Danilo Arona - Sabina o della Mutazione
Una vita breve è divenuta un caso unico e straordinario. Che resta in buona parte un grande mistero, deframmentato fra Anima e Psiche. Ci stiamo riferendo a Sabina Spierlein, soprattutto alla luce di due film che andrebbero visti l’uno di seguito all’altro, non importa in quale ordine, Prendimi l’anima di Roberto Faenza (2002) e A Dangerous Method di David Cronenberg (2011).
L’ebrea russa Sabina, dapprima paziente problematica di Jung e divenuta in seguito psicanalista, visse con il celebre allievo di Freud una tormentata storia d’amore, senza dubbio più intensa di quella quotidianamente vissuta con la legittima moglie. Applicando i metodi antipsichiatrici mutuati dal maestro (nessuna coercizione o camicia di forza, nessuna doccia fredda o altre pratiche inquisizionali), Jung non solo guarì Sabina dalla sua grave isteria di origine ambientale (quasi certo era stata maltrattata dal padre) usando il dialogo e le associazioni verbali, ma instaurò con lei un legame erotico e passionale bruscamente interrotto dalle convenzioni dell’epoca e dall’intervento, discreto ma deciso, della moglie dello psicanalista.
Quest’ultimo però non rimosse affatto dalla mente e dal cuore Sabina che avrebbe incontrato una triste fine per mano dei nazisti. Jung continuò infatti a sognar la donna attraverso i suoi suoi celebri incubi premonitori che gli segnalarono i non pochi momenti di pericolo in cui Sabina sarebbe incorsa una volta raggiunta la Russia.
Questa dimensione “occulta” della vita di Jung è ancora una delle componenti più affascinanti e discusse del fondatore degli archetipi. Nel film di Faenza, in due momenti diversi, Jung dice: «Io sento le cose prima che succedano» e, al termine di un incubo angoscante, «Ogni giorno che passa, il buio diventa sempre più opprimente, si insinua nel nostro essere e sparge semi di terrore”, con implicito riferimento al nazismo che avanzava e alle tragedie collegate.
Così in poche e insufficienti parole la descrizione della parabola, umana e professionale, di Sabina e Jung, che è sostanzialmente una storia di “mutazione”, da paziente a terapeuta per quel che riguarda la donna, ma di trasformazione dello stesso metodo psicanalitico.
Risale alla fine degli anni Settanta e all’inizio del decennio successivo del secolo scorso, quasi una sorta di improvviso contagio memetico il flusso di attenzione emozionale e intellettuale intorno alla figura della Spierlein.
Infatti data al 1980 il Diario di una segreta simmetria di Aldo Carotenuto. Come possiamo riferire allo stesso arco di tempo, altri contributi, studi e libri sulla figura della Spierlein: l’inizio del lavoro di John Kerr, Un metodo molto pericoloso (il libro da cui Christopher Hampton trarrà nel 2002 la pièce A Talking Cure; la riscoperta da parte di Mireille Cifali del Diario di una trasformazione, scritto dalla stessa Spielrein e pubblicato in edizione francese nel 1983.
E in modo indiretto sulle componenti della sostanza archetipica, cioè i contenuti dell’inconscio collettivo, che si possono cogliere nella vicenda Jung-Spielrein raccontata ne film di Faenza e di Cronenberg, va da sé che potremmo citare lo stesso regista italiano quando scrive[1] che “la storia di Sabina racchiude in sé molti degli avvenimenti più importanti del suo secolo: la Spielerin ha fronteggiato due giganti come Freud e Jung uscendone a testa alta, si è scontrata con lo stalinismo prima e col nazismo poi, senza mai tradire le proprie convinzioni, con una passione e una dedizione di cui pochi oggi sarebbero capaci”, ma il concetto finale diviene più chiaro se andiamo a visualizzare le dinamiche archetipiche attraverso le immagini filmiche. Ed è su questo fronte che, pur nella loro notevolissima diversità, Faenza e Cronenberg mostrano una notevole analogia: in Prendimi l’anima, dietro l’intreccio del triplice destino Freud/ Jung /Spierlein, si coglie la furia devastante delle due grandi tragedie europee che fanno da sfondo e contesto alla nascita e allo sviluppo della psicanalisi: la tragedia della Shoah e la degenerazione dello stalinismo. Il contraltare maligno, quasi demoniaco, alle sciamaniche forze della natura che l’energia pulsionale della psicanalisi ha liberato per mano di Freud, Jung e Spierlein. Tutti e tre inconsapevoli agenti della distruzione: Jung che sogna di una Onda gigantesca che dal mare del nord travolge le Alpi; Freud che fugge da Vienna mentre i suoi libri vengono dati alle fiamme e Sabina che conosce gli orrori prima dello stalinismo e poi del nazismo.
Da me interrogato sull’argomento (e chi se non lui che ha posto mano alla sceneggiatura del film di Faenza), ecco quanto mi ha detto l’amico, psicanalista junghiano ed eccelso scrittore, Alessandro Defilippi.
Quali sono, se ci sono, le differenze di approccio alla storia di Sabina tra il film di Faenza e quello di Cronenberg?
Mi pare che l’approccio sia sostanzialmente molto diverso. Da un lato, Cronenberg sottolinea il rapporto tra Freud e Jung, allora ancora suo allievo, prima della separazione, databile alla pubblicazione della prima versione di Simboli della trasformazione, in cui Jung prende le distanze dalla teoria pansessualista di Freud. C’è da dire che si tratta di certo di una delle relazioni fondanti per il pensiero e per la società del ‘900, e che si presta senza dubbio a una trasposizione narrativa e cinematografica. Per Faenza invece l’interesse centrale è volto alla figura straordinaria di Sabina, di cui viene raccontata anche la “seconda vita”, con la fondazione a Mosca dell’Asilo Bianco.
Freudismo versus Jung? C’è questo aspetto in ambedue i film?
Per i motivi di cui ho parlato prima, direi che il tema del conflitto – non solo intellettuale, ma anche personale, in un rapporto del tipo padre- figlio eletto- è più presente in Cronenberg. Ricordo che, durante la stesura della sceneggiatura di Prendimi l’anima, io proposi a Faenza di far comparire, anche solo in modo simbolico, la figura di Freud. Faenza però preferì sempre sottolineare la storia di Sabina. La presenza di Freud, credo, sarebbe stata troppo ingombrante e fuorviante nel suo film. Comunque la storia di Sabina dimostra in pieno che i grandi padri della psicoanalisi, nessuno dei quali vi fa una gran figura, erano persone con tutti gli irrisolti e i difetti di ciascuno di noi. Questo però non inficia, direi, il significato storico della psicoanalisi, di cui, d’altronde, si sono celebrati a più riprese i funerali. Credo che la psicoanalisi oggi sia molto diversa da quella delle origini, per motivi sociali, culturali, economici. E credo anche che la psicoanalisi che gran parte del pubblico conosce sia un lascito delle scuole analitiche e non di Freud o di Jung. Come si sa, gli epigoni sono spesso più rigidi dei maestri, e più realisti del re. In qualche modo, leggere i testi originali di Freud e Jung ci offre un quadro molto diverso, molto più libero e in divenire, in cui l’equazione personale –come la chiama Jung – dell’analista è più importante delle regole. D’altronde, la Chiesa che conosciamo è quella di Gesù o quella di Paolo di Tarso? Mi pare che non ci possano essere dubbi nella risposta. Pertanto, credo che ogni analista debba domandarsi quanto la storia del movimento abbia tradito le idee originali.
Concludo infine con una considerazione quanto mai pertinente dell’amico, saggista e scrittore, Mario Gazzola[2].
«Sono io il malato»,dice Jung nel film di Cronenberg, ma dice anche che «Solo il medico ferito può guarire». Come dire che nella vita vera le scelte “win-win” (come oggi si usa chiamarle) non esistono: o accettiamo di reprimerci per aderire alla morale comune o facciamo ciò che sentiamo, e da qualche parte qualcuno punterà l’indice accusatore.
Come nell’Eros – che Jung libera tradendo la devota moglie con la Spielrein – e sarà proprio quest’ultima a far intravedere (tanto a lui quanto al compassato Freud) la coesistenza di un impulso alla creazione e uno alla distruzione. Un “istinto di morte” come annullamento di sé nell’altro, da cui il nostro stesso Ego rifugge come per autodifesa. Da questo dualismo derivano molti conflitti che il “vecchio” Freud attribuisce a libido repressa da fattori legati alla storia del soggetto. Senza addentrarci troppo nei meandri della scienza psicanalitica senza esserne veri esperti, è proprio questo il contributo più decisivo portato dalla Spielrein alla disciplina, anche se riconosciuto dalla comunità scientifica solo in tempi recenti. Forse anche perché vissuto, letteralmente scavato nella carne di una passione primordiale e devastante, sadomasochistica a ruoli alternati: prima Sabina sviscera il proprio desiderio di rivivere le punizioni corporali di un padre violento; poi è Jung a finire vittima della passione e ritrovarsi svuotato e distrutto dal demone che ha risvegliato in sé attraverso la paziente-allieva-amante.
Forze primordiali, sciamaniche, che hanno purtroppo scatenato reciproche e antagoniste Ombre demoniache. Forse molta storia, inspiegabile, del nostro presente potrebbe essere così raccontata. La Mutazione contro la Pietrificazione dell’Anima.
[1] Roberto Faenza, Prendimi l’anima, ArcanaFiction, Roma, 2003.
[2] Mario Gazzola, Cronenberg e Jung, trascendere, con pena, Next 17, Rivista di Cultura Connettivista, www.next-station.org/
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