“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
29 settembre 2016
PASOLINI PARLA ANCORA
Pietropaolo Morrone ha ricostruito, con un pò di fantasia ma con una sostanziale fedeltà alle fonti citate, il dibattito ancora in corso suscitato dagli ultimi scritti di Pierpaolo Pasolini:
Pasolini parla quarant’anni dopo
By Pietropaolo Morrone on 2 dicembre 2015 — 11 mins read
Ho “composto” questo dialogo tra Pier
Paolo Pasolini, Italo Calvino, Edoardo Sanguineti, Goffredo Parise e
Serge Latouche a partire da articoli, poesie, interviste, carteggi che
risalgono ai primi anni settanta del secolo scorso. Si può osservare
come Pasolini sia stato straordinariamente moderno nell’intuire alcuni
effetti negativi della globalizzazione e del consumismo. Il suo invito a
“tornare indietro” fu osteggiato e ridicolizzato dagli intellettuali
del tempo, ma è accolto, a quarant’anni di distanza, dal teorico della
“decrescita”, Serge Latouche. Sono state fatte solo delle piccole
modifiche ai testi originali . Le fonti sono riportate in calce.
PASOLINI: Io sono un uomo antico, che ha letto i
classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il
sorgere e il calare del sole sui campi, tra i vecchi, fedeli nitriti,
tra i santi belati; che è poi vissuto in piccole città dalla stupenda
forma inespressa dalle età artigianali, in cui anche un casolare o un
muricciolo sono opere d’arte, e bastano un fiumicello o una collina per
dividere due stili e creare due mondi. (Non so quindi cosa farmene di un
mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo
creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo)1.
Perché la nostra ansia, se è giusto che non sia più ansia di miseria,
sia ansia di beni necessari. Torniamo indietro, col pugno chiuso, e
ricominciamo daccapo. Non vi troverete più di fronte al fatto compiuto
di un potere borghese ormai destinato a essere eterno. Il vostro
problema non sarà più il problema di salvare il salvabile. Nessun
compromesso. Torniamo indietro. Viva la povertà. Viva la lotta comunista
per i beni necessari2.
Cinque anni di «sviluppo» hanno reso gli italiani un popolo di
nevrotici idioti, cinque anni di miseria possono ricondurli alla loro
sia pur misera umanità3.
CALVINO: Non condivido il tuo rimpianto per la tua
Italietta contadina […] Questa critica del presente che si volta
indietro non porta a niente […]. Quei valori dell’Italietta contadina e
paleocapitalistica comportavano aspetti detestabili per noi che la
vivevamo in condizioni in qualche modo privilegiate; figuriamoci
cos’erano per milioni di persone che erano contadini davvero e ne
portavano tutto il peso. È strano dire queste cose in polemica con te,
che le sai benissimo, ma hai […] finito per idealizzare un’immagine
della nostra società che, se possiamo rallegrarci di qualche cosa, è di
aver contribuito poco o tanto a farla scomparire4.
PASOLINI: Caro Calvino […] tutti dicono che
rimpiango qualcosa, facendo di questo rimpianto un valore negativo e
quindi un facile bersaglio […] Io rimpiangere l’«Italietta»? […] Gli
uomini di questo universo non vivevano un’età dell’oro, come non erano
coinvolti, se non formalmente con l’Italieta. Essi vivevano quella che
Chilanti ha chiamato l’età del pane. Erano cioè consumatori di beni
estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente
necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni
superflui rendono superflua la vita […] l’acculturazione del Centro
consumistico, ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo (parlo
ancora su scala mondiale, e mi riferisco dunque appunto anche alle
culture del Terzo Mondo, cui le culture contadine italiane sono
profondamente analoghe): il modello culturale offerto agli italiani (e a
tutti gli uomini del globo, del resto) è unico. La conformazione a tale
modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi
nel corpo e nel comportamento. E’ qui che si vivono i valori, non ancora
espressi, della nuova cultura della civiltà dei consumi, cioè del nuovo
e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto. Dal punto di
vista del linguaggio verbale, si ha la riduzione di tutta la lingua a
lingua comunicativa, con un enorme impoverimento dell’espressività. I
dialetti (gli idiomi materni!) sono allontanati nel tempo e nello spazio5.
SANGUINETI: Com’era verde, però, la nostra valle! E
com’erano carini i sottoproletari di una volta! Io me li ricordo
benissimo, pittoreschi e straccioni, che con la selezione naturale
venivano su come tante querce. […] Ah, i nostri ragazzi di Vita, che
bella Vita violenta che si facevano. Brutti tempi, quando i
sottoproletari si infilano la cattiva strada che li può portare, un
giorno o l’altro, non so, a leggere Vico, a leggere Gramsci. Perduta la
splendida «rozzezza» di un tempo, si sono messi anche a fare gli
«studenti», i maleducati6 (…)
PASOLINI: Io sono una forza del Passato. Solo nella
tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale
d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi dove sono
vissuti i fratelli7.
L’Italia è passata all’epoca del Consumismo e della Sottocultura,
perdendo così ogni realtà, la quale è sopravvissuta quasi unicamente nei
corpi e precisamente nei corpi delle classi povere. Protagonista dei
miei film, è stata così la corporalità popolare […]. Mi pento
dell’influenza liberalizzatrice che i miei film eventualmente possano
aver avuto nel costume sessuale della società italiana. Essi hanno
contribuito, in pratica, a una falsa liberalizzazione, voluta in realtà
dal nuovo potere riformatore permissivo, che è poi il potere più
fascista che la storia ricordi. Nessun potere ha avuto infatti tanta
possibilità e capacità di creare modelli umani e di imporli come questo
che non ha volto e nome8,
Abbiamo creduto che questo cambiamento/dovesse essere tutta la nuova
storia./Invece grazie a Dio si può tornare/indietro. Anzi, si deve
tornare/indietro. Anche se occorre un coraggio/che chi va avanti non
conosce9.
LATOUCHE: Il termine “decrescita” suona come una
sfida o una provocazione […] Significa abbandonare radicalmente
l’obiettivo della crescita, un obiettivo il cui motore non è altro che
la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale e le cui
conseguenze sono disastrose per l’ambiente … i limiti della crescita
sono definiti dalla quantità disponibile di risorse naturali […] Non è
possibile la crescita indefinita in un mondo finito […] La riproduzione
sostenibile ha regnato sulla Terra all’incirca fino al diciottesimo
secolo; è ancora possibile trovare esperti di riproduzione sostenibile
tra gli anziani dei paesi del sud del mondo. Gli artigiani e gli
agricoltori che hanno conservato gran parte dell’eredità dei modi
ancestrali di fare e pensare vivono generalmente in armonia con il loro
ambiente […] Caro Pier Paolo, mi mai pensare a quei contadini che
piantavano ulivi e fichi di cui non avrebbero mai visto i frutti
pensando alle generazioni successive, senza esservi costretti da alcun
regolamento ma semplicemente perché i loro genitori, i loro nonni e
tutti coloro che li avevano preceduti avevano fatto lo stesso10 (…)
PARISE:
Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere)
troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi
livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più
profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo
ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si
gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei
ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità
di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia”
nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente
che si getta sul cibo. E ora veniamo alla povertà. Povertà non è
miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà è una
ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e
necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario
necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità
nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute
delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le
motociclette, le famose e cretinissime “barche”. Povertà vuol dire,
soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di
ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper
scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario,
conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti
necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli,
roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla
sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o
aumentare la produzione. Povertà è assaporare (non semplicemente
ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio,
il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese;
imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli
imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma,
educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli
alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal
nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un
intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola
cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del
linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e
artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione
elementare delle cose perché non ha più povertà. Il nostro paese compra e
basta. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a
comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con
parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al
tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per
comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo
denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a
ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che
danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro
paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira
si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni. Il
nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono
stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene
in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli “etichettati” che
etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente
identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto
spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non
soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di
consumo superfluo. I giovani “comprano” ideologia al mercato degli
stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli
stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi
non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose
necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare
nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la
loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è
obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro
necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando
parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del
superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c’è di tutto, vedi
l’estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l’élite, come la
differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa
rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all’opposizione.
L’obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i
gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita
del grand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i
più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e
disperati figli del consumo. La povertà è il contrario di tutto questo: è
conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa
ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica
ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere
estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la
sua forma nello spazio, ci emoziona. Per le ideologie vale la stessa
regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più
“corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci
linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella
sua qualità reale. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un
segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non
mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul
sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale,
una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo
capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il
nostro paese11. PASOLINI: Quarant’anni dopo io, feto adulto, mi aggiro, più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più12
e posso liberarmi di me stesso, cioè di morire. Morire nella mia
creazione: morire come in effetti si muore, di parto: morire come in
effetti si muore, eiaculando nel ventre materno»13. Ciò che non esprimo muore. Non voglio che nulla muoia in me14.
Quasi un testamento, una serie di riflessioni rilasciate
dall’autore al giornalista inglese Peter Dragadze e pubblicate postume
(“Gente”, 17 novembre 1975) ↩︎
Sanguineti, Edoardo, La bisaccia del mendicante, «Paese Sera», 27 dicembre 1973 ↩︎
I versi di Poesie mondane vennero pubblicati
originariamente assieme alla sceneggiatura di Mamma Roma (Rizzoli,
Milano 1962) ed entrarono poi a far parte della raccolta Poesia in forma
di rosa (1964) ↩︎
Si tratta dell’intervento al convegno Erotismo, eversione, merce, organizzato a Bologna nel dicembre del 1973 ↩︎
Domenico Passantino: Grazie, Franco. Ho letto dell'Italietta e della lettera a Calvino in Scritti corsari. Interessante come tutto Pasolini! Mi piace · Rispondi · 11 min · Modificato
RispondiEliminaDomenico Passantino: Grazie, Franco. Ho letto dell'Italietta e della lettera a Calvino in Scritti corsari. Interessante come tutto Pasolini!
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