Le
incredibili vicende politiche italiane hanno fatto assumere alla figura del
Presidente della Repubblica un ruolo da protagonista. Non a caso, per la prima
volta nella storia della nostra Repubblica, è stato rinnovato l’incarico al
Presidente uscente.
Le osservazioni critiche sul suo operato sono
cresciute negli ultimi mesi e in questi ultimi giorni. Noi oggi preferiamo
astenerci da ogni giudizio sommario e consigliamo di leggere il libro recensito
nelle seguenti righe:
LUCA MENICHETTI – LA PRESA DEL POTERE DI GIORGIO
NAPOLITANO
Se ci pensate bene la biografia di un personaggio
ancora in vita, e per di più in carica come Presidente della Repubblica,
rischia di vedere la luce comunque con un finale del tutto aperto e lasciando
irrisolti molti dubbi. Così è stato anche con “L’ultimo comunista” di Pasquale
Chessa, il racconto “tra luci e ombre” delle varie stagioni di Giorgio
Napolitano militante comunista e poi uomo delle istituzioni: pubblicato
nell’aprile del 2013, proprio il 20 di quel mese l’ottantottenne Napolitano, a
seguito di una miseranda manovra di palazzo Pd-Pdl, stupidamente favorita
dall’intransigenza della coppia Grillo-Casaleggio, viene rieletto Presidente
della Repubblica. Visti i precedenti, un’elezione che faceva tirare un sospiro
di sollievo a questi signori: le cosiddette “larghe intese” si sarebbero
finalmente fatte, ufficializzando una prassi esistente fin dagli anni ’90. La
biografia scritta da Chessa si ferma quindi poco prima di questo estremo (e non
ultimo) tentativo di una classe politica totalmente screditata di conservare
potere e privilegi. Ma al di là di questo mancato aggiornamento che,
nell’equilibrio tra luci e ombre, potrebbe far pesare diverse ombre in più,
rispetto ad esempio al libro “Il custode” di Giampiero Cazzato (pubblicato nel
2011), c’è da dire che “L’ultimo comunista”, pur limitandosi a riassumere a
grandi linee quanto accaduto in questi ultimi due anni di fallimentare governo
tecnico, proprio alla luce degli ultimi accadimenti ci propone
un’interpretazione forse più completa dell’operato di questo Presidente; ovvero
di un Napolitano che ha assunto poteri fino ad ora inimmaginabili per un Capo
di Stato italiano, ma che nello stesso tempo – pensiamo alla copertura politica
riservata ad un governo fiduciato da un Parlamento di nominati e che per di più
vuole modificare l’art. 138 della Costituzione – da “custode” rischia di
non custodire proprio un bel nulla, se non appunto i poteri e i privilegi della
classe politica che lo ha malamente rieletto. Fin qui le considerazioni
personali aggiornate all’agosto 2013 ed in presenza di un governo frankenstein
eterodiretto da un pregiudicato.
Pasquale
Chessa, che non è soltanto giornalista ma anche storico, ha un approccio meno
polemico e come in una biografia che si rispetti, utilizzando documenti di
partito, lettere, testimonianze di amici e nemici ed anche una ricca
bibliografia, compresi i libri di memorie dello stesso Napolitano, dei quali
propone una personale parafrasi, ricostruisce il percorso personale e politico
dell’undicesimo (e dodicesimo) presidente della Repubblica: dallo stalinismo
agli anni delle invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, ai vari
comunismi esistenti malgrado il cosiddetto centralismo democratico, le correnti
ufficiose del Pci tra la destra amendoliana, la sinistra di Ingrao, la corrente
migliorista; ed infine il tracollo del socialismo reale e della stessa idea
comunista, tangentopoli, il coinvolgimento della corrente migliorista con tutte
le allusioni maligne degli ex socialisti e degli ex comunisti passati a Forza
Italia, l’inaspettata elezione al Quirinale, il complesso gioco delle parti con
Berlusconi, il braccio di ferro con la Procura di Palermo.
Andando a
ritroso ritroviamo buona parte di quanto avevamo letto tra le pagine del
“Custode” di Cazzato: dall’origine borghese alla gavetta politica con Salvatore
Cacciapuoti e Giorgio Amendola, tra le arroganti epurazioni dei presunti e
degli autentici trotzkisti e la cosiddetta scissione di Montesanto, cooptato
nel Centro Economico Italiano per il Mezzogiorno, militante insieme a tanti
altri noti nomi del comunismo napoletano come Clemente Maglietta, Carlo
Fermariello, Aldo De Jaco, Gerardo Chiaromonte. Negli anni emerge il ritratto
di un politico molto abile, puntiglioso, che non lascia dubbi sulla sua
concezione di militanza di partito: sempre e comunque il primato della politica
sull’ideologia, in qualche modo la soluzione più lineare per motivare la sua
scelta comunista senza sentirsi antidemocratico e totalitario. Tutto questo
malgrado episodi eclatanti e a dir poco indecorosi – pensiamo alla
posizione del Pci durante la rivoluzione ungherese del ’56 – che Chessa è
riuscito a raccontare con un’efficace capacità di sintesi, dal periodo di cieca
fedeltà alla linea sovietica fino ai difficili mea culpa di cinquant’anni dopo.
In questa sua “scissione spirituale tra corpo politico e anima ideologica”
Chessa vede un esempio della famosa “doppiezza togliattiana”, declinata da
Napolitano con meno cinismo ed attingendo a quel bagaglio culturale che proveniva
dai suoi studi giovanili e dalla sua famiglia liberale: “ La sua autobiografia
è costellata di incontri speciali che tramanderanno di lui il profilo di un
comunista anomalo, già postcomunista senza mai diventare ex comunista” (pag.
101).
L’anomalia
di questo comunista figlio di liberali si coglie ancora in alcuni passaggi
della biografia, in particolare nella polemica che lo vide contrapposto a
Berlinguer: “Napolitano [n.d.r.: con frasi dal suo libro di memorie pubblicato
nel 2005] ricorda con lucidità il tentativo, tipico della pedagogia
berlingueriana, di ricapitolare l’intera storia del Pci entro un più vasto
quadro mondiale ed europeo, su una linea di anacronistica ortodossia comunista
in cui trovavano posto il rifiuto di qualsiasi abiura dell’esperienza sovietica
e della Rivoluzione d’Ottobre, e contemporaneamente le rinnovata condanna della
socialdemocrazia e i suoi esiti politici tutti all’interno della logica del
capitalismo” (pag. 145).
Ancora più
attuale la lettura di Chessa sulle esternazioni e manovre di Napolitano uomo
delle istituzioni: malgrado nelle vesti di Capo dello Stato per il momento
abbia sposato la linea delle “larghe intese”, evitando di promuovere una sorta
di “governo del Presidente”, nel lontano 1994 non appariva affatto ben disposto
nei confronti dell’ex premier Berlusconi, appena sceso in politica per
regalarci il miracolo italiano”. Così scriveva nel suo libro “Dove va la
Repubblica”: “Conduzione aziendale combinata con gli strumenti della
persuasione pubblicitaria […] Questa è la politica dell’antipolitica”.
Chessa
inoltre ritiene che Napolitano, per contenere le barbarie giuridiche imbastite
dall’ultimo governo Berlusconi, abbia messo in campo degli autentici
stratagemmi e manovre tali da disinnescare gran parte dei provvedimenti più
indecorosi: da una lato la promulgazione con monito, che di fatto si traduce in
un atto di direzione politica; dall’altro “una sorta di sabotaggio politico
organizzato attraverso sommerse procedure che non lasciano tracce ma si possono
dedurre e intuire dai risultati. Fra moniti, suggerimenti, correzioni e rinvii,
sono molti le leggi che svaniscono nelle pieghe delle procedure. Succede per la
legge bavaglio sulle intercettazioni […] Con meno clamore, ma con le medesime
procedure, è vanificato il devastante piano casa che avrebbe sfigurato per
sempre i profili delle città e gli orizzonti del paesaggio italiano [...] La
strategia delle pietre di inciampo viene messa in atto anche per il caso
Englaro” (pag. 13).
Un Capo
dello Stato che, vista la latitanza di una politica decente, a buon titolo ha
potuto dire: ”In questi sei anni di Quirinale ho potuto comprendere come il
Presidente della Repubblica italiana sia forse il capo di Stato europeo dotato
di maggiori prerogative”. Poteri, come ricorda ancora Pasquale Chessa,
all’inizio del mandato neppure pensava di avere. “E che ha saputo di sapere
usare con scaltrezza da vero, ultimo comunista”.
EDIZIONE
ESAMINATA E BREVI NOTE
Pasquale
Chessa, giornalista
e storico, vive fra Roma, Parigi e Alghero, dove è nato. Dopo i programmi
culturali di Radio Rai, ha lavorato per i servizi culturali de
"l'Espresso", "Europeo", poi è stato vicedirettore di Epoca
e Panorama. Ha scritto "Rosso e nero" (1995), libro intervista con
Renzo De Felice; "Guerra civile 1943-1945-1948. Una storia
fotografica" (2005); "Italiani sono sempre gli altri" (con
Francesco Cossiga, 2007); "Dux. Benito Mussolini. Una biografia per
immagini" (2008); "L'ultima lettera di Benito" (con Barbara
Raggi, 2010).
Pasquale
Chessa, "L’ultimo comunista. La presa del potere di Giorgio
Napolitano", Chiarelettere (collana Principioattivo), Milano 2013,
pag.256.
Luca
Menichetti. Lankelot, agosto 2013
Recensione
già pubblicata il 13 agosto 2013 su ciao.it e qui parzialmente modificata.
Questa mattina, avendo pubblicato anche su FB questa recensione, mi sono accorto che chi non ha avuto la pazienza di leggere il testo si è lasciato fuorviare dal discutibile titolo dato al libro. Ora, a scanzo di equivoci, chiarisco che il titolo e certi contenuti del libro di Chessa non piacciano neppure a me!
RispondiEliminaD'altra parte chi mi conosce dovrebbe sapere che, dal mio punto di vista, Napolitano, come tanti altri, non è mai stato un comunista!
L'ultimo vero comunista per me è stato Antonio Gramsci!