Lucio Villari - Marx artista
incompreso
Leggere "Il
Capitale" come un poema epico
Marx è morto pochi
giorni dopo Wagner, ma i suoi funerali non hanno avuto, come quelli
di Wagner, la cornice di Venezia e poi un D'Annunzio capace di
rievocarne l'atmosfera magica e decadente.
Solo venti persone
erano invece presenti al vittoriano cimitero di Highgate per
salutare, il 17 marzo 1883, l'altro grande tedesco. «Era uno di
quegli uomini eccezionali, di cui ne nascono pochi in un secolo. Il
suo nome e la sua opera vivranno attraverso i secoli»: lo ricordò
così a quei pochi l'amico Engels. In un certo senso queste parole
potevano valere anche per Wagner perché molto resta di loro e del
loro spirito tra i problemi, i pensieri e i sentimenti del nostro
tempo. Paradossalmente forse Wagner fu ed è più popolare di Marx,
perché il socialismo e il comunismo nati in nome di Marx non sono
passati attraverso la diffusione reale e popolare e la meditazione
delle idee e degli scritti di Marx (operazione difficile sia per
ragioni tecniche - le analisi dei processi e dei meccanismi
capitalistici - sia per il loro complesso retroterra filosofico,
letterario e storico), ma dalla loro eco politica e dalla loro
semplificazione sociale. Così, al contrario di quanto avvenne per
la musica (anch'essa ideologica) di Wagner, scarsi sono stati la
comprensione effettiva e- non sembri strano - perfino il godimento
estetico. Quest'ultimo, peraltro, fortemente sperato proprio da
Marx che del Primo Libro del Capitale (il Secondo e il Terzo furono
elaborati da Engels) disse testualmente che era stato scritto
secondo un progetto fondato su "considerazioni artistiche".
L'impopolarità di
queste scritture, e il fatto chea leggerle siano stati proprio
coloro ai quali non erano indirizzate, cioè quanti appartenevano a
una formazione sociale e a un sistema di conoscenze e di studi di
tipo borghese, fece sì che quando nel 1867 apparve il Capitale
l'accoglienza fu un assoluto silenzio. Per molti anni (anni
cruciali: la guerra franco-prussiana, lo sviluppo della Prima
Internazionale, la nascita dell'Impero tedesco, lo slancio
industriale e finanziario del capitalismo, il crescente
colonialismo, eccetera) nessuno ne parlò. Marx ammetterà subito
l'impopolarità e l'emarginazione culturale di un'opera che avrebbe
dovuto invece investire le università, i luoghi di ricerca
scientifica, le centrali ideologiche del capitalismo, prima che le
organizzazioni sindacali o le proteste operaie. «Gli intellettuali
e i non intellettuali corifei della borghesia tedesca - scriverà
nel 1873 - hanno cercato di uccidere il Capitale col silenzio, come
erano riusciti a fare con i miei scritti precedenti». Nessun
cenno, ovviamente, agli altri lettori che, tranne una minoranza
anch'essa d'origine borghese, non potevano che essere rappresentati
dal "lesender Arbeiter", il lavoratore autodidatta.
Le cose poi cambieranno
ma grazie più che alle opere di Marx, al "marxismo",
alle crisi economiche, alle lotte salariali e per i diritti sociali
e politici cioè agli impeti di libertà e di democrazia che
presero il nome di "socialismo". Si capisce meglio perciò
quella battuta ironica a lui attribuita sul finire della sua vita:
«io non sono marxista». Era solo, possiamo immaginarlo,
l'orgoglio dello scrittore, dell'"artista" incompreso,
anche se elaboratore di idee geniali e moderne che toccavano,
apparentemente, soltanto la scienza triste, l'economia e non invece
tutto un insieme di valori e significati.
Sì. Ma quale economia?
Anche su questo bisogna essere filologicamente e storicamente più
precisi. L'oggetto principale dell'analisi marxiana, nel Capitale
come in tutte le altre sue opere dedicate al tema, era, come dice
il sottotitolo, la "Critica dell'economia politica". Era
proprio questo il dato filosofico (il termine "critica"
era insieme kantiano e hegeliano) della sua ricerca. Era qui la
dimensione artistica, era la sua particolare sensibilità
letteraria a permettergli di penetrare nelle strutture proteiformi
e epiche del "capitale" e, come diceva, dei «rapporti di
produzione e di scambio che gli corrispondono». E come in un poema
mitologico o in un romanzo epico, i protagonisti di questo
"capitale" diventano espressioni simboliche e astratte
del suo racconto critico alla scoperta della verità delle cose
dell'economia spesso nascoste proprio dall'"economia
politica".
«Perseo usava un manto
di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia
sugli occhi e le orecchie per poter negare l'esistenza dei mostri».
Ma i suoi strali non si appuntavano sulle persone del capitalismo.
Ecco una sua poco nota osservazione al riguardo: «Una parola per
evitare possibili malintesi. Non dipingo affatto in luce rosea le
figure del capitalista e del proprietario fondiario.
Ma qui si tratta di
persone soltanto in quanto sono personificazione di categorie
economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati
interessi di classe. Il mio punto di vista meno che mai può
rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali egli è solo
creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi sopra i
rapporti stessi».
Questa precisazione
risponde a un procedimento di logica filosofica, un tocco di classe
(borghese) che ha radici profonde nella sua formazione anche
politica e che ha origine negli studi sulla filosofia greca e in
particolare in quel saggio su la Differenza tra la filosofia di
Democrito e quella di Epicuro del 1841 (Marx era appena laureato).
Qui Marx individua la creativa contraddizione tra «due indirizzi
radicalmente contrapposti dei quali l'uno, il partito liberale,
come possiamo in genere designarlo, tiene fermo come determinazione
fondamentale il concetto e il principio della filosofia, mentre
l'altro tiene fermo il non concetto di essa, il momento della
realtà.
Questo secondo
indirizzo è la filosofia positiva, ma solo il partito liberale, in
quanto partito del concetto, giunge a progressi reali, mentre la
filosofia positiva può giungere solo ad esigenze e tendenze la cui
forma contraddice il loro significato». Già pochi anni dopo Marx
trasferiva non nell'economia in sviluppo, ma nella critica di
questa economia la verità liberale che avrebbe poi potuto
diventare la libertà socialista. Cento trenta anni dopo la sua
morte questo Marx ci interessa ancora e ci spiega molte cose del
nostro tempo
(Da: La Repubblica
1/8/2013)
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