Ma le avete viste le
facce livide dei tirapiedi del boss che straparlano oscenamente di
democrazia e libertà violate? Era dai tempi di William Hogarth e John
Gay e del loro teatro delle canaglie che la politica in Occidente non
offriva uno
spettacolo così miserabile e al tempo stesso ridicolo...
Massimo Giannini - Il ricatto del
condannato
La tragicommedia del
"Santo Martire della mala-giustizia italiana" è giunta
infine al suo climax. Dopo la condanna definitiva decisa dalla
Cassazione per Silvio Berlusconi, si dispiegano con geometrica
potenza l'improvvisa drammatizzazione del suo ricatto politico e la
messinscena mediatica della Grande Banalizzazione dei suoi processi
penali. Il ricatto è ultimativo, e chiama in causa il Quirinale: o
mi date un salvacondotto, o salta tutto. La banalizzazione è
suggestiva, e chiama in causa le coscienze: ho salvato il Paese dai
comunisti, quindi sono innocente per definizione.
Nell'anomalia berlusconiana non c'è spazio per la realtà. Anche se la realtà è molto semplice. Per lo Stato, in rappresentanza del quale si sono espressi i giudici della Suprema Corte, il Cavaliere è colpevole di un reato gravissimo, provato al di là di ogni ragionevole dubbio in tre gradi di giudizio. Per questo, come qualunque altro cittadino e secondo il principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge, merita la pena che gli è stata inflitta. In qualunque altra democrazia occidentale non ci sarebbe altro da aggiungere. Il condannato prende atto, e sconta il suo debito con la giustizia, pagandone tutte le conseguenze. Comprese quelle politiche, se ne esistono.
Nell'anomalia berlusconiana non c'è spazio per la realtà. Anche se la realtà è molto semplice. Per lo Stato, in rappresentanza del quale si sono espressi i giudici della Suprema Corte, il Cavaliere è colpevole di un reato gravissimo, provato al di là di ogni ragionevole dubbio in tre gradi di giudizio. Per questo, come qualunque altro cittadino e secondo il principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge, merita la pena che gli è stata inflitta. In qualunque altra democrazia occidentale non ci sarebbe altro da aggiungere. Il condannato prende atto, e sconta il suo debito con la giustizia, pagandone tutte le conseguenze. Comprese quelle politiche, se ne esistono.
Solo in questa Italia, narcotizzata dalla propaganda mistificatoria ed egemone di una destra autocratica e populista, può succedere che il carnefice si spacci per la vittima. Solo in questa Italia, lobotomizzata da una "guerra dei vent'anni" combattuta da un conducator che si pretende sempre e comunque legibus solutus, può succedere che il "pregiudicato" si rappresenti come il "perseguitato". Ed è dunque in nome di questa colossale manipolazione che una verità processuale ormai certificata può essere "venduta" sul mercato politico e veicolata nel discorso pubblico come una banale falsità, che se pure macchia la fedina penale del leader non indebolisce la sua immagine sacrale e la sua tempra morale. Al contrario. I tribunali della Repubblica hanno stabilito che Berlusconi ha frodato il fisco per creare fondi neri, secondo uno schema collaudato che gli è servito e gli serve da decenni per corrompere politici, giudici e finanzieri. Ma questo, per i Grandi Banalizzatori in servizio permanente effettivo, non conta nulla. La sentenza (ancorché definitiva, fattuale e soprattutto documentale) è un groviglio di parole ridotte a gusci vuoti, sulle quali non vale neanche la pena fermarsi a riflettere. Non vale la pena provare a capire cosa, come e perché è successo tutto questo, a un ex presidente del Consiglio di questo Paese.
Anzi, proprio questa sentenza di condanna (manomessa e trasformata nel suo contrario) è usata per paradosso a rafforzare la legittimità politica del Cavaliere, che di fronte ai suoi scudieri e ai suoi elettori torna ora a parlare di voto anticipato. Com'era ovvio e prevedibile la "pacificazione", pilastro ideologico del governo di "unità nazionale", era solo un pretesto posticcio: quasi la prosecuzione dell'impunità con altri mezzi. Per lo Statista di Arcore non vale l'interesse nazionale, ma solo quello personale. E dunque, come spiega ai suoi gruppi parlamentari, a questo punto conviene andare alle elezioni al più presto, "per vincerle" e per fare finalmente quella "riforma della giustizia" che non serve agli italiani, ma serve solo a lui. Una riforma che non garantisce più attenzioni agli imputati, ma promette più sanzioni ai magistrati. Seguire Berlusconi, nel videomessaggio di due giorni fa, è come osservare i "nuovi tiranni" raccontati da John Berger. Occhi piccoli, pronti, che esaminano tutto e non contemplano nulla. Orecchie capienti come banche dati, ma incapaci di ascoltare. Labbra che tremano di rado, e bocche che minacciano implacabilmente decisioni. Mani gesticolanti, che dimostrano formule e non toccano l'esperienza. Soprattutto, assoluta fiducia in se stessi, pari alla loro tracotanza e alla loro ignoranza.
William Hogarth, Gin Lane. Ovvero esponenti del PDL che manifestano contro la giustizia "ingiusta" |
E questo non è che
un debutto. Cosa accadrà tra qualche giorno, quando un'altra
sentenza precipiterà sulla scena, a scatenare l'ira del pelide
Silvio? Cosa succederà quando la stessa Cassazione si pronuncerà
sul maxi-risarcimento che la Fininvest deve alla Cir, per un altro
enorme episodio corruttivo (anche questo certificato da una
sentenza passata in giudicato) come il Lodo Mondadori comprato a
suon di mazzette al giudice Metta? Cosa farà il Cavaliere, se non
quello che sa fare meglio da quando è sceso in campo nel '94, cioè
rovesciare tavoli, bruciare vascelli, saltare come un ardito nel
cerchio di fuoco di un'avventura politica vissuta sempre e soltanto
come campagna elettorale permanente? Gli atti sediziosi del Pdl,
per adesso solo annunciati, saranno prima o poi realizzati. La
Vandea dei ministri, l'Aventino dei parlamentari, l'assedio al
Quirinale, costretto ancora una volta a escludere ufficialmente
l'ipotesi folle di un provvedimento di grazia ad personam. E chissà
che altro ancora, per "ripristinare la democrazia",
violata solo perché un manipolo di magistrati, coraggiosi e
scrupolosi, ha provato a fare fino in fondo il proprio dovere:
amministrare la giustizia. Anche nei confronti di un cittadino
"eccellente" che ha fatto di tutto per sottrarvisi, dai
sovversivi Lodi Schifani-Alfano ai compulsivi legittimi impedimenti
"per uveite". E che si ritiene meno uguale degli altri
solo perché la sua gente lo ha votato ed "eletto", a
questo punto non solo in senso parlamentare ma quasi divino.
In questo scenario, ragionare ancora sulle prospettive del governo Letta non ha molto senso. L'orizzonte politico, spaziale e temporale, si restringe ineluttabilmente. Era nelle cose, e solo chi si è lasciato e si lascia ancora ammaliare dalla Grande Banalizzazione poteva non vederlo. Verranno ore drammatiche. E per Giorgio Napolitano, che finora ha supplito da solo all'irresolutezza della politica e ha retto tutto intero il peso di una governabilità quasi impossibile, rischia di avvicinarsi ancora una volta il momento delle scelte più difficili. E questo è tanto vero, che anche la sinistra ha il dovere almeno di chiedersi se non occorra giocare d'anticipo, piuttosto che aspettare ancora una volta gli eventi. Un tema cruciale, che interroga il Pd, obbligato a riflettere sulla natura di questa anomala Grande Coalizione, e anche il presidente del Consiglio, chiamato a una rigorosa analisi costi/benefici della sua missione a Palazzo Chigi. Per tornare a John Bergere: non basta "ammassare il branco" per dire che si sta governando. Letta non ha torto, quando sostiene che "fermarsi ora sarebbe un delitto". Ma ha più ragione di lui chi oggi si domanda: come si può andare avanti con un presunto alleato che un "delitto" lo ha commesso davvero, secondo una sentenza ormai definitiva pronunciata nel nome del popolo italiano?
(Da: La Repubblica del
3 agosto 2013)
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