Amico di Walter
Benjamin, fratello di uno dei massimi dirigenti del KPD poi
assassinato dai nazisti, Gershom Scholem (1897-1982) ci ha lasciato
un'interpretazione affascinante del pensiero ebraico, imperniandola
su un asse linguistico-storico in cui i simboli hanno un ruolo
centrale. Esce ora a trent'anni dalla morte un libriccino sulla
“Stella di Davide” che può rappresentare una buona introduzione
alle sue opere maggiori sulla mistica ebraica.
Susanna Nirenstein - Nascita di un
simbolo così la stella a 6 punte diventò di Davide
L' associazione è
immediata: la Stella di David, in ebraico il Magen David (Scudo di
David), vuol dire "ebrei". Campeggia sulla bandiera d'
Israele, sulle sinagoghe degli ultimi secoli, sui libri di
preghiera, nelle comunità, al collo dei fedeli, l' abbiamo vista
come marchio di vergogna e di condanna a morte durante il nazismo,
e ancora oggi gli antisemiti la bruciano, la sfregiano. Ognuno,
davvero ognuno, è convinto che racchiuda il mondo, il cuore di
questo popolo, da sempre, anche se ha fatto la sua comparsa in
altre culture. E invece no.
Un interessantissimo
libretto appena uscito del grande filosofo israeliano Gershom
Scholem (nato in Germania nel 1897, immigrato a Gerusalemme nel
1923) che allo studio del misticismo e al sionismo ha dedicato la
vita, ci dice il contrario: al di là di quello che è diventato,
perché è indubbio che oggi rappresenti Israele e l' ebraismo, e
vedremo come ci è arrivato, l' esagramma, documenta Scholem, non è
un simbolo ebraico, non esprime niente della carica spirituale
dell' ebraismo, della sua eredità intuitiva, e nemmeno della sua
storia: non parla affatto di un supposto sigillo di Salomone, come
si è spesso detto, o delle guerre del regno di David, non
rappresenta l' armonia della Creazione descritta nella Torah, né
l' unione dei contrari e della loro neutralizzazione nell' unità,
nel Dio unico, non richiama alcunché dell' ebraismo biblico o
rabbinico. Anzi, è tutt' altro. Non è che un segno magico di
protezione, una sorta di talismano diffuso in numerosi popoli,
fenici, assiri, indiani, tra gli zoroastriani...e molto più tardi,
come sappiamo, nelle chiese bizantine, e anche nelle moschee. In
una delle sue prime comparse nel mondo ebraico, quella sulla
sinagoga di Cafarnao nel II o III secolo, è un evidente ornamento,
sottolinea Scholem, niente meno che messo accanto a una svastica! E
così in molti altri luoghi, magari vicino a una stella a cinque
punte.
Scholem non esita, la
sua determinazione a demolire il mito appare all' inizio totale:
fino alla metà dell' Ottocento, scrive, citando ogni traccia
possibile da massimo esperto qual è, nessuno studioso o cabalista
ha mai pensato di indagare il significato ebraico della Stella, nei
libri sulla vita religiosa o in tutta la letteratura chassidica non
se ne parla affatto. I suoi strali si rivolgono contro chiunque
abbia cercato di procurare al Magen David un' illustre genealogia,
come Moses Gaster o Max Grunwald. Non è vero che il grande Rabbi
Akiva l' abbia usata nel secondo secolo come simbolo messianico
nella guerra di liberazione di Bar Kokhba contro l' imperatore
Adriano, e ancor meno vero è che l' emblema compaia nello Zohar
(letteralmente, Splendore, uno dei testi fondamentali della
Cabbala, XIII secolo), né negli scritti del grande cabbalista
cinquecentesco Yitzhak Luria. Fantasie debordanti, le chiama
Scholem, che rivendica come unico simbolo ebraico legittimo,
apparso invece con costanza fin dall' emergere del popolo, la
Menorah, il candelabroa sette braccia che Dio stesso ordinò a Mosè
perché lo ponesse accanto all' Arca.
Ma allora com' è
andata? Perché oggi la Stella di David significa ebraismo? Lo
vedremo tra poco, ma prima cerchiamo di capire perché un sionista
come Scholem mette tanta carica distruttiva verso quello che sta
diventando il simbolo degli «ebrei che entrano nella storia», che
si fanno Stato.
Scholem aveva scritto
questo lungo articolo nel ' 48 (ora pubblicato dalla Giuntina, La
stella di David, pagg. 134, euro 10, con un' approfondita
introduzione di Saverio Campanini, che l' ha anche curato insieme a
Elisabetta Zevi), per una rivista di nicchia all' indomani della
discussione (durante cui probabilmente l' aveva concepito) che
aveva posto il segno al centro della bandiera di Israele. Il fatto
è che il filosofo e storico immaginava la rinascita di Israele
dovesse essere in aperta discontinuità con le esperienze
assimilazioniste e fallimentari della diaspora. E la scelta del
Magen David lo deludeva, proprio perché si rifaceva a un segno non
esclusivo, vuoto di significati, che gli ebrei diasporici avevano
iniziato a usare a man bassa dall' Ottocento in poi, a suo parere,
quasi scopiazzando la croce dei cristiani o la mezzaluna degli
mussulmani.
Le tracce della Stella
che Scholem aveva trovato in maniera crescente tra gli ebrei
europei gli sembravano nate dal mondo trasversale della
superstizione, e più tardi imposte dai governanti per distinguere
i "giudei" dai fedeli in Cristo, come "confine",
nel modo in cui sospetta sia accaduto nell' architettura sinagogale
ottocentesca affidata spesso ai "gentili", o prima, a
Praga e in Boemia quando, dal ' 400, divenne l' emblema di uno
stendardo concesso alle comunità ebraiche, o ancora a Vienna, nel
1656, quando venne disegnata sulla pietra che segnava la divisione
tra la parte ebraica e quella cristiana indicata con la croce.
Tracce che si moltiplicano all' infinito nell' Ottocento, in un
momento in cui, evidenzia Scholem, l' ebraismo aveva perso ogni
forza religiosa.
A Scholem piaceva fare
così, muoversi tra i cieli della trascendenza intessendoli con i
parametri della Storia, in cerca degli elementi davvero vivificanti
dell' ebraismo, come sempre certo che i fatti obbiettivi fossero il
primo passo per giungere alla verità. Ed è per questo in realtà
che nelle ultime pagine cambia del tutto tono e posizione, e dalla
carica distruttiva dei primi capitoletti, eccolo accettare in toto
la Stella, perché questa volta è proprio la Storia a
fornirgliela: «Poi vennero i sionisti», scrive infatti, e sul
primo numero del periodico del movimento, Die Welt, uscito il4
giugno 1897, pubblicato da Theodor Herzl, misero l' esagramma sulla
testata, una scelta dovuta sia all' enorme diffusione del simbolo
oramai e al fatto che non avesse un nesso esplicito con la
religione e potesse indicare invece speranza di redenzione. Non
solo. Più di quanto abbiano fatto i sionisti, continua Scholem, lo
fecero la persecuzione e la Shoah quando hanno trasformato la
Stella di David in un marchio di degradazione per milioni di
persone.
«La stella gialla come
segno di esclusione e di sterminio ha accompagnato gli ebrei nell'
umiliazione, nell' orrore, nella battaglia e nella resistenza. Se
esiste un suolo fertile di esperienza storica dal quale i simboli
traggono il loro significato, questo lo è stato». È così,
scrive Scholem recuperando in tutto e per tutto la scelta d'
Israele, che il Magen David è diventato «un segno degno di
illuminare il cammino verso la vita e la ricostruzione».
(Da: La Repubblica del
12 agosto 2013)
Walter Benjamin deve molto a Scholem
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