IL
SACCO DI PALERMO
Ovvero la produzione dello spazio mafioso
di
Vincenzo Scalia 10 ottobre 2020
[Il
testo seguente, ripreso dal sito http://www.palermo-grad.com/,
è la traduzione italiana dell’Introduzione ad uno studio
pubblicato da Vincenzo sulla rivista scientifica Trends
in organized crime]
Studiosi,
magistrati, politici, attivisti, usano la definizione di “Sacco di
Palermo” per riferirsi allo sviluppo urbano sproporzionato che
Palermo ha vissuto dopo la seconda guerra mondiale. Tra il 1951 e il
1991 sono stati costruiti 170.000 nuovi appartamenti (Cancila, 1985),
mentre la città vecchia è rimasta in rovina, poiché il numero di
residenti nella parte vecchia di Palermo è sceso da 125.000 a
30.000. Mentre si trascurava il rifacimento della parte monumentale,
le ville barocche e liberty della periferia furono rase al suolo per
far posto a edifici a più elevazioni. Non sono stati costruiti
servizi e strutture nella parte nuova della città, poiché gli
agrumeti sono stati inghiottiti da tonnellate di cemento. La mafia ha
svolto un ruolo fondamentale in questo processo (Chubb, 1983).
Il
massiccio e apparentemente non
regolamentato periodo di sviluppo edilizio - in effetti il Sacco si è
attuato anche attraverso l’approvazione
del piano regolatore del 1959 - ha fatto conoscere la mafia
siciliana agli italiani e, infine, al pubblico internazionale,
confutando l'idea di Cosa Nostra come un'organizzazione arretrata e
primitiva, come dipinta da molti autori (Hobsbawm 1963; Arlacchi
1983). Il processo di sviluppo urbano che costituì 'il Sacco'
dimostrò che la mafia siciliana - lungi dall'essere un'eredità
folcloristica del passato - era un'organizzazione potente e spietata,
la cui influenza si estendeva attraverso la politica, l'economia e la
società e che poteva contare anche sul sostegno internazionale. Il
Sacco di Palermo ha cambiato per sempre l'identità economica,
sociale e urbana della città (Chubb 1983; Scalia 2017). La Conca
d'Oro, cioè la fertile pianura di agrumi che circonda Palermo, ricca
altresì di pregiati edifici barocchi, è stata inghiottita da
scatoloni di cemento armato, edificati seguendo una cubatura
esagerata. Palermo oggi è un caso peculiare di città senza una
periferia in senso classico, in quanto le borgate storiche, che
facevano leva sull'economia agricola, sono state assorbite nel
tessuto urbano e hanno perduto la loro identità. Inoltre, questo
massiccio processo di costruzione ha compromesso la prospettiva a
lungo termine di sviluppare una strategia urbana alternativa. A
Palermo oggi mancano gli spazi necessari per realizzare un centro
direzionale, un terminal container, una fiera o un parco tecnologico,
tagliando così la città e l'area metropolitana circostante fuori
dall'economia globale contemporanea. Una strategia a breve termine,
quella dell’espansione edilizia intensiva ed estensiva, ha
compromesso il futuro di una città negli anni a venire.
Infine,
l'altro importante cambiamento riguarda l'identità della città. I
quartieri più antichi furono trascurati e abbandonati per decenni,
lasciati nelle stesse condizioni di degrado dalla fine della seconda
guerra mondiale. È stato così possibile trasferire gli abitanti del
cuore di Palermo nei quartieri di nuova costruzione, come ZEN, CEP,
Sperone e Borgo Nuovo. Parallelamente, nell'area compresa tra
l'antica città e le contrade comunali, venne costruita una nuova
città per impiegati della piccola borghesia, dove si trovano i
principali servizi e le più importanti strutture. Il degrado sociale
e urbano della città vecchia ha avuto conseguenze socio-economiche:
gli stretti legami di vicinato sono svaniti per sempre, e i loro
legami con le piccole imprese sono stati interrotti definitivamente,
eliminando così ogni possibilità di trasformazione delle attività
artigianali nella tipologia della piccola e media impresa che è
stata il motore dello sviluppo economico in altre parti d'Italia
(Bonomi 1998). Solo i mercati alimentari storici, come Ballarò, Capo
e Vucciria, sopravvivono oggi nella città vecchia, anche se lo
sviluppo dei centri commerciali rende sempre più difficile portare
avanti l'attività alimentare al dettaglio. La distruzione di queste
singolari reti residenziali-economico-familiari - conseguenza
immediata di questa deportazione forzata - ha seriamente danneggiato
anche la sensibilità civica dei palermitani. Considerando che la
coincidenza di residenza, lavoro e vicinato scaturisce nella
produzione di identità locali che forniscono il terreno su cui
attecchisce la partecipazione alla vita pubblica (Hannerz 1998),
vivere in isolati anonimi, circondati da vicini sconosciuti, in
circostanze precarie, ha trasformato molti dei primi residenti della
città in un proletariato diseredato, privo di identità sia sociale
che professionale.
Attingendo al lavoro di David Harvey
(1999) e Henri Lefebvre (1978), il Sacco di Palermo può essere
analizzato attraverso la categoria della produzione dello spazio, che
entrambi gli autori hanno sviluppato in relazione alla trasformazione
dello spazio urbano all'interno della società capitalista. Entrambi
gli autori condividono l'idea che lo sviluppo urbano ruota attorno al
passaggio dal valore d'uso al valore di scambio. Questo processo è
guidato dall'accumulazione capitalista. Le alleanze fluide tra
diversi gruppi sociali così come i risultati delle lotte sociali e
politiche, guidano la produzione dello spazio verso il raggiungimento
degli obiettivi specifici di questa alleanza. Nel caso del Sacco di
Palermo, questa categoria può essere riconfigurata come produzione
dello spazio mafioso, poiché il cluster di gruppi sociali riuniti
attorno alla mafia, che altri autori chiamavano la borghesia mafiosa
(Mineo 1953), ha promosso e realizzato questo trasformazione. A
differenza di altre aree urbane europee, in cui il capitalismo
moderno ha portato a un miglioramento delle condizioni generali di
vita, la produzione dello spazio mafioso ha portato sottosviluppo,
povertà, disgregazione, emigrazione, violenza, emarginazione, nonché
un massiccio spreco di risorse naturali e sociali. Questo processo di
urbanizzazione di Palermo si sviluppa in due parti complementari: in
primo luogo la dislocazione,
che riguarda lo sgombero fisico dei residenti (dislocamento
spaziale), accompagnato dalla trasformazione della struttura
produttiva: da agricola e industriale a clientelismo ed economia
illegale orientata. Le scelte compiute dall'amministrazione locale,
il coinvolgimento di attori economici locali come il Banco di
Sicilia, hanno giocato in questa fase un ruolo fondamentale nella
produzione dello spazio mafioso, utilizzando l'ideologia del
progresso per giustificare le loro azioni. In secondo luogo
l'anonimizzazione,
ovvero l'alienazione dei cittadini dalla loro cultura e tradizioni,
dal loro status professionale, dai loro legami sociali. Attraverso un
processo di de-identificazione ed emarginazione economica, la
popolazione che viveva a Palermo divenne soggetta all'egemonia della
borghesia mafiosa. La dislocazione e l'anonimizzazione riguardano
diversi gruppi sociali, dagli artigiani ai lavoratori, e si estendono
anche alle classi medie e alte che potevano accettare il dominio
mafioso solo per preservare i loro standard di vita e salvare parte
della loro ricchezza materiale e simbolica.
Arlacchi,
P. (1983) La
mafia imprenditrice.
Rizzoli, Milano
Cancila, O. (1989) Palermo. Laterza,
Bari
Chubb, J. (1983) A
tale of two cities. Politics and patronage in Southern Italy.
Cambridge University Press, New York
Hannerz, U. (1998) Esplorare
la Metropoli.
Il Mulino, Bologna
Harvey, D. (1999) L’esperienza
urbana.
Il Saggiatore, Milan
Hobsbawm, E. (1963) Primitive
Rebels.
Penguin, London
Lefebvre, H. (1978) The
production of space.
Verso, London
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