10 febbraio 2016

IL NUDO NELLA STORIA DELL'ARTE


Un excursus storico sulla rappresentazione del corpo nudo dai greci a Picasso, dopo la buffonata delle statue inscatolate.

Arturo Carlo Quintavalle

Nudo, il (non) comune senso del pudore


Lo sappiamo, i greci inventano, nel V secolo a. C., il corpo nudo come proporzione, armonia. Eppure la Venere capitolina , Venere Pudica perché si copre seni e sesso, copia romana dalla Afrodite cnidia di Prassitele, la Leda col cigno da Policleto, il Dioniso , sono state censurate ai Musei Capitolini di Roma in occasione della visita del presidente iraniano il 26 gennaio.

La vicenda ha molti precedenti. Il più noto: alla fine del Concilio di Trento, appena morto Michelangelo, Daniele da Volterra, nel 1565, copre le nudità del Giudizio Universale.

Ma la presenza dei corpi umani, anche nudi, dipende dalle ideologie. Infatti, delle «religioni del Libro» la ebraica, salvo che agli inizi, rifiuta le immagini e quella islamica permette solo di raffigurare alberi, animali: così i mosaici nel cortile della Grande Moschea di Damasco o quelli della Moschea di Omar a Gerusalemme. Maometto, che alla Mecca aveva distrutto tutti gli idoli, suggerisce nella XXIV Sura detta «della luce»: «Dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli… o ai loro servi maschi privi di genitali».

Difficile il passaggio delle immagini del nudo dal mondo romano al mondo cristiano. Le antiche statue femminili conservate nei musei in genere sono state scoperte in età moderna, per questo sono scampate alla falcidie voluta dai cristiani di migliaia di opere, atleti e divinità, retori e imperatori che illustravano teatri e anfiteatri, fori e templi da Occidente a Oriente.
    Venere di Milo

Certo, dal XV secolo in poi, il nudo antico diventa meta del collezionismo a Roma e in Occidente. Così la Venere di Milo (130 a. C.) ora al Louvre, scavata nel 1820 e portata in Francia nel 1821; così la Venere dei Medici , ora agli Uffizi, di fine I secolo a.C., che nel 1803 viene portata al Louvre e restituita nel 1815: era tale la sua importanza che, per sostituirla, viene dato incarico ad Antonio Canova di scolpire una nuova Venere, battezzata Venere Italica , ora a Pitti (1804-1812).

Eppure proprio quel mondo cristiano che ha distrutto i nudi dell’antico rappresenta il nudo in almeno due momenti precisi del proprio racconto: i Progenitori nel Paradiso terrestre e il Giudizio Finale. Quando Wiligelmo scolpisce a Modena (1099-1110 circa) le sculture della Genesi mostra la Cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva . Scrive la Bibbia: «Il signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: dove sei? Rispose: ho udito il tuo passo nel giardino, ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto». Dunque la vergogna della nudità è prova della trasgressione; del resto Maometto nella Sura VII «del Limbo» scrive: «(e Satana ) li trascinò in errore, e quando ebbero gustato i frutti dell’albero, apparvero le loro vergogne e presero a coprirsi con foglie del Giardino».
    Torcello

I nudi dei Giudizi Finali del medioevo cristiano sono diversi: nudo composto nella resurrezione dalle tombe dei beati; nudo scomposto , segnato dalla violenza dei castighi, quello dei dannati. L’Occidente cristiano è ricco di questi Giudizi, dal tempo romanico al gotico, da Torcello a Sant’Angelo in Formis, dal Battistero di Firenze a Chartres, da Notre-Dame al Giotto degli Scrovegni a Padova.

Nel XV secolo l’antico viene recuperato come modello e, attraverso Vitruvio, l’idea della proporzione del corpo come ordine del mondo si impone in Toscana da Donatello a Leonardo a Michelangelo nel suo David , mentre Leon Battista Alberti, nel Della Statua (1450 circa) intende l’atto creativo come rappresentazione dell’Idea platonica.

Ma scolpire è anche racconto e la rivoluzione ha una data, il 1506, quando a Roma viene scoperto il gruppo ellenistico del Laocoonte e subito pittori e scultori mettono in scena quel modello, prima Michelangelo nella volta della Sistina, quindi Raffaello nella Cacciata di Eliodoro nelle Stanze Vaticane. Perché, come scrive Ascanio Condivi nella sua Vita di Michelangelo (1553), «più volte (egli) ha avuto in animo, in servigio di quelli che vogliono dare opera alla scultura e pittura, far un’opera che tratti di tutte le maniere de’ moti umani e apparenze» — dunque dipingere, scolpire, è rappresentare le passioni, come nei nudi Prigioni di Michelangelo per la tomba di Giulio II in San Pietro, mai finita, come nel Giudizio della Sistina.
   Michelangelo, I prigioni

Dopo la Controriforma la rappresentazione della figura scolpita diventa funzionale e di classe: un certo tipo di nudo viene riservato alla privata raccolta del committente, il cardinale Scipione Borghese che nel 1623-25 fa scolpire al Bernini Apollo e Dafne dove mondo vegetale e figura umana si fondono; e il nudo torna come evocazione dell’antico nella Fontana dei fiumi a Piazza Navona (1648-1651). Bernini poi, ai nudi contrappone la figura vestita, ma densa di sensuale tensione erotica, dei monumenti destinati alla pietas dei fedeli, come quello alla Beata Ludovica Albertoni di San Francesco a Ripa a Roma (1673-1674).

In pittura, si propone una storia diversa dalla proporzione toscana. Così Jan e Hubert van Eyck nel Polittico dell’Agnello Mistico a Gand scavano, con analitico realismo, i corpi di Adamo ed Eva; così Albrecht Dürer, nei due Progenitori al Prado (1507), mette a frutto il viaggio a Venezia e inventa un nuovo spazio. In Italia invece, ancora agli inizi del Cinquecento, domina la riflessione neoplatonica: ecco dunque Giorgione proporre nella Venere di Dresda (1508) conclusa da Tiziano, un cosmico rapporto fra natura e figura, come fa Leonardo nei suoi pochi, densissimi dipinti, mentre lo stesso Tiziano, nella Venere di Urbino (1538) esalta il nudo femminile creando una scena diversa, laica, veritiera che Velázquez trasforma nella sua Venere allo specchio di Londra (1650) in sottile, controriformistico memento mori .
    Renoir, Nudo al sole (1875)

Questa rivoluzione nel racconto del nudo che, da sublimato, diventa dolorosamente corrotto, aveva avuto un nuovo inizio con Caravaggio, ad esempio nella Deposizione dei Musei Vaticani (1604) che diventa modello per la pittura europea mentre Rubens, ad esempio nell’ Ercole della Sabauda a Torino, evoca la statuaria antica con i colori di Veronese e Tintoretto. E nell’Ottocento proprio Veronese viene citato, con Tiziano, nei nudi di Renoir mentre Degas, per le sue ballerine, dialoga con l’arte del Seicento, quella di Vermeer.
 
 
P. Picasso, Les demoiselles  d' Avignon
 

La fine del mito del nudo all’antica la segna Picasso con le Demoiselles d’Avignon (1907), lui che prima meditava, nei dipinti del Periodo Rosa, sul classicismo di David. Oggi il nudo si propone in modo ambivalente: da una parte la foto di cronaca con la violenza sui corpi e i serial americani che li mostrano sui tavoli di dissezione; dall’altra il consumo del nudo nelle pubblicità e nei reality alla ricerca di improbabili Adami ed Eve su un’isola dei famosi.


Il Corriere della sera – 7 febbraio 2016

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