è evidente in questo passo “Jumbo, l’elefante Jumbo. che ubbidisce agli ordini: Alberto gli mostra la carota poi comanda: Jumbo,in ginocchio!L’elefante piega quelle due colonne di zampe,ci casca sopra come un masso,poi si alza ed allunga la proboscide in cerca della carota […]”7.
In un altro indiretto libero le  associazioni di idee seguono il ritmo delle onomatopee in posizione anaforica  e notiamo  frasi mono proposizionali ,sintatticamente interrotte,per l’omissione dei segni di punteggiatura propri di un’interrogativa . Si nota quasi uno sperimentalismo linguistico, che sembra riecheggiare Gadda  , “le voci della radio…conducevano…discorsi incantati,come quelli che nascevano dai campanacci delle vacche pascolanti nel pianoro,quando, fantasticava del mondo sotto il querciolo [… ]Don,don,don don. Mentuccia,Rosina ,Badessa. Don don don. Il mare è tutt’acqua,dice zio Cosma.Ha fatto il marinaio”8
“Lo sapevo che eri un maschietto .Dai calci,lo sapevo. Quanti calci mi hai dato,Agostino. Tum. Tu tum. Tututum. Nessuno li vedeva. Nessuno poteva sentirli. Io sola. Tum. Tutum Io ti parlavo da dentro. E tu mi rispondevi. Dormi? Dimmi che dormi,Agostino”9
la ragazza nel voler giustificare il suo atto orribile allude al dramma personale che è la conseguenza della tipica  mentalità maschilista dell’uomo sposato che inganna una povera ragazza di campagna con promesse di matrimonio e poi l’abbandona quando non vuole assumersi le sue responsabilità.
La visione della città con gli occhi della piccola serva è tutt’uno con la valigetta dal macabro contenuto  e condiziona le relazioni con gli altri uomini che incontra in questo suo peregrinare per Roma“Al raspio dell’unghie sulla valigetta,spalancò gli occhi e rimase attonita… Attraversato il viale di Liegi si trovò tra gente che aspettava l’arrivo dell’autobus. Sudava. La faccia,il collo,giù per il seno,la mano,che sentì malferma intorno al manico della valigetta. Arrivava l’autobus,si portò la valigetta contro il petto,fra le braccia incrociate a riparo;e salì il gradino,piegata in due”10
Inoltre si può notare un riferimento a Pirandello,soprattutto per quanto riguarda il tema dello specchio e della doppia identità quando l’io della ragazza si sdoppia  accusando “un qualcuno”, forse quell’Alberto che è presente nei suoi ricordi, responsabile del mostro che è in lei, ma rientrando nel suo ruolo di madre dialoga con il “macabro fardello” : “Depose la valigetta contro la parete[…]Fece ogni cosa con grande precisione e sicurezza,sebbene ad ogni rialzarsi all’altezza dello specchio vi si scorgesse stravolta <<Assassino,assassino.Muori,crepa.Ei tuoi figli>>.Ogni parola una esplosione nel petto,le scintille dello scoppio fin nelle unghie e nelle radici dei capelli .Nello specchio due lame nere al posto degli occhi. Un gattino bianco, sul davanzale della finestrella.<<eccomi,Agostino,ho finito>>” 11.
Un’enumerazione dei luoghi della città nel crescendo” dell’inner flux” rende meglio il dato memoriale tra presente e passato: “Negozi,negozi.Questo col vaso di tuberose  in cima alla scaletta di cristallo. C’è un reggiseno su ogni gradino.<<una pensione rispettabile,vedrai. Entriamo e buona notte al secchio>> Piumini di cipria. Occhiali e binocoli <<Allora a casa mia. E’ fresca,sentirai quanto è fresca>>l’acqua sgorga dal palazzo,scende fra statue e alberi  di pietra […]<<Buttaci dieci lire. E perché non ci vorresti tornare a Roma? Ma a che fare in Sardegna .A sprecare ‘sta grazia di Dio di ciccia e gioventù? a’scema.>> Quest’altra fontana con quattro donne sdraiate nude.<<Belle ciccion come te .Che c’è di male? Pure i ciechi ce lo sanno come so fatte le belle femmine sotto ai vestiti>> 12
Attraverso i   dati memoriali la protagonista ripercorre il trauma dello stupro subìto e vede un nemico in ogni uomo anche in quello con il cappotto marrone che tenta di avere un rapporto sessuale con la sconosciuta (la servetta).lei però non si concede e tenta  di sfuggirgli. Trascina in ogni istante, nei luoghi e nelle varie situazioni ,la sua ombra fino all’epilogo finale: l’annullamento di se e della sua colpa contenuta nella valigetta “La nebbia si ricompose tra i rovi, discese sul fiume e invase la riva,cancellando ogni cosa. Rimase soltanto il silenzio,reso più profondo dal fruscio dell’acqua invisibile che lo attraversava e lo avvolgeva,rimanendo immobile. Che pace. Non vedeva e non udiva più nulla,credette di dormire”13.

G. Bosco


1   Da “Letteratura siciliana al femminile:donne scrittrici e donne personaggio” a cura di Sarah Zappulla Muscarà,Salvatore Sciascia editore
2  Gisella Padovani in “Letteratura siciliana al femminile:donne scrittrici e donne personaggio” a cura di Sarah Zappulla      Muscarà,Salvatore Sciascia editore, pg.269.
3  “Gli affatturatturati”, Medusa, Mondadori, 1995,1^Edizione.z
4 Livia De Stefani,in “Viaggio di una sconosciuta”,Mondadori,1963.
5 Livia De Stefani,in op. cit.pag. 9
6 Livia De Stefani,in op. cit.pag10
7 Ivi Pag. 11
8 Ivi pag.15
9 ivi pag.28     
10 Ivi pagg 17-18
11 Ivi pag .39
12  ivi pag45      
13 ivi pag51









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