07 settembre 2016

MA IL FUMO SCACCIA DAVVERO LE NEVROSI?



Il tabacco ha una lunga storia che inizia con Cristoforo Colombo e ci conduce fino alle nevrosi della società di oggi.

Marco Belpoliti

Quella grigia nuvola di fumo che scaccia tutte le nevrosi

Ancora Cristoforo Colombo. Sempre lui. Come potrebbe essere altrimenti? Il 12 ottobre 1492 arriva nell'isola di Guanahani, ribattezzata San Salvador. Cerca oro e pietre preziose, incrocia invece un'imbarcazione con un uomo a bordo. Reca con sé una foglia seccata che l'ammiraglio intende come preziosa visto che gliela offre in dono. Due mesi dopo i suoi uomini sbarcano e incontrano «molti uomini e donne che tenevano in mano un tizzone di erbe per prendere, come è loro abitudine, delle inalazioni». Barthélemy de Las Casas, cronachista del viaggio, li descrive così: «Accesi a una estremità, dall'altra li succhiano o aspirano verso l'interno, ricevendo così il fumo che addormenta loro la carne e quasi li ubriaca».

La pianta di tabacco, sconosciuta agli europei, appartiene alle Solanacee, come le altre milleottocento piante, quale il pepe ornamentale, la belladonna, la petunia e la patata. Nicotiana Tabacum, o tabacco comune, è oggi coltivata in tutto il mondo. La specie delle Nicotiane comprende una sessantina di varietà, gran parte ornamentali. Dei generi voluttuari giunti in Europa dall'America, è certamente il più bizzarro, scrive Wolfgang Schivelbusch. Reca con sé un consumo totalmente nuovo. Intanto la parola "fumare" non c'è nel vocabolario; entra nell'uso corrente solo durante il Seicento; sino allora si parla di «bere fumo» e «bere tabacco ». Un gesuita in un suo libello lo definisce «l'ebbrezza asciutta ».

Il nome nicotina, che entra nella nomenclatura scientifica della pianta, deriva da Jean Nicot, ambasciatore francese alla corte portoghese. È lui che lo introduce in Francia alla metà del Cinquecento. A differenza del caffè, la nicotina non stimola, bensì calma. Dal punto di vista tossicologico è un veleno. All'inizio il fumo inalato dal tabacco acceso non è affatto piacevole: vertigine, vomito, sudorazione. Poi con l'abitudine si arriva a gustarlo a pieno. Non ha subito successo, o meglio incontra molta ostilità. Rodrigo de Jerez, che era con Colombo, al ritorno in Spagna fuma in pubblico nella sua città natale e viene arrestato. Condannato per stregoneria resta in prigione sette anni prima di provare la sua innocenza.

Com'è che si diffonde? Ha scritto uno storico che le guerre sono propizie al tabacco. Le tre principali forme che abbiamo conosciuto nella sua diffusione — pipa, sigaro e sigarette — sono l'effetto di eventi bellici. La guerra dei Trent'anni (1618-1648) diffonde l'uso della pipa, il sigaro è l'effetto dei conflitti settecenteschi — il fumo come bene voluttuario di militari e marinai —, la sigaretta arriva dopo la guerra di Crimea (1853); molti soldati impararono ad arrotolare le sigarette sotto le mura di Sebastopoli dagli armigeri turchi. Siamo a metà dell'Ottocento. Nel 1870 in Francia se ne fumano già 11 milioni l'anno.

Il fumo era ovviamente conosciuto dalle popolazioni centroamericane e si legava alla magia, agli aspetti sciamanici. Quando giunge in Europa si abbina invece a un aspetto differente: la riflessione. Lo testimoniano disegni, quadri e fotografie: il fumatore è ritratto immerso nella contemplazione, con i pensieri perduti dietro le volute di fumo. Senza dubbio ha ragione Schivelbusch nel dire che fumo e lavoro intellettuale si coniugano insieme. Là dove il caffè stimola, il fumo calma; e le professioni intellettuali, che vanno diffondendosi dal Settecento, hanno bisogno di entrambe le cose. Nel Seicento e Settecento trionfa la pipa, che è poi il modo con cui lo fumavano i Maya. Il sigaro la sostituisce; non è, come sarà nella iconografia, solo il fumo dei padroni del vapore, ma di tutti gli uomini (Marx fumava il sigaro).
   Groucho Marx

Il tabacco resta a lungo il simbolo della società patriarcale. La donna non fuma; lo farà solo successivamente, dalla fine dell'Ottocento, e sarà un gesto trasgressivo. Schivelbusch osserva una cosa interessante: il passaggio da uno strumento all'altro, dalla pipa alla sigaretta, implica un'accelerazione. La pipa richiede strumenti e tempo di preparazione, si fuma lentamente; il sigaro è già confezionato: lo si taglia e lo si infila in bocca; la sigaretta, per quanto rollata a mano all'inizio, viene poi distribuita confezionata (la prima macchina che la confeziona è del 1878). Per il fumatore del XX secolo il tempo di durata di una sigaretta è di 5-7 minuti e contiene lo stesso potere di concentrazione e rilassamento di un sigaro.

Il mondo va sempre più in fretta. Tutto si velocizza e contemporaneamente gli oggetti d'uso si rimpiccioliscono. Con la sigaretta nasce il fiammifero. Tuttavia per lungo tempo non si potrà fumare nei luoghi pubblici. C'è poi una quarta modalità oggi scomparsa: il tabacco da fiuto. L'uomo roccocò ha la sua tabacchiera in tasca, fondamentale in società; si diffonde con la cioccolata, altro bene di lusso. La usano prelati, abati e persino monaci. Napoleone ne è un consumatore assiduo. Si afferma con la società della conversazione, poi tramonta. La favolosa storia del tabacco, dalla sua diffusione dagli altopiani dell'America centrale e poi la coltivazione in America, non dobbiamo dimenticare che è collegata con lo schiavismo. Così come quella della canna da zucchero: 11 milioni, secondo stime approssimative, i neri deportati dalle coste dell'Africa per coltivare il tabacco, diventato in breve tempo, un prodotto americano.
    Roland Barthes

Vizio o necessità? La domanda non ha trovato ancora una risposta definitiva. Certo il fumo fa male, la nicotina è tossica: la dose di nicotina che un fumatore abituale inala in un giorno, se assunta in una volta sola, è mortale. Allora perché tutti fumano? La moda, come per gli altri generi voluttuari. Un'ipotesi è che, come il caffè, suo opposto e complementare, il tabacco risponde alle nuove esigenze del lavoro intellettuale. «La parte del corpo umano che più interessa alla borghesia — scrive Schilverbusch — è il cervello ». Difficile pensare Jean-Paul Sartre o Hannah Arendt senza la sigaretta in bocca; così Roland Barthes, accanito fumatore, che ha descritto il modo di tenere la sigaretta ai lati della bocca proprio delle persone della sua generazione.

Eliminato il lavoro fisico, dismessa la caccia e i tornei pre-moderni, nella vita segnata dall'accrescimento della tensione nervosa propria delle metropoli, il fumo diventa indispensabile. Fumano gli operai e gli scrittori, le donne e gli uomini, gli impiegati e i portuali. Le guerre moderne lo rendono necessario: viene distribuito con l'alcol ai soldati. Là dove c'è bisogno di tranquillità, c'è il fumo, senza poi parlare dell'aspetto orale-erotico che aspirare soddisfa. Ma questa è già un'altra storia.

La repubblica – 20 agosto 2016

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