08 dicembre 2020

BORDIGA, CADUTA FASCISMO E IMPERIALISMO AMERICANO

 



Giorgio Amico

16. La caduta del fascismo e il superimperialismo americano


Ancora a fine aprile 1943, a pochi mesi dalla caduta del Duce e del fascismo, Bordiga espone all'amico Alliotta le sue convinzioni profonde sull'andamento della guerra. È un momento particolare, a causa della guerra le sue attività professionali, fino a quel momento abbastanza fiorenti, sino fortemente ridotte. Egli e la sua famiglia vivono, come la maggior parte degli italiani, in grandi ristrettezze economiche. All'incubo di bombardamenti, si unisce la difficoltà di trovare generi alimentari al di fuori di quel minimo che il tesseramento permette di acquistare:

“Non può permettersi il lusso – riferisce l'Alliotta ai suoi superiori – di rifornirsi alla borsa nera: ma anche quando i mezzi abbastanza modesti, di cui dispone, glielo permettessero, si rifiuterebbe di farlo, non per paura delle sanzioni sancite dalle leggi annonarie, ma perché convinto che, facendolo, ruberebbe il pane alla povera gente, a quella cioè che in questo momento soffre di più, perché della guerra sopporta tutti gli oneri senza ricavarne alcun beneficio”. [1]

Un'immagine umana che ci riconcilia con l'uomo Bordiga che, di fronte alle sofferenze imposte al popolo italiano dalla guerra, pare aver abbandonato quell'atteggiamento di ironico distacco, se non addirittura di disprezzo verso la massa che emerge dalle conversazioni degli anni Trenta. Lo stesso non si può dire delle sue convinzioni politiche, della sua ostinata convinzione che da un punto di vista proletario sia auspicabile la vittoria dell'Asse. Rispetto alle dichiarazioni del 1940 la grande novità è il ruolo che nei suoi ragionamenti ha preso posto l'imperialismo americano, soppiantando quello inglese. Gli Stati Uniti e non più l'Inghilterra sono ora il bastione più saldo del capitalismo e la loro vittoria sulla Germania significherebbe la fine dell'Europa come realtà autonoma e un pesante servaggio per il proletariato:

“Io posso dire – afferma Bordiga – di essere in questo d'accordo col Duce, quando Egli afferma che, se un uomo c'è che ha voluto diabolicamente la guerra, che l'ha prima preparata e poi suscitata, questo è il Presidente americano. Dal mio punto di vista chiarisco però che Roosevelt non è altro se non l'esponente del supercapitalismo che mira alla conquista di un imperialismo totalitario. […] Gli americani, senza spreco di uomini propri, ma con l'impiego dei mezzi colossali di cui dispongono, contano sull'esercito sovietico per vincere la guerra. Se la vinceranno, sarà instaurato sul mondo il più duro e più triste servaggio che abbia sinora registrato la storia”. [2]

Parlando con Alliotta Bordiga si rivela ben informato sulla situazione italiana, sui segnali già avvertibili della crisi che porterà il 25 luglio alla defenestrazione di Mussolini. Ma anziché gioirne, egli rivela un odio feroce verso le opposizioni che si stanno riorganizzando nel Paese “col favore del Vaticano e con quello della massoneria”, non privo, ed è la prima e probabilmente l'unica volta che accade, di accenti apertamente antisemiti. Così parlando dei tentativi di riorganizzazione del Partito socialista, giudicati peraltro ridicoli, egli se la prende col vecchio compagno di confino Romita, con cui pure a Ponza aveva fraternamente condiviso vitto e alloggio, definendolo “il prototipo del piccolo borghese che aspira al dominio politico solo per potersi arricchire con mentalità prettamente ebrea”. [3] Insomma, nonostante la sua affermazione, ripetuta anche in questa occasione, di essere solo “un osservatore e uno studioso”, Bordiga rivela in questo lungo colloquio quanto egli abbia negli anni assorbito la propaganda del regime, tanto da mostrare una fiducia totale nei proclami di Hitler e Mussolini sulle terribili “armi segrete” in loro possesso, destinate a invertire il corso della guerra e a decretare il trionfo dell'Asse:

L'illusione maggiore però è quella di coloro che ritengono che i regimi totalitari siano ormai rassegnati a sparire dalla scena del mondo senza tentare, nel campo delle operazioni belliche, qualcosa di nuovo, di straordinario quale nessuno finora prevede. È un errore madornale quello di pensare che il conflitto si approssimi al suo epilogo. Io penso che Mussolini e Hitler [...]stiano appunto esaminando le misure da prendere in questo senso e sono sicuro che la guerra avrà nuovi imponenti sviluppi, e che l'Asse, ben lungi dal posare le armi, darà ancora molto filo da torcere alle democrazie. Non mi sorprenderei affatto se l'odierna situazione militare dovesse rovesciarsi anche nel Mediterraneo. Mi pare di averne quasi la certezza”. [4]

Non stupisce che nessuno, con l'eccezione di Roberto Gremmo, autore di un libro discutibile per molti aspetti, ma sicuramente coraggioso, abbia fatto cenno a questa conversazione che rivela, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'immagine di un uomo che in odio alla democrazia, espressione del complotto pluto-massonico di dominio del mondo, solidarizza pienamente con il nazifascismo punta di lancia nella “lotta che i popoli poveri hanno impegnato contro il supercapitalismo” [5]. Fino al punto di augurarsi che Mussolini al più presto faccia “piazza pulita di tutti questi dilettanti che giocano alla rivoluzione” a partire da un “movimento secessionista che si sarebbe manifestato, e che si andrebbe sempre più allargando, nel seno dello stesso Partito Fascista, e che farebbe capo a Grandi ed a qualche altro dei suoi maggiori esponenti”. [6] E da concludere il suo ragionamento dichiarando orgogliosamente – beninteso in nome dei principi comunisti e marxisti che pensa di incarnare – che “il giorno in cui saranno sconfitte le democrazie anglo-americane suonerò anch'io la campana a festa”. [7].

Per fortuna del mondo, ma anche del proletariato, le cose andarono in altra maniera e, contrariamente alle sue aspettative, Bordiga assistette al crollo del fascismo e all'arrivo degli Alleati a Napoli dopo l'insurrezione spontanea del proletariato partenopeo che in quattro giornate di scontri feroci quasi a mani nude aveva costretto i tedeschi ad abbandonare la città. Episodio di cui egli , che in quel periodo viveva nella sua villetta di Formia, non ci risulta abbia mai parlato nei suoi scritti. Come si legge in quaderno degli internazionalisti di Battaglia comunista:

Con l'avanzare dei “liberatori” anglo-americani, dopo il loro sbarco in Sicilia e poi nella penisola, e di fronte ad un certo fermento di contestazione delle posizioni e delle parole d'ordine portate avanti da Togliatti e dai suoi accoliti (dopo lo sbarco del Migliore a Salerno), Bordiga persisterà nel suo personale isolamento. A chi, nei primi mesi del 1944, tentava di convincerlo ad assumere la direzione della dissidenza di sinistra, Bordiga rispondeva di pazientare, rimanendo se possibile ancora all'interno del partito di Togliatti.[…] Bordiga si limitava a brevi scambi di idee con qualche vecchio amico e compagno, tenendosi alla larga da ogni contatto - anche se richiesto - coi primi gruppi di operai e intellettuali che si andavano qua e là formando in una confusa opposizione al nuovo PCI e a seguito di qualche locale scissione su posizioni di richiamo a tradizioni anarchiche, social-massimaliste o addirittura e vagamente bordighiane”. [8]

Sarà il caso della Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani, costituitasi agli inizi del 1944 a Napoli e in Campania il cui unico contributo di Bordiga fu una mezza paginetta dell'opuscolo Per la costituzione del vero Partito Comunista, redatto da Matteo Renato Pistone e da Libero Villone. Nonostante ciò resisteva il mito del Bordiga rivoluzionario, capo nel 1921 del Partito comunista. In una corrispondenza telefonica da Napoli del 14 giugno 1944, la Gazette de Lausanne, presentava Bordiga non solo come il più strenuo avversario della svolta di Salerno del PCI, ma anche come direttore del giornale Bandiera Rossa, organo dell'omonimo movimento molto attivo nella Resistenza romana ma con cui Bordiga non aveva mai avuto alcun contatto. Secondo il giornale auspicava l'arrivo in Italia dell'Armata Rossa sovietica e la liquidazione fisica degli ex fascisti. “Quando l'ora suonerà – avrebbe detto Bordiga – noi diremo la nostra a colpi di bombe. Non avremo né paura né pietà”. Una dichiarazione inventata di sana pianta, ripresa anche dalla Radio francese, che preoccupa quello che resta della Frazione bordighista in Francia che nel numero 7 del Bollettino di discussione che fa uscire e a Marsiglia, pubblica, tanto per mettere le mani avanti, una prudente precisazione:

“ Non riteniamo affatto – si legge nel comunicato – che un compagno della capacità ideologica di Bordiga possa esprimere tali posizioni che, al di là della fraseologia apparentemente radicale, non esprime che la posizione del capitalismo internazionale e del suo alleato: ‘il socialismo in un paese solo', che ha permesso di gettare il proletariato nella guerra imperialista. Le condizioni attuali non ci permettono di verificare con rapidità e precisione la veridicità dei fatti”. [9]

Timori nutriti anche dal PCI e tanto, se lo stesso giorno in cui mise piedi a Napoli, proveniente dall'Unione Sovietica, il 27 marzo 1944, la prima domanda che Togliatti rivolse ai dirigenti locali del partito fu “E Bordiga, che cosa fa Bordiga?”. Tranchant la risposta di Maurizio Valenzi: “Niente”. Al che Togliatti, incredulo, ribattè: “Non è possibile, cercate di capire”. [10] Toccò a Salvatore Cacciapuoti ribadire che, almeno fino ad allora, Bordiga non aveva manifestato in alcun modo il suo pensiero “né con la penna né con la parola”. [11] Nonostante questo, Togliatti, racconta un suo stretto collaboratore di allora, pareva addirittura “ossessionato dalla preoccupazione di Bordiga a Napoli” [12], ma di fronte alla realtà dei fatti dovette presto cambiare idea, tanto da raccontare anni dopo che, nonostante le voci che correvano, “da quella parte, però, non si mosse foglia”. [13]

Anche gli Alleati e in particolare gli Americani cercarono di capirne di più e soprattutto di verificare se in qualche modo il vecchio comunista napoletano poteva essere utilizzato contro il Partito comunista di Togliatti nell'ottica di quella che poi diventerà la guerra fredda. L'office of Strategic Services (OSS), l'antenato dell'attuale CIA, svolse un'indagine riservata su Bordiga i cui risultati furono poi inviati, il 19 ottobre 1944, a Washington:

“ Amadeo Bordiga, illustre pensatore marxista italiano uscito dalla vita pubblica dal 1926, vive attualmente a Roma. E' tuttora una dinamo umana e un gigante intellettuale. Incontra leaders politici di tutti i partiti in colloqui informali, ma smentisce ogni intenzione immediata di azione politica contro i comunisti con cui ruppe sulla scelta tra rivoluzione mondiale immediata o temporeggiamento.. Dal settembre 1943 ha vissuto in stato di estrema ristrettezza a Formia, a sud di Roma, a poca distanza dal fronte, con sua moglie e sua figlia medico. Intende tornare alla sua professione di ingegnere industriale. Non ha un soldo e rifiuta ogni genere di aiuto. Sua moglie vive nel terrore che anche lui, come Trotsky, possa essere assassinato qualora decida di rispondere agli appelli di migliaia di suoi fanatici seguaci e diventi così il capo di un partito comunista indipendente che può portare alla rovina l'attuale partito comunista ufficiale. Togliatti troverebbe in Bordiga un potente concorrente. […] Secondo Bordiga, Togliatti e il suo partito non sono comunisti. Sono solo uno strumento dello Stato russo. Bordiga disprezza Nenni, ma ha più rispetto per un socialista riformista come Modigliani [...] Il fascismo è la forma politica ed economica più moderna del capitalismo. Dopo la guerra il fascismo si spargerà in molti paesi capitalisti sotto diversi nomi.[...] La democrazia è una bugia, in nessun posto la gente vive democraticamente. Sono tutti guidati da piccoli gruppi. Quel che esiste è una dittatura della borghesia sotto nomi diversi”. [14]

Ma non fu il solo tentativo. Nell'estate del 1944 un altro agente dell'OSS, l'italo-americano Vanni B. Montana [15] cerca di prendere contatto con Bordiga, che allora viveva a Roma a casa di una cognata. L'agente parla di una iniziativa personale, dovuta a semplice curiosità, ma, considerato il ruolo che Montana avrà nelle vicende italiane di quegli anni, ci permettiamo di dubitarne:

Nell'agosto del 1944, trovandomi a Roma con Antonini poco dopo l'ingresso degli americani - la città era al buio, affamata - una curiosità suscitata dai ricordi giovanili mi fece cercare Amadeo Bordiga. Un giovane socialista di gran nome, mi disse: «Vuoi vederlo? Te lo faccio vedere». E così lo incontrai. Era rimasto lo stesso del 1921, però con l'aspetto fisico molto meno teso di allora. Non volle nessun aiuto, neanche un caffè. Si ricordava di me, di un articolo che verso il 1921 avevo scritto sull'occupazione, da me capeggiata, del feudo Zafferana nelle vicinanze di Mazara del Vallo in Sicilia. La moglie, Ortensia, della famiglia di Corso Bovio, era sofferente; me lo disse una sua sorella ed a questa, sperando che raggiungesse Ortensia, diedi un po' di quel che Sheba Strunsky, dell'International Rescue Committee, mi aveva consegnato per aiutare qualche bisognoso”. [16]

In realtà nonostante questi tentativi, Bordiga si manterrà una posizione defilata. Solo dalla metà del 1945 inizierà a collaborare , ma restandone al di fuori, con il Partito Comunista Internazionalista che Onorato Damen e Bruno Maffi hanno fondato a Milano:

Una vita politica più attiva da parte di Bordiga, ma sempre entro i limiti di un parziale impegno e senza alcuna diretta responsabilità, si comincerà a manifestare solo quando il Partito Comunista Internazionalista, presente al Nord d'Italia dove si era formato nel 1943, riuscì ad allacciare con lui i primi contatti [...] Bordiga, dalla seconda metà del 1945 in poi, non va comunque oltre una partecipazione e una collaborazione quasi anonima all'attività del partito, limitandosi cioè a un ruolo di consigliere politico, di collaboratore alla stampa, e a un primo riordino teorico delle fondamentali posizioni marxiste. […] Va ricordato ancora che Bordiga non era neppure iscritto al partito: non partecipò mai direttamente all'organizzazione e alle attività del partito; fu volutamente assente al Convegno di Torino (1945) e al Primo Congresso di Firenze (1948), nonostante le fraterne sollecitazioni e i telegrammi inviatigli dai compagni. In alcune lettere ne criticò anzi sia l'iniziativa che le modalità e i risultati. Quel medesimo atteggiamento di rifiuto e di condanna di ogni attività, allora clandestina, che aveva caratterizzato tutto il periodo del suo ritiro privato, riaffiorerà per buona parte in Bordiga dopo la caduta del fascismo” [17]

Due sono le convinzioni profonde nutrite da Bordiga alla fine della guerra, la prima riguardante l'antifascismo, considerato “il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”,[18]  la seconda sulla assoluta impossibilità di una autonoma ripresa dell'azione di classe. Come sempre Bordiga ragiona per schemi: non essendo tempo di rivoluzione, non è tempo neppure di mettere in piedi partiti rivoluzionari.  Nel dopoguerra dunque non poteva esserci posto per una forza rivoluzionaria a sinistra del PCI. L'unica cosa possibile era un'attività di studio e di riflessione critica da svolgere secondo linee rigorosamente scientifiche nel più rigoroso anonimato. Da qui l'atteggiamento contraddittorio di partecipazione/non partecipazione tenuto fino al 1952, quando costruirà un suo partitino personale, nei confronti del Partito Comunista Internazionale. Ma questa è un'altra storia che esula completamento dai limiti del presente studio.

Note 

1. ACS-PP-B/1. Appunto anonimo, ma siglato col numero 591 (Angelo Alliotta), del 30 aprile 1943. Ripreso in R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit., p. 127.

2. Ivi, p. 128.

3. Ivi, p. 130.

4. Ivi, p. 131.

5. Ivi, p. 129.

6. Ivi, p. 131.

7. Ivi, p. 132.

8. Il PC Internazionalista e il «bordighismo» del secondo dopoguerra, cit., p. 10.

9. Philippe Bourrinet, Un siècle de Gauche Communiste «Italienne» (1915-2015), cit., pp. 30-31.

10. Maurizio Valenzi, C'è Togliatti, Sellerio, Palermo, 1995, p. 19.

11. Salvatore Cacciapuoti, Storia di un operaio napoletano, Editori Riuniti, Roma, 1972, p.130.

12. Italo De Feo, Tre anni con Togliatti, Mursia, Milano, 1971, p. 111.

13.  Marcella e Maurizio Ferrara, Conversando con Togliatti, Edizioni di cultura sociale, Roma, 1953, p. 321.

14. Bordiga, il nemico del PCI. Ritratto CIA di un comunista contro, L'Espresso, n. 1, 5 gennaio 1995.

15. Giovanni Buscemi “Montana” , miltante siciliano del PSI e poi del PCd'I, arrestato nel 1923 e diventato un confidente dell'OVRA. Alla fine degli anni Venti emigra negli Stati Uniti dove assume il nome di Montana. Diventato un importante dirigente sindacale, per conto dell'OSS è in Italia nel 1944-45. Nel dopoguerra per conto della CIA sarà uno dei principali artefici della scissione del PSI e poi della CGIL e della nascita della UIL.

16. Vanni B. Montana, Ricordo di Amadeo Bordiga, Critica Sociale n. 16-17, 5 settembre 1970. Quanto al “giovane socialista di gran nome” si tratta di Matteo Matteotti.

17. Il P.C. Internazionalista e il bordighismo del secondo dopoguerra, cit., p. 11.

18. Alfa (Amadeo Bordiga), La classe dominante italiana ed il suo Stato nazionale, Prometeo n° 2, agosto 1946.


Pezzo ripreso dal blog di Giorgio Amico

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